«In Somalia un attacco senza fanfare» di Paolo Mastrolilli
«In Somalia un attacco senza fanfare» L'EX SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER L'AFRICA DI REAGAN E BUSH SENIOR: «COLPIREMO NON SOLO NEL PUNTLAND» «In Somalia un attacco senza fanfare» Cracker: bastano pochi commandos, quelli già sulle navi intervista Paolo Mastrolilli NEW YORK L'ATTACCO alla Somalia po¬ trebbe cominciare ormai in qualsiasi momento, e forse all'inizio non ci accorgeremo neppure che è scattato». Non è una profezia, questa di Chester Cracker, piuttosto un'analisi razionale della si¬ tuazione. Cracker è stato per otto anni assistente segretario di Stato per l'Africa, durante le Amministrazioni di Reagan e Bush padre, e viene considera¬ to uno dei maggiori esperti americani nella regione, an¬ che ora che fa il professore alla Georgetown University di Washington. Perché le voci di un attac¬ co alla Somalia continua¬ no a moltiplicarsi? «Perché è un posto dove ci sono basi di Al Qaeda e non esiste un governo centrale ca¬ pace di eliminarle. Può darsi che Bin Laden e altri leader dell'organizzazione abbiano già cercato o cerchino rifugio in quel Paese: ma anche se Osama non è laggiù, ci sono comunque buoni motivi per colpire le strutture utilizzate dai suoi complici». Alcuni osservatori hanno indicato il Puntland come la prima zona da attacca¬ re. E' d'accordo? «No, nel senso che non mette¬ rei limiti geografici a questa operazione. Le basi magari sono concentrate in queir area, ma i leader di Al Qaeda possono nascondersi in qua¬ lunque parte della Somalia. Quindi non escludo colpi a sorpresa in altre regioni». Ma se gli Stati Uniti stanno preparando un attacco, non dovremmo cominciare a vedere i movimenti delle truppe? «No, perché quelle presenti già bastano a compiere il lavo¬ ro che vogliamo fare. Le opera¬ zioni in Somalia non somiglie- rebbero comunque a un'inva¬ sione in grande stile, e neppu¬ re ai bombardamenti dell'Af¬ ghanistan, a parte alcune strutture specifiche che po¬ tremmo decidere di distrugge¬ re. Laggiù il nostro obiettivo principale dovrebbe essere quello di catturare persone specifiche che si nascondono nel Paese, e per condurre raid del genere bastano un paio di plotoni delle forze speciali, che già si trovano nella regio¬ ne o sulle navi di supporto per "Libertà Duratura". Non sono neanche sicuro che siano ne¬ cessari dei soldati americani, se vogliamo evitare i problemi del 1993 e del 1994. Infatti potremmo affidarci agli etio¬ pi, che come sapete non aspet¬ tano altro, oppure a forze amiche all'interno della Soma¬ lia, tipo quelle di Hussein Aidid. In quelle zone, del re¬ sto, le alleanze cambiano in fretta, e quindi non è escluso che tra qualche settimana le fazioni favorevoli a Bin Laden trovino convenienza a tradirlo e a schierarsi dalla nostra parte. In un caso del genere, il nostro lavoro diventerebbe so¬ prattutto diplomatico e politi¬ co, magari con l'aiuto di pochi consiglieri militari. Qualun¬ que sia la formula, però, dob- biamo aspettarci un interven¬ to in Somalia a breve termi¬ ne». Il Sudan era un altro Paese africano in cima alla lista degli sponsor di Bin Laden, ma ora sta cercando di riposizionarsi. Sono apertu¬ re credibili? «I sudanesi stanno facendo tut¬ to il possibile per farle sembra¬ re credibili: poi vedremo i risul¬ tati nella pratica. Comunque Washington si sta impegnando anche in una missione di pace in quel Paese, e quindi sarebbe un po' contraddittorio attaccare da ima parte, mentre cerchia¬ mo di riportare la calma dall'al¬ tra». Perché bin Laden non si trova? Senza la sua cattu¬ ra, la campagna contro il terrorismo perde valore? «Il problema centrale, qui, mi sembra l'atteggiamento del Pakistan, che di sicuro possie¬ de le informazioni di cui abbia¬ mo bisogno. Hanno promesso di collaborare: se lo faranno sul serio, difficilmente Osama riuscirà a sfuggirci». U n fuoristrada con mitragliatrice, arma tìpica delle guerre fra somali
Persone citate: Bin Laden, Bush, Bush Senior, Chester Cracker, Hussein Aidid, Reagan
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