La battaglia finale chiude il Ramadan

La battaglia finale chiude il Ramadan - — —. . , . :—:—:—: .—~—— .—: ———-—.—:— MATO IL PERJOPO DI DIGIUNO DURANTE IL QUALE «NON SI DOVEVA COMBATTERE» -UVIODIFUOCOSIE' La battaglia finale chiude il Ramadan Oggi termina il mese sacro ai musulmani, e i signori della guerra sembrano decisi a vincere la partita delle «Montagne bianche» condannando a morte gli assediati che non sono riusciti a fuggire reportage Pierangelo Sapegno inviato al KHYBER PASS Lf ULTIMA battaglia è quella i cbe insanguina il Rama¬ dan. Ed è come se il sacro e il profano si mischiassero nel¬ l'unica certezza di una guerra: l'odio. Non c'è la preghiera nei fucili che mitragliano le galle¬ rie incavale dentro le monta¬ gne, nei carri armati che esplo¬ dono i loro colpi sull'altra co¬ sta fracassando l'aria e treman¬ do di violenza, nei caccia che fissano lugubri tracciati per il cielo e nelle bombe che vengo¬ no giù martellando tutto, la¬ sciando solo voragini, poveri scheletri d'albero, rovine spar¬ se. Però, ogni tanto gli ufficiali si inginocchiano sui tappetini e si voltano verso la Mecca, e quando si incontrano si saluta¬ no guancia a guancia, e non bevono neanche il tè, e non fumano mai e ai giornalisti appena possono dicono: «Allah lo vuole». Poi, i soldati che avanzano ammassati sopra i camion, sobbalzando sui sentie¬ ri che rimontano le salite, sven¬ tolano i fucili per salutare le telecamere come se fossero i divi di uno spettacolo che non deve fermarsi mai, neanche adesso, e fanno grida di vitto¬ ria alla Cnn, alla Bbc, a tutte le tv del mondo che li guardano andare a uccidere, o a morire. E Hadji Zaman e Hazrat Ali e Hadji Ajoub, e tutti i comandan¬ ti della milizia che vanno su per le montagne attorniati da una folla di giornalisti, parlano e scherzano ai microfoni, s'ar¬ rabbiano anche, e discutono. La verità è che l'unico signore che c'è in questa guerra, in tutte le guerre, è quello dello spettacolo. Dove sono gli ameri¬ cani-', chiede uno. «Nella mia tasca», risponde Hazrat Ali. E dietro di lui, un altro ufficiale se la prende con questi yankee, che bombardano male: «Tirano giù di tutto, ma un mucchio di volte sbagliano. Il lavoro lo faremo noi». Così, nella festa del Rama¬ dan, la guerra d'Afganistan non vive solo la sua battaglia più dura, ma anche l'unica immortalata dalle televisioni, seguita passo a passo da truppe di cronisti che intralciano con le loro Toyota la sola stradina sterrata che porta ai covi di Al Qaeda. Ed è una battaglia all'ul¬ timo sangue, come adesso an¬ nunciano tutti, da una parte e dall'altra della barricata. E' finito il tempo della resa. «Non dobbiamo ucciderci tra musul¬ mani», aveva detto qualche giorno fa uno dei miliziani arabi parlando al telefono con Hadji Zaman, attorniato dai giornalisti, quasi in diretta tv. «Dovete arrendervi», risponde¬ va Zaman. «Non possiamo. E' troppo pericoloso per noi». E il comandante dell'Alleanza del Nord, la sua bella barba grigia, il suo mantello di lana sulle spalle, il suo turbante, .«lascia¬ te fare a me» aveva detto, prima di allontanarsi finalmen¬ te dai giornalisti per trattare senza le orecchie del mondo. Oggi, invece, proprio oggi che finisce il Ramadan, non uno deve salvarsi, sembrano aver deciso i signori della guerra. Ieri sono riusciti a sfondare una grotta: 33 morti e 4 prigio¬ nieri. Le vette e i costoni sono avvolti dalle nubi delle bombe senza continuità di sosta come se stessero bruciando intera¬ mente. Le truppe dell'Alleanza del Nord continuano a salire, ad avvicinarsi alle ultime ca¬ verne, con i mitragliatori sulle spalle, le cartucciere, i fucili. E Hadji Ajoub dice : «A quelli di Al Qaeda non restano che due soluzioni: scappare o morire. Adesso i bombardamenti ameri¬ cani sono diventati molto preci¬ si». Tutto questo fa ancora più effetto ripensando all'inizio della guerra, ai dibattiti su quanto avrebbe dovuto essere veloce: «Bisogna finirla prima che cominci il Ramadan». Inve¬ ce, da oggi al 18 dicembre l'Islam festeggia la fine del Ramadan. Tutto è chiuso e imbandierato come da noi a Natale. Eppure, proprio in que¬ sti giorni, a Torà Bora la batta¬ glia si è intensificata e spettaco¬ larizzata, con le bombe che piovono come in un war game sui disegni spezzati delle cime che si inseguono attorno alla valle, e con le terribili bombe «tagliamargherite» che rapina¬ no e cancellano tutto quello che trovano per un raggio di mezzo chilometro. Dicono per¬ sino che gli americani hanno tirato fuori un bel pacco di dollari per convincere i mujaheddin a continuare la lotta: «Li hanno riempiti così tanto che adesso non possono fare altro che obbedire». Proba¬ bilmente non è vero. Non ce n'è neanche bisogno. Ma qualunque sia la fine dello scontro, la battaglia del Ramadan regalerà al mondo non più di duecento arabi immo¬ lati nella trappola delle grotte di Torà Bora. Gli ultimi prigio¬ nieri, le ultime vittime sul cam¬ po. La maggior parte è già scappata, e anche Bin Laden forse se n'è già andato da alme¬ no dieci giorni, nonostante la Cia sia convinta della presenza del principe di Al Qaeda in questa zona dell'Afghanistan. Anche Hadji Ajoub adesso lo fa capire: «La nostra frontiera è impossibile da controllare in tutta la sua lunghezza. Se l'eser¬ cito pakistano non lo impedi¬ sce, pure ora che la battaglia è in corso, molti di loro potranno passare tranquillamente dall'al¬ tra parte del confine. Ci sono molti passaggi per liberarsi dal¬ la nostra pressione». Invece, quando questa battaglia comin¬ ciava, il comandante Hazrat Ah chiacchierava con i giornalisti seduto su un masso, grattando¬ si la sua grande barba incolta, e diceva: «Per loro, non c'è scam¬ po». E Bin Laden? «Neanche per lui, se è lì dentro». Però, se è scappato, la batta¬ glia del Ramadan l'ha vinta lui. Il prezzo che ha pagato è quello che sta pagando tutto il mondo dall' 11 settembre, un elenco di morti che non si ferma davanti a niente, cbe viene dimenticato con la stessa velocità con cui la guerra dimentica i suoi figli per cercarne subito degli altri. In fondo, è proprio per questo che si è arrivati qui, all'ultima battaglia del Ramadan, davan¬ ti alle televisioni che consacra¬ no tutti i fuochi che crepitano, gli spari, le bombe, le avanzate delle truppe come una scampa¬ gnata di montagna, l'orrore come uno spettacolo. Si va avanti sino alla fine. Quando si conquista una grotta, accorre la tv e si mostrano i soliti manuali di istruzioni militari, gli schemi che indicano come piazzare gli esplosivi per un attentato, casse di proiettili e di tiri a segno, e tutto il repertorio di tutte le basi di Al Qaeda. Però, sembra sempre una scoperta. E sul sentiero che continua a salire, c'è una Toyota sventrata con il motore lanciato a 30 metri, e poi ci sono dei vecchi tank sovietici T-55 degli Anni Sessanta e qualche T-62 più recente, i segni di qualche morto scono¬ sciuto e di altre guerre come questa. La strada è sempre la stessa. Conquistata un'altra grotta Il bilancio: 33 uccisi e solo quattro prigionieri Il comandante Hadji Ajoub: «Quelli di Al Qaeda hanno due soluzioni Scappare o morire» Una catena di esplosioni sulle montagne di Torà Bora, dove sembra Imminente la caduta dell'ultima roccaforte di Al Qaeda

Luoghi citati: Afganistan, Afghanistan, Mecca, Torà Bora