Carcere per Erika e Omar, 16 e 14 anni

Carcere per Erika e Omar, 16 e 14 anni Carcere per Erika e Omar, 16 e 14 anni Sentenza a Torino, il giudice: non butteremo via la chiave Alberto Caino TORINO E' finita con una sentenza che accusa e difesa hanno definito equili¬ brala: 16 anni ad Erika, 14 ad Omar (che comprendono lo sconto automa¬ tico di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato). Ed è finita nella commozione generale; le lacrime dei due ragazzi potevano essere sconta¬ te, meno la voce incrinata del presi¬ dente Ennio Tomaselli, autore della quadratura del cerchio con questo dispositivo che lo stesso magistrato ha riassunto ai giovani imputati con saggezza patema: (Avete commesso un grave reato e meritato una con¬ danna adeguata, ma sappiate che questa sentenza non significa chiu¬ dervi in cella e buttare via la chiave. Noi giudici non abbiamo notato al¬ cun segno di recupero in nessuno di voi. La pena deve aiutarvi a matura¬ re la consapevolezza del male fatto. Guardate avanti, lavorate per que¬ sto». Le attenuanti generiche prevalen¬ ti sulle aggravanti sono state conces¬ se, anche ad Erika, e questo fa la differenza rispetto alla richiesta del¬ l'accusa (20 anni per lei). Si dovranno attendere le motivazioni della sen¬ tenza, previste entro 60 giorni, per sapere se i giudici hanno ricompreso nelle generiche r«attenzione» per il disturbo di personalità che hanno menzionato nel dispositivo stabilen¬ do che «la ragazza venga supportata, oltre che con stimoli educativi ed impegni lavorativi, con un interven¬ to terapeutico adeguato a fronte del disturbo di personalità della mino¬ re». Erika «dovrà essere aiutata ad elaborare i vissuti legati ai delitti commessi e alla conseguente vicen¬ da giudiziaria». Per i suoi difensori, Mario Beccassi e Cesare Zaccone, è «il segno che qualcosa abbiamo semi¬ nato sull'incapacità di intendere e volere della ragazza». C'è un quadro clinico grave, ripete Zaccone che ai cronisti rende il senso del tutto con una frase lapidaria: «Che cosa volete che capisca la Erika!». Erika è stata giudicata capace di intendere e volere nel premeditare e attuare, la sera del 21 febbraio, il massacro della mamma Susi Cassini e del fratellino Gianluca (per la legge il matricidio è reato più grave del¬ l'omicidio di un fratello, anche se di pochi anni). Resta il fatto che relazio¬ ni bimestrali sulla «situazione di Erika» dovranno essere presentate al tribunale. I suoi legali avevano inutil¬ mente chiesto il ricovero della ragaz¬ za «in un luogo di cura». Con «queste disposizioni i giudici ci hanno lascia¬ to socchiusa la porta». E Zaccone azzarda un «forse non faremo appel¬ lo, vedremo». Le sette ore di camera di consiglio di Tomaselli con i colleghi onorari - il sociologo Gianni Garena e la neurop¬ sichiatra Carla Negro - non hanno lasciato insoddisfatti nemmeno i di¬ fensori di Omar. «Quei 14 anni sono un po' troppi, ma noi chiedevamo - commenta Vittorio Gatti - la messa alla prova per tre anni del ragazzo e una forma più dura di questo provve¬ dimento ci è pur stata riconosciuta». L'avvocato allude ad un altro pas¬ saggio interessante della sentenza, dedicato al ragazzo: l'equipe di spe¬ cialisti incaricata di seguirlo non .-dovrà trasmettere ai giudei soltanto relazioni bimestrali, come per Erika. Per lui si prevede che gli «operatori potranno, se e quando riterranno che ne sussistano le condizioni, formula¬ re valutazioni ed eventuali proposte anche in punto misure cautelari». Per lui la speranza è di essere affida¬ to a ima comunità, da cui ovviamen¬ te non dovrà allontanarsi. Quando? Dipenderà dal «suo percorso in carce¬ re». Quello stesso indicato da Toma¬ selli: lavoro per lui, lavoro per lei. L'avevano chiesto anche i genitori di Omar che ieri non si sono presentati in tribunale. Non l'ha voluto il figlio. Primo atto di responsabilità? C'era, ma sempre fuori dall'aula, l'ingegner De Nardo che ha una figlia sommersa dal ruolo di piccola diva della dissacrazione assoluta e, per questo motivo, anche da tonnellate di lettere. Tanto da costringere la direttrice del «Beccaria» a chiedere aiuto ai giudici. Costoro se ne ricorda¬ no nella sentenza. D'ora in poi tocche¬ rà al magistrato di sorveglianza del carcere minorile milanese filtrare la corrispondenza della ragazza, sia quella in arrivo che quella in parten¬ za. I giudici si congedano con un comunicato stampa in cui chiedono agli orfani di informazione di far calare sul caso «il silenzio, condizio¬ ne essenziale per portare avanti su ragazzi, che erano e restano detenu¬ ti, il lavoro affidato agli specialisti». Lo chiedono anche il procuratore capo Piercarlo Pazé e il pm Livia Locci nel lasciare per ultimi gli uffici giudiziari, nel buio delle sei di sera. Loro dicono che «la sentenza dà spazio al valore delle vite uccise», che «anche dei ragazzi devono sentir¬ si responsabili e subire una pena proporzionata alla gravità del com¬ portamento tenuto» e che «la pena non può essere separata, a maggior ragione quando la subiscono dei mi¬ nori, da un necessario e robusto intervento educativo. Che può me¬ glio svolgersi dopo la fine del proces¬ so, quando i riflettori sui ragazzi si saranno spenti». Sarà così? Anche Livia Locci, silenziosa pro¬ tagonista dell'inchiesta, si è commos¬ sa alla lettura della sentenza: è finito un «incubo» che l'ha impegnata a tempo pieno per quasi dieci mesi, può tornare alla «normalità» e alla sua famiglia. Senza dimenticare Susi Cassini e il suo piccolo Gianluca. Il rito abbreviato ha scontato la pena di un terzo - I giudici ai due giovani di Novi: «In voi deve maturare la consapevolezza del male fatto Guardate avanti lavorate per questo» Erika si allontana dal tribunale in auto nascosta dai giornali

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