«Due vite che dovranno rientrare in gioco» di Marco Neirotti

«Due vite che dovranno rientrare in gioco» «Due vite che dovranno rientrare in gioco» I consulenti dell'accusa: ora si cominci con il recupero periti Marco Neirotti TORINO ADESSO che c'è sentenza, adesso che il circo emotivo e mediatico smorzerà le luci, adesso possiamo scendere cau¬ ti nella parte più delicata e sconvolgente di questo massa¬ cro, che per otto mesi si è abbeverato a se stesso. Ora che Erika e Omar hanno di fronte la prima certezza - verrà la Corte d'Appello - si può dire di carce¬ re e comunità, capacità di inten¬ dere e incapacità, espiazione e recupero. E quale uomo e quale donna torneranno alla società? E ancora - come fin dall'inizio - perché? Alessandra Simonetto è sta¬ ta, con Adolfo Ceretti e Gustavo Charmet, perito della magistra¬ tura. Hanno sostenuto che gli imputati sapevano che cosa facevano, distinguevano fra be¬ ne e male. Ma in quella creatu¬ ra evaporante che si chiama opinione pubblica è sempre ri¬ masto un contraddittorio desi¬ derio: «in cella per sempre» però sapendo che «sono pazzi». La «normalità» che ammazza genera terrore. Oual è il potere di perizie e consulenze di parte? Determi¬ nano strade processuali? e qua¬ li sono i sentimenti di chi quello spartiacque del futuro delinea? «E' una responsabilità schiacciante - dice Alessandra Simonetto - Puoi sbagliare ma non puoi permettertelo, perché puoi incidere in modo non so¬ stenibile. In questi mesi ci sia¬ mo trovati di fronte alle pressio¬ ni esteme, all'emotività dei me¬ dia. Ma era e doveva essere una consulenza normale, incondi¬ zionata. Noi non interveniva¬ mo sul futuro dei ragazzi, dava¬ mo una definizione umana e limpida della situazione». - Sta di fatto che per voi erano sani di mente, per i consulenti della difesa no: «Mi rendo con¬ to che l'essere di parte abbia in sé un fine: la salvezza. Ma per noi era dare una risposta a tutti, magistrati e ragazzi». Pas¬ sata la bufera di emotività, ci si domanda ancora perché l'han¬ no fatto. La risposta c'è, ma poco traducibile. Simonetto: «E' un perché difficile da tra¬ smettere con canoni abituali. La spiegazione è nitida ma non semplice e concreta come la domanda. Paradossalmente la curiosità sarebbe più placata da una risposta come il motivo brutale dei soldi, tipo Maso. Dietro la notte di Novi c'è invece un superamento dei limi¬ ti, conquista di libertà oltre ogni limite. Il mondo adulto non è pronto ad accoglierla, perché sta nel sentimento, non nella pratica quotidiana». La risposta degli esperti non è un antidolorifico per le ansie. Il «perché» è nel crescendo di una coppia fatta di personalità diverse che si integrano, narci¬ sista e dominante lei, bisogno¬ so di certezze lui, dipendente. Ma anche interdipendenti. In¬ sieme trovano un potenziamen¬ to a 360 gradi. Non pensano a un delitto. Pensano a una loro crescita distorta. I nostri modelli - fami¬ glia, figli, routine - non basta¬ no. E, appunto, loro non hanno - non hanno avuto - limiti. Pensano a quel di più fatto di spazi, fisici e mentali, che inve¬ ce diventano il loro «imprigio¬ namento» del proseguire insie¬ me e solitari, isolati dagli altri. Più che amarsi, si ritrovano per bisogno. Nessuno dei due, da i f solo, avrebbe fatto quel macel- i'To. Sono diventati una monade ^ in cerca di un cammino pro¬ prio, fuori e oltre gli affetti. L'assassinio è programmato, ma non è il fine ultino. E' tappa di un viaggio tragicamente aset¬ tico. Poi ci sarebbe stata una vita ancora in cammino. Ma c'è un intoppo: l'arresto. E qui cambia il cammino, ancora pos¬ sibile - e del tutto nuovo - per entrambi, su sentieri diversi. La domanda morbosa è: che accadeva in quelle famiglie? La Simonetto risponde pacata: «Accadeva quello che accade nella sua e in quella dei suoi vicini di casa. Ho letto sui giornali fantasie da fiction. La verità è che erano famiglie come tante, con le loro caratte¬ ristiche e, ovviamente, i loro problemi di relazioni». Erika e Omar sono venuti avanti, passo doppo passo, nella quotidiani¬ tà, sempre meno intercettati o intercettabili. Torniamo alle colpe della famiglia? «No. Anzi, tutti noi proviamo una pena infinita per quelle due famiglie che si sono mosse in buona fede, non han¬ no sbagliato per volontà o disin¬ teresse. Si può sbagliare men¬ tre si fa del proprio meglio». Ma essere famiglia è vita, non è mestiere. Che dobbiamo fare a casa nostra? «Prestare attenzio¬ ne. Non "ascoltarli" con le orecchie, ma in mille modi: comportamenti che mutano. Ogni genitore vede un pezzo della vita del figlio e quel pezzo che vede è spesso isolato dall'in¬ sieme. E comunque non possia¬ mo considerare soltanto il nu¬ cleo ristretto. Attorno al mino¬ re girano altre figure, che posso¬ no osservare, ma anche ascolta¬ re, comunicare fra loro». Troppo dimenticato è il fra¬ tellino. Sorprendente è il silen¬ zio del papà di Erika, così fuori dal circo tv. Ha avuto una vita normale, una tragedia speciale, moglie e figlio ammazzati, am¬ mazzati dalla figlia. E' trascina¬ to da due lati come i martiri lo sono dai cavalli. Gli resta Erika, che aveva previsto an¬ che il cadavere di lui e che corre a piangergli addosso: as¬ sassina dentro casa ma figlia superstite, orrore per gli «spet¬ tatori», altro per lui, depredato di affetti e incantenato a un affetto. L'Italia gridava «carcere» e «buttate la chiave». Che senso ha il carcere per i minori? Può averne, spiega Adolfo Ceretti. Per una personalità come Erika può essere il luogo dove smonta¬ re, sblindare narcisismo, sprez¬ zo, superiorità, inscalfibilità. Espiazione e presa di coscien¬ za? Alessandra Simonetto non si sbilancia: «Ci siamo attenuti al mandato, volevano una rispo¬ sta specifica. Non l'abbiamo pensata per il poi. Abbiamo risposto». E Ceretti ricorda che ci sono carceri, come il Beccaria, Nisi- da, il Ferrante Aporti - dove Duccio Scatolero reinseriva i ragazzi attraverso i loro miti - che lavorano come e talora meglio delle comunità: per rein¬ serire. Eppure già si parla di modificare la legge per i mino¬ ri, inasprirla, abbassare l'età per l'arresto: «Questa legislazio¬ ne offre una varietà di possibili¬ tà per ogni singolo caso - dice Simonetto - con percorsi, possi¬ bilità di manovra, anche di interventi nel corso del tempo. Ouesta legge prevede tutti i casi e tutte le risposte, non fa standard. Fa giustizia caso per caso, anche con la severità, anche con l'accompagnamento. E si lavora meglio quando le luci del circo si spengono». A luci spente dovranno avve¬ nire, ognuna con il suo percorso, la crescita dell'uomo Omar e quella della donna Erika. E' un percorso lungo e fattibile, pensa¬ no i periti, ma non spetta a loro. Saranno altri. Che donna avre¬ mo? Quella che viaggerà attra¬ verso passaggi da vedere tappa per tappa. Intorno a questi ragazzi ci sono stati tanti adulti: giudici e periti, avvocati e personale del carcere, autori di lettere e giorna¬ listi. Simonetto: «Lo spettacolo ha prevalso sulla vicenda. Abbia¬ mo visto le perizie rese pubbli¬ che, abbiamo visto una dimensio¬ ne viscerale e sanguigna del pro¬ blema. Un circo, appunto, impaz¬ zito». Ha tristezza per Erika e Omar? «Per tutta la vicenda». Voi siete un ago di bilancia: «Casi piii banali mi hanno dato l'inson¬ nia. Si commette talora un grave errore: voler vincere. Per molti vincere è uscire indenni. Ma non è questo: vincere è trovare, fra tutte le parti in gioco, una solu¬ zione a una realtà sospesa: abbia¬ mo vite perse per sempre, vite che hanno perso la serenità, vite in gioco, vite che dovranno pro¬ vare a rientrare in gioco. In questi processi, le assicuro, non vince mai nessuno». «Questa vicenda è diventata un circo impazzito, lo spettacolo ha prevalso sul problema di un massacro avvenuto in famiglie normali come quelle di tutti» «Bisogna spegnere le luci su questi ragazzi e applicare la legge che va bene così com'è Nessuno ha vinto In questi processi non vince mai nessuno» Ieri Erika e Omar sono stati condannati per l'omicidio della madre e del fratellino di lei

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