La versione di Max

La versione di Max •^ La versione di Max VENERDÌ 14 SBARCA AL PALASTAMPA LA CAROVANA CAPITANATA DA PEZZALI, CON LE CANZONI DELL'ULTIMO ALBUM. «UNO IN PIÙ». SI INIZIA ALLE ORE 21. IL BIGLIETTO COSTA 40 MILA LIRE CME' una vecchia tavola di ■Andrea Pazienza, e qui ricordo a spanna S- cito assolutamente a memoria, nel¬ la quale un punk si rammarica di non potere confessare ai suoi amici bolognesi che, a ogni ascolto della «Locomoti¬ va» di Guccini, viene preso da imo stranguglione di quelli brutti. Caso non isolato. Bazzican¬ do in ambienti se non proprio punk, protopunk, con gente più o meno della mia età, al posto del classico del Guccio (con annessi sensi di colpa e connesse necessità di mafioso silenzio) c'era e forse ancora c'è «Gli anni» degli 883. Ovve¬ ro di Max Pezzali. Canzone che ti fa scendere ima lacri- muccia, sicuro, o che ti mette il magone, ma dal tuo cuore di tosto undergrounder nulla de¬ ve uscire. Neanche quando si parla degli «anni d'oro del Grande Real I gli anni di Hap¬ py Days e di Ralph Malph Z gli anni delle immense compa¬ gnie Z gli anni in motorino sempre m due». Una sorta di piacere proibi¬ to. E' il prezzo che si paga a creare quelle che una volta Claudio Cecchetto definì, con fortunato neologismo, canzo¬ ni constatative. Ovvero nel senso di minimaliste, quasi (e qui nessuno scuota la testa o sgrani gli occhi, per favore) carveriane. Max scrive quello che vede. Difficilmente ci fa la moralet- ta sopra. Magari a coprire i suoi testi (probabilmente tra i migliori dell'ultima canzone italiana) ci sono arrangiamen¬ ti talora discutibih, ma tant'è. «Quando ho in iniziato, le regole erano stile Masini, alla "perché lo fai", e giù con dosi di finta pietà e di orribile buon senso» raccontava anni fa Pez¬ zali davanti a una birra, nel bar pavese del grande Dante, mentre insieme a lui e a un amico si scriveva il libro che poi diventò ima sorta di auto¬ biografia pubblicata da un grande editore eccetera eccete¬ ra. Già solo da questa afferma¬ zione si capisce la distanza con «Cumuli», dove la Classica Figura del Tossicodipendente è trattata alla pari, come quel¬ la di un amico che davvero c'è passato. Al massimo con un po' di rammarico, ma non con rime baciate da poesia di terza elementare e con una retorica da iperglicemia garantita. «Non parto mai dal tema, ad esempio, l'eroina. Un altro pezzo è nato perché una matti¬ na dalla mia finestra ho visto un vigile che spingeva una bicicletta, scazzatissimo. Che strano, ho pensato, quasi ridi¬ colo, o surreale, con la nebbia di Pavia tutt'attomo. Poi sono venuto a sapere il resto. Una mia vecchia conoscenza, che un tempo si faceva, morta assiderata su una panchina, Eer overdose o chissà. La sua icicletta abbandonata vici- no». E così è venuta fuori «Se tornerai». Anche nelle canzoni da tor¬ mentone, da «La dura legge del gol» a «La regola dell'ami¬ co», lo spunto sembra arrivare da considerazioni spicciole, as¬ solutamente quotidiane, che poi solo in un secondo tempo diventano cori da cantare a squarciagola. Se anni fa si discuteva sulla necessità (o la possibilità) di distinguere poe¬ sia da canzone, con gli 883 il problema non sussiste: è pro¬ sa trasformata in musica. Can¬ zoni constative, caro geniale e folle Claudio, per l'appunto. Max, che ascolta di tutto, dal punk 77 all'industriale più peso, e legge di ogni, da Brizzi a Bukowski passando attraver¬ so I fiori del male e i fumetti tosti di Preacher, e ama la voce di Stan Ridgeway dei Wall of Voodoo così come apprezza la vena da rocker di Nek, dalla sua provincia guar¬ da curioso e goloso, digerisce, mette nero su bianco. «In città puoi passare una vita prima di rivedere i fanta¬ smi del passato; qui fanno benzina al tuo stesso distribu¬ tore». Sorry, ma una frase così, poi buttata a caso duran¬ te una conversazione all'im¬ mancabile bar. Cesare Cremo- nini dei Lunapop se la sogna. Max è il classico «what you see is what you get». Quello che vedi è quello che è. E' onesto, e questo è il migliore complimento che si possa rega¬ lare nel panorama della musi¬ ca italiana e intemazionale. Piace ai trentenni perché ha lo spleen della loro, della no¬ stra (della sua) generazione, quella sensazione sotto pelle di trovarsi sempre fuori posto, fuori tempo, fuori orario. ((Alle elementari ci promet¬ tevano un futuro di lavoro fisso, di famiglia con almeno due bambini, sul muro c'erano il crocefisso e la foto di Leone. Promessa che poi nessuno ha saputo mantenere. Normale sentirsi sbalestrati». Piace ai bambini di undici anni per le sue esplosioni di gioia ribalda e irrefrenabile, quando il bar diventa bar sport, (piando la nebbia di Pavia si dirada, quando la compagnia si riforma, si va in giro in macchina o allo stadio a fare casino. E se non si vuole far passa¬ re l'aggettivo di carveriano, se si pretende ancora di far vale¬ re la regola del piacere proibi¬ to, se non si capisce che i pezzi migliori di Max sono tanti, piccoli romanzi di formazio¬ ne, allora almeno gli si ricono¬ sca la dignità del pop. Della grande tradizione pop, che a volte travalica confini e gene¬ razioni. E a culo tutto il resto, e bona le prima che diventi pesa, per finire con Guccini e Pazienza. Così come s'è inizia¬ to. Giovanni Arduino 11

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