I taleban consegnano le armi nel caos di Mimmo Candito

I taleban consegnano le armi nel caos I taleban consegnano le armi nel caos Scontro tra i capi dell'Alleanza sui termini della resa reportage Mimmo Candito KANDAHAR Ieri, in una giornata felice di sole, a Kandahar è finita la guerra degli afghani. Durava da dieci anni, ora è un conto chiuso. Però, da un paio di mesi, qui c'era anche un'altra guerra che si stava combatten¬ do, la guerra degli americani, e questa, ieri, non è affatto fini¬ ta. Seppure i taleban hanno con¬ segnato le armi, e chiuso per sempre la loro storia, una sto¬ ria breve e tragica, la scompar¬ sa dell'emiro Omar, sparito nel buio bell'ultima notte di guer¬ ra, fa mancare ancora a Bush uno dei due obiettivi dell'attac¬ co all'Afghanistan. Perduto Bin Laden a Torà Bora, perduto Omar a Kandahar, la caccia al mullah e al leader di Al Oaeda è un dovere obbligato. Una cam¬ pagna militare che comunque ha riscritto le frontiere politi¬ che dell'Asia (e ne ha controlla¬ to i tormenti religiosi più di¬ rompenti) deve saper trovare i simboli della vittoria. Non è bastato il sole a fare del primo giorno di pace l'ini¬ zio di un tempo nuovo per l'Afghanistan. Le cerimonie ri¬ tuali della resa hanno seguito le forme del protocollo, con ima rappresentanza dell'eserci¬ to sconfitto che cedeva il pote¬ re ai nuovi padroni della città, la Shura degli Ulema barbuti, dei capi tribù pashtun in pro¬ cessione, dei comandanti mujaheddin con la scorta degli uomini più fidati. Ma le raffi¬ che e le sparatorie che faceva¬ no da sfondo sonoro alla ceri¬ monia ufficiale tradivano la complessità del processo di pa¬ cificazione. La fuga dei talebani è comin¬ ciata di notte. Kandahar è una città in guerra (sia pure ima guerra che ora finisce), ha già di suo strade vuote, case abban¬ donate, negozi che tradiscono un mercato povero, affamato. Ieri mattino, la desolazione, il vuoto, erano però ancora più drammatici: come già a Kabul e a Jalalabad, migliaia di combat¬ tenti della guerra santa erano balzati a bordo dei loro pick-up e si erano perduti nel buio della notte, sgommando rapidi verso ima speranza di salvezza. L'accordo che era stato appe¬ na firmato, e che concordava un cessate il fuoco formale, proponeva il perdono per i talebani che avessero consegna¬ to le armi; molti hanno preferi¬ to chiudere i conti in proprio, e scappasseme verso le monta¬ gne, puntando sulla provincia di Zabul, che offre un itinerario facile a chi poi vogha rifugiarsi in Pakistan. La fuga riguarda¬ va soprattutto gli «arabi», la legione straniera di ceceni, pakistani, sauditi, yemeniti, ar¬ rivati in Afghanistan a combat¬ tere la battaglia della fede isla¬ mica e abbandonati ora alla loro sorte da una passione di xenofobia che qui accomuna tutti gli afghani, i Vinti e i vincitori (uno di questi pick-up in fuga è stato intercettato dai marines, sette «arabi» sono morti). Onesta fuga si è portata dietro quella coda di saccheggi, violenze, rapine, che sempre accompagna la disperazione di un esercito in rotta. Ci sono stati scontri a fuoco quasi ovun¬ que, anche lanci di razzi, anche uh intervento deciso di carri armati, e nelle strade vuote la razzia dei miliziani in fuga ha lasciato dietro di sé le tracce amare d'un vandalismo furen¬ te. Gli uomini della milizia pashtun hanno potuto prende¬ re il controllo degli edifici am¬ ministrativi solo nel primo po¬ meriggio, quando la cerimonia ufficiale della resa era termina¬ ta già da tempo; ma sul terreno la pacificazione appariva un processo tutto da inventare, con uomini armati che attraver¬ savano ogni percorso e raffiche di mitra che rallentavano la marcia dell'occupazione di Kan¬ dahar. «Il governo taleban è arriva¬ to alla sua fine», annunciava con il telefono sateUitare Ha- mid Karzai, dalla base del suo comando, nel deserto del Rige- stan. Ouella dichiarazione sigil¬ lava la chiusura di un tempo e però non ancora l'apertura di un tempo nuovo. Il caos, una confusione cupa, le violenze diffuse, segnavano l'orizzonte della città; e dà lontano il comandante dell'altra colonna pashtun, Gul Agha Shirzai, ag¬ giungeva confusione a confu¬ sione tirando a zero contro l'accordo di pace. «E' stata un'operazione inac¬ cettabile», diceva scandalizza¬ to Shirzai: «Hanno dato il pote¬ re a chi si è tagliato la barba, ma resta sempre un taleban». L'accusa, pesante, anche sprez¬ zante, voleva ricordare che il comandante Naquib Ullah, che ora aveva trattato la resa di Omar, era lo stesso comandan¬ te della terza forza di Kandahar che, nel '94, all'apparire dei taleban sulla scena politica del¬ l'Afghanistan, si era ritirato dalla città consegnandola agli studenti di Dio senza nemmeno sparare un colpo. Come molte delle dichiara¬ zioni pubbliche di questi leader afghani, dietro le più solenni affermazioni di principio passa¬ no poi, in realtà, interessi di bottega: se Dostum fa sapere da Mazar-i-Sherif che non ac¬ cetta la designazione di Karzai a premier del govemo, le sue parole vogliono sempheemente dire che si aspetta adeguati «risarcimenti» finanziari per questo suo malumore; e se Gul Agha dice che Naquib Ullah è un taleban travestito, quest'ac¬ cusa vuole dire che Gul Agha chiede di tornare a fare il governatore di Kandahar e non sopporta che Ullah abbia, maga¬ ri, progetti concorrenti. Dietro questa frantumazio¬ ne di interessi passa, però, un sospetto grave: che Ullah abbia venduto ad Omar Un pefmésào di fuga. L'emiro è scomparso: dato per sconfìtto e perduto, tacciato di tàltà e niesdhinità per quella sua richiesta di aver salva la vita e la libertà, all'im¬ provviso si perde nella notte di Kandahar, proprio mentre il ministro Obai Dullah firma per lui la dichiarazione di resa del regime. La coincidenza è so¬ spetta, e secondo Gul Agha è sospetto anche il comandante Ullah. Il sospetto, comunque, che l'emiro abbia potuto godere di una complicità pashtun in que¬ sta sua ultima fuga indigna gli americani; Rumsfeld giudica «Inaccettabile» qualsiasi con¬ cessione a Omar, un portavoce del govemo minaccia di «rive¬ dere le relazioni» con gli afgha¬ ni. E Karzai, che per concedere a Omar l'amnistia gli aveva dato un ultimatum («Deve pro¬ nunciare una chiara dissocia¬ zione dal terrorismo»), ora che la dissociazione non è arrivata è durissimo: «Sarà giudicato, come gli altri criminali». Il tempo dei taleban finisce, fini¬ sce anche la lunga guerra afgha¬ na. Ma la pace, in Afghanistan, è una storia ancora lontana. Il leader pashtun Naqib Ullah accusato di aver favorito la fuga del mullah Omar «Comanda chi si è appena rasato la barba» Gli «arabi» della legione straniera di Bin Laden sono scappati a bordo di fuoristrada verso il confine col Pakistan Marines trincerati nei dintorni di Kandahar. La capitale dei taleban si è arresa anche se persistono sacche di resistenza