«Bello fare gli "arabi" a 150 dollari al mese»

«Bello fare gli "arabi" a 150 dollari al mese» PARI ANOJ COMBATTEN"n DELLA «LEGIONE STRANIERA» DI BIN LADEN «Bello fare gli "arabi" a 150 dollari al mese» I due sbandati Rauf e Naveed: «Quelli di Al Qaeda erano ricchi e ci pagavano molto più di un professore universitario. La guerra non è finita, noi torneremo a lottare con loro o con altri» reportage Pierangelo Sapegno inviato a SPIN BQtDAK (Afghanistan) OLTRE quelle mura grigie, l'uo¬ mo ha dimenticato il colore. Distesa di terra arida. In lontanan¬ za, una rete alta tre uomini. Un mucchio di gente che spinge. Poli¬ ziotti, divise verdi. Gipponi con i mitra, lungo il confine. Rauf cam¬ mina a fianco della parete, «noi siamo rientrati da li» dice, puntan¬ do il dito, l'Afghanistan e il cielo, sempre lo stesso, celeste e grigio, opaco. In quanti? «Venticinque, so io». Naveed ripete: «Venticinque». Due della legione straniera, Rauf, 23 anni, e Naveed, 21, pakistani, tornati a casa 7 giorni fa, la guerra d'Afghanistan perduta, un giorno come questo, una capra che ti guarda, un pastore con la barba grigia, un fuoristrada che alza nubi di polvere e sputa gas. Combattu¬ to? «Mai», sorriso di Naveed. Era¬ no sopra Kabul, a Nord. Erano più di cinquecento. Pagati bene, man¬ giato bene, armi nuovissime, e Rauf fa finta di avere un mitra. Centocinquanta dollari al mese, «ma ce n'erano altri che ne prende¬ vano duecento». Un professore di università a Kabul guadagna 120 dollari all'anno. Sorriso di Rauf. «Eravamo pakistani e arabi», Naveed, la mano a visiera, una nuvola di polvere da ingoiare. Ades¬ so? «Molti sono tornati a casa. Altri sono rimasti. Fra noi, nessun pri¬ gioniero». Il solito sorriso: «Ma la guerra non è persa». No? Il confine che bi sbriciola, i marines a Kan¬ dahar, 15 posti di blocco in 40 chilometri, bambini abbandonati che ti guardano passare. Cosa c'è più della guerra? «Non è finita», occhi di Rauf contro i nostri. Rauf e Naveed dicono di aspettare: «Ve¬ diamo come si mette. Possiamo tornare». Dove? «In un altro grup¬ po, nello stesso. Sempre fra di noi». I contatti sono rimasti, dicono, «tutto è rimasto». La storia della Legione straniera nella guerra d'Af¬ ghanistan meriterebbe d'essere studiata meglio. In tutto, forse diecimila volontari, o forse molti di più. Soldati da tutto il mondo, egiziani, libanesi, sauditi, algerini, ma anche europei. Naveed, faccia in controluce, «sono arrivati dopo, quando erano già cominciati i bom¬ bardamenti. Dalla Germania e dal¬ l'Italia». Italiani? «Musulmani che vivono in Italia». Cioè, arabi? «Sì, non so dire. Probabilmente». E adesso dove sono? «Può essere che siano rientrati. Loro erano arrivati passando dall'Iran. Avranno fatto il percorso inverso». Nel loro gruppo, non hanno mai visto Osama bin Laden. Quello comandato da Adbul Aziz, del Su¬ dan, attestato nel campo di Beni Hesar, a Sud di Kabul, invece si. Il 25 ottobre, alla sera, scortato da 120 guardie del corpo: apparve nell'accampamento per passarci la notte. Arrivava dalla provincia di Logar e doveva essere due giorni dopo a Kabul. Dormì con loro. Tre ore dopo la sua partenza, la collina fu colpita da due missili americani. Il racconto l'ha fatto l'unico soldato afghano che faceva parte delle truppe di Abul Aziz, «un capo che educava i suoi uomini nel culto del martirio». Però, quando ha visto che non c'era niente da fare, ha detto: «Andate, salvate la pelle. Ci ritroveremo tutti di nuovo». Solo quelli più al Nord sono rima¬ sti intrappolati, quelli di Mazar-i- Sharif e forse di Kunduz, e poi quelli asserragliati a Torà Bora. Degli altri, molti ce l'hanno fatta. Nella Legione straniera dell'Islam sarebbero caduti tre americani. Due morti, e uno prigioniero, John- ny Philip Walker Lindh, di Fairfax, California, vent'anni e ormai una faccia risucchiata dagli stenti, in prigione a Camp Rhino, prima di essere riportato in America per il processo. Lui nella guerra c'era arrivato attraverso il Pakistan, do¬ v'era finito per studiare l'Islam. Rauf, inchinandosi sotto l'arco di una breccia nel muro, «ma se l'avevano arruolato da noi, vuol dire che era fidatissimo» dice. Per entrare nella Legione ci vogliono tutta una serie di garanzie: «Devi essere musulmano, devi essere pre¬ sentato, e ti devono conoscere». Rauf e Naveed ora se ne vanno, dicono che la guerra è così. «Dura una vita». La polvere ha il colore del sole. Loro hanno queste facce che sorridono, come se tornassero da una scampagnata. Rauf ha la barba spuntata con le forbici e due rughe sulle sopraccigha come due antenne. Naveed ha peli incolti. Dice Rauf: «Con i soldi che abbia¬ mo preso non abbiamo avuto pro¬ blemi a tornare in Pakistan». Rauf dice che questa non è una disfatta: «Molti di noi si sono salvati ed è la cosa più importan¬ te». L'unico perduto di questa legio¬ ne straniera sembra Johnny Philip Walker, un americano con la testa vuota, come l'ha definito il suo ministro degli Esteri. Sta a Camp Rhino assieme ad altri prigionieri delle miUzie arabe. Loro avranno processi e galere americane. Altri, feriti, sarebbero riusciti a trovare rifugio negli ospedah del Pakistan. Poi ci sono quelli nei campi dei mujaheddin, come quello alle por¬ te di Spin Boldak, sulla strada per Kandahar, coricati sulla terra a centinaia, con i soldati a guardarli, i kalashnikov a tracolla e le barbe cattive. Quando arrivò la televisio¬ ne, uno diceva: «Nessun problema. Questa è la guerra. Se moriamo andiamo da Allah. Se ce la faccia¬ mo, torneremo a combattere per morire».