L'Italia ha un altro grande mistero

L'Italia ha un altro grande mistero L'Italia ha un altro grande mistero Un processo costruito sull'ipotesi del delitto per gioco ROMA RARAMENTE una sentenza della Cassazione ha rappre¬ sentato «l'ultima parola» che metta fine ai dubbi sui grandi misteri italiani, sia quelli im¬ prendibili perché annegati nel magma nebuloso degli intrecci del potere politico e finanzia¬ rio, sia quelli - soprattutto storie private - rimasti in bili¬ co tra il convincimento del sentire comune, maturato dal bombardamento mediatico, e il rigore logico della ricostru¬ zione giudiziaria. Insomma al di sopra del pronunciamento dei giudici, quasi sempre ha finito per sedimentarsi una suggestione - dura a sciogliersi in una motivazione giuridica - che nell'immaginario colletti¬ vo ha via via preso la forma di «verità' inconfessabile». Nella vicenda della tragica fine di Marta Russo e della controver¬ sa messa sott'accusa di Giovan¬ ni Scattone e Salvatore Ferra¬ ro, non sembra trovare spazio la remora dei «colpevoli protet¬ ti» perché in qualche modo legati ad ambienti potenti, manca il motivo conduttore che ha accompagnato lo sno¬ darsi dei mille «scandali» italia¬ ni. Eppure anche il semplice sguardo dei dueynputati, cap¬ itato dall'occhio telematico, è stato usato in modo opposto da innótentisti e colpevolista Co¬ sì, a secondai delle convenien¬ ze, gli stessi occhi potevano essere «gelidi» come quelli di assassini imperturbabili o «in¬ difesi» come quelli di innocen¬ ti alla sbarra. II risultato è che il processo per l'assassinio di Marta Russo si appresta ad occupare un posto non secon¬ dario nell'affollata galleria dei misteri che si trascinano senza pace. Chi e perché sparò a Portel- la? Chi uccise veramente Salva¬ tore Giuliano? E chi avvelenò in carcere il suo presunto as¬ sassino, Gaspare Pisciotta? Era l'alba della Repubblica, le aule giudiziarie di mezza Italia si mobilitavano nel tentativo di «rassicurare» i cittadini. Fiu¬ mi di inchiostro denunciavano dubbi e scandalose conniven¬ ze. Più d'una Commissione par¬ lamentare, per produrre mon¬ tagne di carte dove c'è tutto ma non c'è niente perché man¬ ca la «verità istituzionale». Più di cinquant'anni di dibattito non sono serviti a «dar pace» all'ansia di verità e alle com¬ prensibili richieste dei familia¬ ri. E' lunga la lista delle storie italiane irrisolte. Nomi che vagano tra le montagne russe della memoria collettiva: il «caso Bebawi», Tandoy morto per mafia o per una semplice vicenda di letto? Lo stesso Pacciani e i suoi compagni di merende: era lui il mostro? Era lui solo? Adesso anche la sua morte, che sembrava infarto, classica nemesi del destino, si colora delle tinte scure dell'as¬ sassinio. Eliminato perché non parlasse? Oppure ucciso da qualcuno, che del contadino era stato complice se non addi¬ rittura sadico committente di atrocità, stanco di dover cede¬ re ai suoi ricatti e per nulla tranquillo? C'è un momento, in questa storia nera italiana, in cui ricorre ciclicamente il rito del¬ la ricerca della verità. E' il momento dei processi, quasi sempre aperti con trionfalisti¬ che speranze, altrettanto spes¬ so annegati nella frustrante delusione della presa d'atto della inafferrabilità del risulta¬ to concreto, eppure «resuscita¬ ti» nelle certezze del sentire comune. Quante volte siamo rimasti con la coscienza non pacificata? Quasi sempre l'insuccesso processuale è stato il prodotto della presenza di «troppe veri¬ tà», dì infiniti moventi - (pen¬ siamo solo all'infinità gamma di possibili mandanti ed assas¬ sini del giornalista Mino Peco- relli), oppure di causali tanto enormi da non poter essere provati perché sul banco degli imputati vanno portati uomini in carne ed ossa e non entità o fenomeni. Quante stragi han¬ no superato, impunite, la pro¬ va di processi durati decenni. Quante inchieste degli Anni Settanta hanno puntato il dito sulla Già. P?nza trovare sbocco in una sola faccia, con nome e cognome. E nei casi sporadici in cure stata afferrata qualche piccola certezza, è intervenuto il gioco delle perizie e contrope¬ rizie a diluire la forza d'urto degli indizi. E' curioso, invece, ciò che è avvenuto per l'omicidio di Mar¬ ta Russo. Il pur vasto campio¬ nario degli orrori di casa no¬ stra, ricco di presunti killer quasi sempre aiutati da una overdose ài «possibili verità», non aveVa mai offerto la raffi¬ nata ipotesi dì assassini per gioco letterario e filosofico. Praticamente assassini senza movente: così sono stati dipin¬ ti - per buona parte dell'indagi¬ ne - Ferraro e Scattone. Ed è per questo, forse, che sono riusciti a far breccia nell'imma¬ ginario di tanti giovani che sembrano attratti dalle sugge¬ stioni di cui sono capaci i due imputati. La guerra delle peri¬ zie sulla polvere da sparo nel¬ l'aula 6 della Sapienza fa parte di un canovaccio abbastanza classico della tradizione pro¬ cessuale. No, sono gli assassini per gioco che abbiamo incon¬ trato raramente. Era stata l'ac¬ cusa a porgere - con un occhio forse proteso più verso la pre¬ sa massmediatica che verso la Corte d'Assise - la figura di Scattone che spara per sfida, legando al suo.destino l'amico Ferraro. Scattone fiducioso, co¬ me il Lafcadio di Les Caves du Vatican, sul fatto che mai la polizia sarebbe riuscita a trova¬ re il nesso tra la vittima e i suoi assassini. «Decisero fredda¬ mente - avevano scritto i pm - di provare a loro stessi che era possibile uccidere senza essere scoperti, nel momento in cui nessun movente potesse colle¬ gare l'assassino alla vitti¬ ma...». Parole che non hanno trovato credito, se è vero che i due impuL iti sono stati condan¬ na1 i per omicidio colposo: nes- i m gioco olo un tragico inci¬ dente, -^pure il processo ha offerto un'altra «originalità»: il dibattito sulla «genuinità» di Gabriella Alletto, la principale teste d'accusa. La storia passa¬ ta ci aveva abituati ai testimo¬ ni «pagati» per difendere gli imputati e i processi del Meri¬ dione d'Italia sono ricchi di simili «perle». Raramente - tranne nel circoscritto mondo dei pentiti - avevamo vissuto il dubbio di un teste «costretto» ad accusare. Ma nella storia giudiziaria italiana niente può più scandalizzare. Un tentativo di assassinio perfetto secondo l'accusa perché costruito sulla mancanza di un movente La seconda originalità: il dubbio di una testimone/Gabriella Alletto «costretta» a parlare Il padre di Marta: Donato Russo A sinistra: Marta Qui a fianco: Gabriella Alletto la supertestimone

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