Cinque ore di negoziato per evitare un massacro

Cinque ore di negoziato per evitare un massacroDIETRO LE QUINTE DELLA*' Cinque ore di negoziato per evitare un massacro Il Mullah ha delegato al ministro della Difesa la trattativa, nella quale è intervenuto il nuovo capo del governò. Ha chiesto un'«uscita dignitosa» dalla scena, che Karzai vincola a una condanna esplicita del terrorismo reportage inviato a KABUL UNA citta che s'arrende è anche il racconto d'una guerra che finisce. Kandahar è caduta, i tale¬ ban vengono spazzati via dalla sto¬ ria del nostro tempo. I cannoni che per tre mesi hanno dilaniato questa tèrra, ora tacciono. L'emiro Omar, il suo misticismo segregato, la follia anacronica del suo ritomo a un Medio Evo religioso impastato di puritanesimo e di integralismo fla¬ gellante, sono stati sconfitti. Preva¬ le la forza delle armi, ma prevalgo¬ no le ragioni di un paese che nella fine degù «studenti di dio» trova un nuovo spirito di coesione e di spe¬ ranza. Da Kandahar, dov'era inizia¬ to il corridoio oscuro d'un impossibi¬ le ritomo al passato, comincia ora davvero la rinascita dell'Afghani¬ stan. La,resa della città - la resa ufficiale, con le sue cerimonie, i suoi rituali - sarà oggi, quando i taleban consegneranno simbohea- mente le armi al nuovo padrone di Kandahar, l'ex comandante dei mujaheddin Naqib UUah. E il pas¬ saggio delle consegne sarà come la chiusura definitiva d'una parentesi amara, il ritomo al potere di colui che fu il responsabile della Shura consigliare della città prima dell'ar¬ rivo dei taleban, cinque anni fa, lo stesso che ne sarà ora di nuovo il responsabile; Ma dietro le cerimonie rituali di oggi scorre la storia dellungo, dram¬ matico negoziato che, ieri, per un'in¬ tera giornata, ha tenuto con il fiato sospeso questo paese, traversato dalle voci insistenti di una pace ora possibile e però angosciato dal ricor¬ do deUe troppe de usioni e dei trop¬ pi fallimenti del passato. Kandahar era l'ultimo ridotto della residenza dei taleban, una città assediata. ormai sfinita, svuotata della sua gente, isolata dal resto dell'Afghani¬ stan con le sue due uniche strade di collegamento chiuse - la prima, quella del Sud - dai marines ameri¬ cani e - l'altra, quelk di Kabul - dalle torme di banditi che ne infesta¬ no e taglieggiano il cammino. Biso¬ gnava saper cedere alla forza della ragione. HEmno cominciato a provarci fin dal mattino, quando il ministro della Difesa dei taleban, il mullah Obaidullah, si è incontrato con imo dei capi mihtari delle forze pashtun che stavano attaccando la città, il comandante Ullah. Quest'incontro era il primo contatto diretto fra i due fronti della guerra del Sud, ma era anche stato preceduto da un prezioso lavoro di preparazione «di¬ plomatica» con l'obiettivo di evita¬ re altri morti ancora e altre distru¬ zioni. L'incontro dei due nemici, ieri mattina, era tra gente che parla la stessa lingua, che nasce dalla stessa etnia, che ha quasi la stessa storia; ma non era facile. Le ragioni di una guerra creano fratture profonde, che ignorano i legami del passato. E anche se appariva evidente che la conclusione della battaglia sul terre¬ no era stata ormai accettata come inevitabile, perché soltanto questo era il significato di quell'incontro, c'era però un tema, imo solo, sul quale il braccio di ferro si imponeva subito con un rilievo drammatico: la sorte di Omar. Il mandato che l'emiro aveva dato al suo ministro non poteva avere condizioni troppo rigide: i taleban avevano perso, e chi perde ha poche ragioni da far valere nel tavolo della resa. Su tutto, dunque, era possibile un cedimento, una concessione data senza troppe resi¬ stenze: la consegna delle armi, le modalità della resa, il passaggio dei poteri, anche la sorte finale dei talebaSa «stranieri»; su tutto, ma non sul destino di Omar e dei cani del movimento. La richiesta del- l'emiro, per se stesso e per tutti loro, era di una «uscita dignitosa», il riconoscimento di un'impunibilità. Come dire, l'onore delle armi. Ma non solo questo. I taleban hanno fatto la storia dell'Afghani¬ stan per cinque anni, nel bene e nel male, sanandolo dall'anarchia e dal banditismo nel quale l'avevano pre¬ cipitato le lotte di potere tra mujaheddin, ma anche segregando¬ lo dentro i rigori furenti di un neofondamentalismo cieco, repres¬ sivo, analfabeta. L'impunibilità si¬ gnificava saltare certamente tutto questo processo storico, ma saltare anche le ragioni della guerra ameri¬ cana, cioè dell'accusa ai taleban di essere stati forza politica complice - o comunque fiancheggiatrice - del terrorismo. Il comandante Naqib Ullah afferrava subito il senso di quella richiesta, che non dev'esser¬ ci una Norimberga afghana; e il negoziato s'impuntava di brutto, bloccato su un livello di trattativa che sorpassava i limiti del confron¬ to sul campo. Mentre la battaglia continuava sempre, alla periferia della città, dalle parti dell'aeroporto, ricordan¬ do ai due di quel tavolo di negoziato che la guerra comunque stava pro¬ seguendo indifferente nel suo lavo¬ ro di morte e di distruzione, interve¬ niva, da lontano, lo stesso Hamid Karzai, con l'autorevolezza che gh conferisce il suo nuovo incarico di capo del nascente governo afghano. Il telefono satellitare legava a un filo sottile di speranza la ricerca di un compromesso possibile, che sal¬ vasse le ragioni della guerra senza negarne il contenuto. Il tempo pas¬ sava, con un rimbalzo continuo di telefonate e di consultazioni; si andava avanti per quasi cinque ore, la formulazione di un comunicato accettabile da tutti veniva costruita pezzo dopo pezzo, parola dopo paro¬ la. Alla-fine, «per il bene del popolo afghano e per diminuire la penlita di vite umane», la soluzione trovata concedeva l'amnistia e il perdono ai taleban che ora consegneranno le armi (d vorranno un paio di giorni, per completare l'operazione), ma legava «l'uscita con dignità» di Omar a una dichiarazione esplicita di dissociazione e di condanna del terrorismo. I taleban «stranieri» so¬ no invece abbandonati a una sorte oscura: «Sono criminali - ha detto Karzai -, non mi importa come vanno via, basta che lascino il paese». . Quando l'ultimo colpo di canno¬ ne, lontanò, dalle parti dell'aeropor¬ to, sparava e, poi, atrivava il lungo silenzio di un cessate-il-fuoco anco¬ ra drammaticamente incerto, era ormai calata la notte. Kandahar era chiusa nel suo buio nero, senza luce. I taleban si erano arresi, nel cielo c'erano le stelle di dicembre. Assicurata l'amnistia agli «studenti di dio» che consegneranno learmi.l mercenari devono «lasciare il paese non importa come» CaVi'aanatl.deU.'AlleM^del Jjjpf d assediMHà zbfe'àtTòMBwar* Bin Laden avrebbe cambiato rifugio

Persone citate: Bin Laden, Biso, Hamid Karzai, Karzai, Naqib, Naqib Ullah

Luoghi citati: Kabul, Kandahar, Norimberga