Nella casa di Omar grandezze e macerie

Nella casa di Omar grandezze e macerie ' : . : i DIETRO LE PORTE DI FERRO, LA SORPRESA: MURALES CON SCENE CAMPESTRI, CORTILI FIORITI, RESTI DI UNA QUOTIDIANITÀ SERENA Nella casa di Omar grandezze e macerie Minareti di pietre verdi, candelieri dorati, vasi di rose Una moschea in stile Disneyland, libri e muri crepati reportage Pierangelo Sapegno inviato a KANDAHAR LONTANO dalle macerie di Kandahar, ai piedi di una mon¬ tagna spelacchiata, al riparo di una scarna pineta, c'è il comples¬ so residenziale dove viveva il mullah Omar. E' pieno di sbarra¬ menti fortificati che controllano tutti gh accessi. Il vasto terreno è circondato da alte mura, protette da batterie di cannoni antiaerei. L'ingresso monumentale è fian¬ cheggiato dall'ennesimo posto di guardia. Dentro sorge un palazzo in versione islamica rococò. Il mullah Omar, che predicava la povertà e l'antimodemità più as¬ soluta per i suoi sudditi, si tratta¬ va bene. E' la solita storia dei dittatori, da quando esiste il mondo. Una moschea in puro stile Disneyland domina un lai-go spiazzo polvero¬ so. I minareti risplendono di pie¬ tre verdi. In questo tempio kitsch, il verde e il rosa sono i colori dominanti. Attorno al muro di cinta, risparmiato dalle bombe e affrescato con scene tranquille, fioriscono piante che rimandano a un Afghanistan dalla natura lussureggiante, che nessuno ha potuto scoprire correndo qui ver¬ so Kandahar. Ci sono grosse porte in ferro. Poi un piccolo cortile, dove bisognava aspettare udienza sull'erba ingiallita di un praticel¬ lo. Vasi di rose. E gh uffici, con colori dolci e caldi. Hamid Karzai, il nuovo capo del govemo ad interim di Kabul, si è installato in questo palazzo. Sono venuti anche i consiglieri militari americani, e le loro anten¬ ne coprono i tetti della residenza, dietro la moschea. Oltre a una nuova porta di ferro, il mullah Omar aveva alle¬ stito i suoi appartamenti. Stesso stile rococò e arabescheggiante. Candelieri dorati e grandi mura¬ les con cascate d'acqua e scene campestri. In un angolo, un gran¬ de mazzo di fiori intonato al colo¬ re deUa parete Due ah distinte. A sinistra, le camere private del capo dei tale¬ ban. La stanza della preghiera, abbastanza piccola. Una foto: la moschea di Medina. Altra stanza: letto a due piazze. Una biblioteca contro la parete, piena di libri. Un bagno rosa, una doccia e toilette alla turca. Gh americani qui non avevano la mira giusta: poche bombe. L'ala destra era per le tre donne del mullah. Il pavimento è distratto. Qui invece gh america¬ ni hanno colpito duro. Borotalco da bambino per terra, una botti¬ glia di latte da neonato. La cu¬ cina: c'è il mu¬ ro crepato, i missih hanno spazzato via i tavoli. Però la villa è stata nel suo insieme ab¬ bastanza ri¬ sparmiata. In un'altra casa di Kan¬ dahar - pavi¬ menti verdi, co¬ lori forti, un pacco di bombe ammassate in un angolo - un uomo, un co¬ mandante con la barba grigia, il giaccone mihtare e i calzoni neri, mostra un'agenda. «The hook», dice, indicando le pagine con le lettere segnate in rosso. Cammina per la stanza in penombra e si mette in posa come per una foto¬ grafia. «Questo è il libro di Al Qaeda», dice, e i suoi soldati sorri¬ dono. Uno imbraccia il fucile fa¬ cendolo vedere ai giornalisti, la solita barba incolta, le mani gros¬ se, le unghie sporche, e ride: «Con questo ho ucciso un mucchio di arabi». Quando? «Adesso». Anche gh altri ridono. A Kandahar, però, non si spara più. Lungo la strada che porta qui ci sono crateri e coipi sdraiati vici¬ no, coperti dai loro vestiti: impos¬ sibile capire se stiano dormendo o non abbiano invece lasciato per sempre l'anima al Signore. Corre voce che imo «stringer» della tele¬ visione francese sia saltato in aria su una mina. Gamba tranciata, se si salva. Qualcuno parlava di tale¬ ban scappati da Kandahar e arroc¬ cati neUe campagne per continua¬ re la battagha. Gul Agha Shirzai, il nuovo capo della città, ci parlava con le mani appoggiate sul tetto di una macchina, la faccia quadrata, gh occhi duri, e diceva che «la situazione forse non è ancora sicura, ma io sto facendo di tutto Der far deporre e armi. Presto pattuglieremo il deserto fuori da Kandahar e vedrete che tut¬ to tomerà a po¬ sto». Poi ha conse¬ gnato il coman¬ dante al drap¬ pello di croni¬ sti, come per fa¬ re un tour turi¬ stico della cit¬ tà. Lui accom¬ pagna i nuovi arrivati in una base di Al Qae¬ da. Probabil¬ mente, è una puntata fissa del giro, appe¬ na si presenta qualcuno fre¬ sco fresco. Dentro la stanza, c'è un odore di polve¬ re. Viene da fuo¬ ri, in certi pun¬ ti questa sem¬ bra ima città sbriciolata, con i colori del giallo e del grigio confusi nelle macerie dei bombar¬ damenti. Abbiamo visto uomini ridotti a mucchi d'ossa, bambini affacciarsi dai crateri affondati nel cuore di una casa, di una Diazza, di una via. Ma queste sono e fotografie di tutte le guerre, e non c'è bisogno di venire a Kan¬ dahar per vederle. Jella Ani Khan, un altro dei comandanti di Gul Agha, dice che bisogna continuare a stare atten¬ ti, che «secondo le nostre infonna- zioni ci sarebbero ancora trecento fra taleban e miliziani arabi che sono riusciti a fuggire e battono la strada che porta al Pakistan». Un altro soldato, Sayed Abdul Khani: «E' stata dura, hanno resistito sino alla fine». Non importa che le voci che arrivavano a noi, lontano da questa città squassata, fossero diverse, e che raccontassero della resa di Kandahar, come di Ma- zar-i-Sharif e Kabul: capitali ab¬ bandonate dopo i bombardamen¬ ti, ma prima dei combattimenti. Adesso, nella penombra, in mezzo a quest'aria fumosa che avvolge Kandahar, il comandante passa in rassegna tutte le stanze e i corridoi della base di Al Qaeda. Ci sono carte e stracci per terra, scaipe disseminate dappertutto, bende, cartucciere vuote. In un'al¬ tra camera, con la scrivania, una sedia, macchie sulle pareti, il co¬ mandante tira fuori prima un libro rosso, «The virtues of Jihad», e poi un elenco che stringe neUe mani, e dice: «The book, the book». Che cosa sono? Elenchi? E lui, si, sì. Il registro è spesso come un vocabolario e gonfiato dalle scritture a mano veliate su ogni pagina. L'elenco degh stranieri? Il comandante, ritirando il libro, «sì, qui ci sono i nomi degh arabi arruolati nella guerra d'Afghani¬ stan». Il libro comunque non lo molla e porta il drappello di croni¬ sti lungo un corridoio e in un'altra stanza, colori azzurrini, pareti vuote. I soldati attorno continuano a giocare con i fucili, chiusi neUe loro coperte che h avvolgono fino alle ginocchia, le cartucciere sulle spalle come bandoleras, i turban¬ ti, gh scarponi slacciati e le sohte barbe, lunghe, nere. Fuori, aspet¬ tano dei ragazzi, fra le rovine. Uno, dodici anni: «Nessun abitan¬ te del quartiere è stato ferito o ucciso. Molti però sono senza casa. E' per colpa degh arabi e dei taleban che siamo stati bombarda¬ ti. E adesso che sono andati via, è tornata la pace». Era l'ala riservata alle donne nel complesso residenziale del mullah Omar a Kandahar. Le bombe l'hanno distrutta e adesso un guerrigliero afghano curiosa fra le macerie

Persone citate: Gul Agha, Hamid Karzai, Khan, Pierangelo Sapegno, Sayed Abdul Khani