«Un recupero duro Ogni caso è diverso come in una famiglia» di Marco Neirotti

«Un recupero duro Ogni caso è diverso come in una famiglia» «Un recupero duro Ogni caso è diverso come in una famiglia» Il procuratore al Tribunale per i minorenni di Torino: le loro giornate saranno segnate dal lavoro, dall'incontro con l'educatore e dallo sport Marco Neirotti TORINO Agli avvocati: «Non mi avete difera, non mi avete aiutata». Al presidente Tomaselli che le spie¬ ga il futuro: «In prigione non ci vado, tomo a casa». E' gelida e tragica la rilettura di Erika davan¬ ti alla sentenza. Riconsiderate le perizie, riletti i comportamenti in aula o nel carcere minorile, ripen¬ sata ogni sua frase, così come ogni suo atteggiamento sprezzan¬ te o ostinatamente seducente, h appare tutto lo stupore, lo sgo¬ mento, di fronte a limiti inattesi. Non sta andando tutto come per lei era logico. «Col cavolo che la vita conti¬ nua», ha risposto a un magistrato che ha scelto il colloquio diretto anziché freddezza o retorica. E dal suo punto di vista ha ragione: la vita gliela spezzano, perché pongono limiti al suo potere, per¬ ché svelano che anche per lei esiste un momento di impotenza. La vita non è un videogioco dove puoi ripartire e rimediare. Va avanti. Ma va avanti come? Che ne farà, adesso, lo Stato, di Erika imbestialita e delusa, di Omar che chiede aiuto? Che cosa ne farà dietro le sbarre? Come li aiuterà a uscire - presto o tardi - e convive¬ re con se stessi e la soc-età che li ha odiati? Carcere, per intanto. Ma carcere minorile che signifi¬ ca? «Tutto sta in ciò che concepia¬ mo come detenzione», risponde il Procuratore della Repubblica al Tribunale per i minorenni Piercar- lo Pazè. Dottore, dunque una sentenza doverosa? In fondo ha accolto nella sostanza le vostre richieste: «Lei sa benissimo che abbiamo scelto di non commenta¬ re la sentenza, ma sa quali sono state le richieste». Il carcere, ap¬ punto. E tutti - felici sul piano vendicativo - ora si domandano che cosa farà adesso il carcere per restituirli alla società: «Chiaria¬ mo subito una cosa sulla detenzio¬ ne. C'è una giustizia delle emozio¬ ni, dell'opinione pubblica, e ce n'è un'altra dei valori. Spesso non coincidono. La magistratura ha seguito quella dei valori, che ri¬ guarda le vittime, ma anche i colpevoli. Si è arrivati a una misura di contenzione: l'impor¬ tante, l'essenziale, quando si par¬ la di minori soprattutto, è che non sia fine a se stessa, pacificatrice di aspettative, ma sia finalizza¬ ta». Il fine, dunque, è il recupero. Giacché torneranno a casa - nel peggior caso per loro - prima di compiere trentacinque anni, logi¬ ca vorrebbe che si lavori per renderli consapevoli, soprattutto coscienti. E' il famoso «percorso» che per tutti è astratto. Dietro le sbarre è concreto? Come si svolge il percorso, per Erika e Omar e per tutti gli altri? C'è un progetto mirato? Pazé non nasconde fiducia e riserve: «Dicono no alla condanna perché il carcere è rovina. Dicono buttate la chiave perché inaccetta¬ bile. Io dico che c'è un'esigenza di limiti e contenimento e insieme di recupero. Allora il problema,è proprio in questo cammino, nei luoghi dove si svolge». In carcere, appunto. Quello che ha lasciato stupefatta e irosa Erika. Come una sorpresa inaccettabile, un tradimento. «Onesto riguarda lo stato d'animo di ciascun imputa¬ to. E ci può essere, fuori da questo caso e in generale, un'utilità an¬ che terapeutica del carcere. Ma quale?». Dev'essere ovattato per i mino¬ ri? «Nemmeno per sogno. Dev'es¬ sere calibrato sugli scopi. Il carce¬ re minorile, oggi, è modellato su quello ordinario, quello degli adul¬ ti. E' fondamentale invece che sia luogo di prova. Io immagino allog¬ gi chiusi, dove c'è detenzione a tutti gli effetti, perché deve esser¬ ci, ma dove persone precise e specifiche mettono in atto un progetto». Vuol dire che anche le migliori esperienze del carcere minorile moderno non funzionano? «Fun¬ zionano, certo, quando uno è fortunato e incontra le persone giuste. Ma in quale regolamento carcerario? Molto chiuso». Che faranno, in.,. pratica, . Erika., .e Omar? «La sveglia, il lavoro, l'in¬ contro con l'educatore, il pranzo, le attività sportive e via chcendp. Tutte cose egrege. Ma là dove i detenuti sono di passaggio, prov¬ visori in larga parte, dove ci sono turni e orari del personale, che quindi sempre cambia, come si fa a trasmettere valori?». Lei, dottore, dirige una Procu¬ ra che ha chiesto vent'anni e poi è titubante sulla risposta? «No. Io dico che, dato un diritto minorile preciso, vale la pena di aggiorna¬ re gh strumenti che seguono alla condanna. Il recupero deve essere un progetto caso per caso. Ci si dovrebbe svegliare, condividere il preparare la colazione, come in una famiglia, parola molto chiara alla luce di questo fatto di Novi». Migliorare il carcere minorile è un percorso lungo. Per intanto? «Non spetta ai magistrati imporre percorsi, sono gli istituti a lavora¬ re, anche bene. All'interno di questa struttura, ci sarà chi si prenderà in carico i singoli ragaz¬ zi, chi con più passione, chi con un progetto. Molto dipende dalla risposta. Soprattutto là serve una figura di riferimento, decisa, sicu¬ ra». Erika e Omar, come altri, trova¬ no questa figura. Poi a 21 anni, passano in un carcere di adulti, realtà tutta diversa. Vittorino An- dreoli ha detto che il carcerone può distruggere il lavoro del carce¬ rino: «Tocca un tasto delicato. Le carceri minorili, pur con gli sforzi che hanno fatto, sono ancora a imitazione, come ordinamento, di quelle per gh adulti. Dovremmo fare il. contrario :, modificare. le minorili ed esportare il modello». Vede un modello per Erika - inscalfibile se non per delusione, pare - e per Omar, più disponibi¬ le? «Lo vedo per tutti. Ed è quello non di un colloquio psicologico prefissato, datato, ritmico in una detenzione. Vedo una detenzione dove non si riempie il tempo, ma lo si vive, ci si gioca, anche soffrendo psicologicamente, dove arriva il modello alternativo. E' quello che auguro a tutti i detenu¬ ti». Cj sono casi impossibili? «Non esistono casi in cui non valga la pena di tentare». «Il carcere minorile oggi è modellato su quello ordinario cioè quello degli adulti E' fondamentale invece che sia un luogo di prova Immagino alloggi chiusi dove c'è detenzione a tutti gli effetti perché deve esserci ma dove persone precise e specifiche mettono in atto un progetto» «E' fondamentale una figura di riferimento decisa e sicura bisognerebbe svegliarsi e preparare la colazione insieme come avviene in una casa normale» La folla in attesa della sentenza venerdì davanti al tribunale minorile di Torino. La condanna ha riaperto le polemiche sul delicato problema della punizione e del recupero dei minori Il padre di Erika, Francesco De Nardo

Persone citate: Chiaria, Dottore, Francesco De Nardo, Pazè, Tomaselli

Luoghi citati: Torino