Le altre cose di Saba Candide del '900

Le altre cose di Saba Candide del '900 Le altre cose di Saba Candide del '900 CON l'ottima cura dì Arri¬ go Stara (che ha messo a frutto tra il resto ì materiali custoditi pres¬ so il Centro dì ricerca sulla tradizione manoscritta dì auto¬ ri moderni e contemporanei dell'Università di Pavia), e pre¬ cèdute da un saggio introdutti¬ vo di Mario Lavagetto (L'altro Saba), ì «Meridiani» propongono ora Tutte le prose dì Saba, che escono a più dì trent'annì dì distanza dalla precedente edizione curata da Linuccìa Saba e Aldo Marcovecchìo (1964). Rispetto a quell'edizione ci sono variazioni e aggiunte, nuovi testi nel frattempo ritrovati o pubblicati o inediti, stesure originali che non erano state incluse nel volume o negli apparati dell'edizio¬ ne '64. Quanto ai criteri d'edizione Arrigo Stara adotta il criterio dì segui¬ re le stampe «originali», vale a dire quelle la cui pubblicazione fu curata direttamente da Saba, mentre per l'edizione delle Prose del '64 ci si era serviti dì tutte le correzioni e le varianti introdotte da Saba in esempla¬ ri diversi delle sue opere, con la conseguenza, scegliendo le lezioni di volta in volta ritenute migliori, di introdurre nei testi un eccessivo margi¬ ne di arbitrio. Nella nuova edizione ritroviamo, naturalmente, i Ricordi-Racconti, la storia di Emesto, il celeberrimo auto- commento alla propria opera in versi. Storia e cronistoria del Canzoniere, che nelle intenzioni dell'autore doveva servire per mettere finalmente sulla strada giusta i «fuorviati» lettori. E ritroviamo le mirabili Scorciatoie, del¬ le quali scriveva a Linuccia: «È più che un bel libro; è il libro del Novecento, come Candide fu il libro nel quale si assomma il Settecento. Pochi, assai pochi, lo capiranno»: il solito candore e la solita ambizione, quel volere parlare per tutti, identificarsi con una comuni¬ tà, essere colui che capisce e soffre per gli al¬ tri. Ci sono le scorciatoie «tri¬ estine», più tor¬ mentate ed aspre, nate in un periodo diffì¬ cile della sua vi¬ ta, e le «roma¬ ne», della prima metà del '45, na¬ te negli anni più felici: «A Ro¬ ma - scriveva - RECENGianBec SIONE uigi aria non occorre, per star bene, essere felici (Roma è una felicità in se stessa)». Con una scrittura illimpidita in afori¬ sma, Saba ci parla di «cose» della realtà quotidiana, di sto¬ ria, politica, costume, lettera¬ tura. Gli riescono bene le scorciatoie più «cattive». Pi¬ lucco qualcosa: «[BEETHOVEN] Parla come se tutti fossero sordi. Annuncia, svolge, varia, ripete (all'infinito). Quan¬ do si pensa che abbia terminato, e si '- a per tirare un sospiro di sollievo, incomincia. Indugia troppo, anche nei suoi paradisi»; «Non ho nulla da dire ai filosofi; né essi hanno nulla da dire a me. Come li avvicino diventano fluidi; si dilatano all'universale per non essé¬ re toccati in un solo punto nevralgico. Tutti i loro sistemi sono "toppe", per nascondere una "rottura di realtà". I poeti promettono di meno e mantengo¬ no di più»; «Alcuni, per giustificata reverenza a Benedetto Croce, dicono che Francesco Gaeta ha scritto almeno un bel verso: "Un alito di neve e di limoni". Ma non è un verso; è un gelato». Tutto il volume è di grandissimo interesse, perché le prose scorrono ai margini di una storia «familiare»,, e della poesia dunque. Un episodio è per esempio affidato ai due atti superstiti di Mario (un dramma del 1903, per la cui pubblicazione si rivolse a D'Annun¬ zio, senza riceverne risposta: su que¬ sto episodio è incentrato il ricordo-rac¬ conto Il bianco immacolato signore). Prose come romanzo personale, storia di una vita, il quotidiano le intride, e le fa correre di pari passo col Canzoniere. Non nascono soltanto negli intervalli lasciati liberi dalla scrittura in versi, nei periodi di stanca, di silenzio dell' ispirazione. Convivono, e si interseca¬ no, coi versi. Riusano o anticipano i materiali della lirica. Ci dicono spesso quel che Saba pensa della letteratura, soprattutto intorno all'idea centrale che prosa o poesia devono essere fatti «assai più di cose che di parole», nascere non come un problema di stile, ma da una necessità interiore, dalla «fatalità dell'argomento», come spec¬ chio della vita e dell'umanità che soffre ed opera. Ne discendono giudizi bellissimi, come questo su Svevo: «Non è vero che scriva male. La lìngua è cattiva, ma non ha una grande importanza. È coinè un violinista di razza che suoni, invece che uno Stradi¬ vari, sopra un violino di poche lire; qualche volta "gratta" ma la melodia riesce intera». RECENSIONE Gian Luigi Beccaria Umberto Saba Tutte le prose, a cura di Arrigo Stara, con un saggio dì Mario Lavagetto Mondadori, 2001, pp. 000(11-1530

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