La guerra privata fra Zebolan e Isaac

La guerra privata fra Zebolan e Isaac UNA COMMEDIA DELL'ASSURDO NELLA GRANDE TRAGEDIA DELL'AFGHANISTAN La guerra privata fra Zebolan e Isaac due ebrei rimasti a Kabul: sopravvissuti in nome dell'odio reciproco Inviato a CHAMAN CI sono solo due ebrei a Kabul. Abitano nella stessa casa, uno squallido palazzo dalle mura scro¬ state vicino alla città guardata dalle alture di Khan Kanà, dove sono attestati i signori della guerra, gh obici puntati, i carri che mangiano la polvere, le milizie dei mujahed¬ din con i kalashnikov e le tute mimetiche. Ma gh unici due ebrei che vivono in questa capitale della guerra resistono soltanto per odiar¬ si. Si chiamano Zebolan Simonto e Isaac Levy. Zebolan Simonto dice: «Io non ho mai avuto un problema con i taleban. E neanche con quelli di adesso. Sono sempre andato d'ac¬ cordo con tutti. Eccetto che con lui». Isaac Levy dice: «Quell'uomo è la mia rovina. Qui starei bene. Se voghe andarmene, è solo perché c'è lui». Però, non se ne vanno. Erano 90 gh ebrei a Kabul, ha scritto il Financial Times: sono scappati tut¬ ti, a parte loro due. Perché gh affari non si lasciano, dicono. E davanti all'odio non si scappa. Simonto dice che Levy è uno stregone. Levy dice che Simonto è una spia d'Israele. Tutt'e due dico¬ no che l'altro è un ladro. Per i taleban, gli stregoni e le spie sono come il diavolo. Ai ladri, invece, si tagliano le mani. I nuovi padroni di Kabul non sono tanto diversi. Si¬ monto e Isaac rischiano come pri¬ ma. Però, non vanno via. Così posso¬ no continuare a odiarsi. Levy ha raccontato di essere stato torturato. Gh hanno detto: «Rinnega la tua religione». Lui ha risposto: «Sono ebreo e morirò ebreo». Dice che non è stata colpa dei taleban. Era solo colpa di Simonto. Come in una commedia, si sono mandati in gale¬ ra, si sono accusati di tutto, e si parlano soltanto quando si devono insultare. Non si sono ancora ucci¬ si: potrebbero farlo, se lo prevede il copione. Ma può esistere una com¬ media in mezzo a una tragedia? A modo loro, Levy e Simonto sono la faccia sbagliata di questo mondo, fratelli che si odiano e che non trovano solidarietà nemmeno in mezzo a una guerra che devasta le città e le case e stravolge la vita di tutti. Mentre gh unici due ebrei di Kabul si fanno la loro piccola, inuti¬ le e ridicola guerra, a Chaman entra¬ no colonne di macchine che porta¬ no i feriti per l'ospedale di Quetta. La Cnn arriva con le sue troupe imperiali nell'ospedale di Mazar-i- Sharif, il microfono allungato, un ferito sulla barella, la barba lunga dei musulmani, la faccia sporca di fango, un corpo segaligno segnato dahe cicatrici e dalla fame, le fasce, il sangue, la voce roca che viene fuori strappata dal dolore: «Io sono Johnny Walker. Sono un america¬ no. Sono musulmano da quando ho 16 anni. Sono venuto qui a combat¬ tere per il mullah Omar e Osama Bin Laden». Le radio di Kabul tra¬ smettono le notizie di questa guer¬ ra, mentre i bambini giocano a paUone, e hanno riaperto le univer¬ sità alle donne e si sono iscritte le prime 60 ragazze per farci credere che cambi qualcosa. Attorno alle strade dell'Afganistan, le campagne sono devastate dalla carestia. Il reporter Herbìe Fi^ueredo è uscito da Kabul in macchina ed è passato davanti a un palazzo presidiato dai iniliTiani Ha detto all'autista di rallentare. Mentre stavano per fer¬ marsi, «lo strìnger mi ha afferrato per il braccio: via, via, questi lo stanno rapinando!» Hanno schiac¬ ciato l'acceleratore. Sgommavano ancora quando hanno visto un si¬ gnore che faceva segno di fermarsi con le braccia larghe: «L'autista ha dato ancora più gas. Però, mentre passavamo abbiamo visto a terra uno senza gambe. Era saltato su una mina. M'è dispiaciuto, siamo andati avanti...» E' in questa dttà che gh unici due ebrei riescono a farsi la guerra come in una comme¬ dia. La storia di Isaac Levy, 57 anni, e Zebolan Simonto, 41, è cominciata già qualche anno fa. Levy era il rabbino della sinagoga. Tutta la sua famiglia era scappata in Israele. Lui aveva preferito restare. Tre anni fa da Israele era tornato Zebolan, com¬ merciante di tappeti e di monili. Aveva preso alloggio nello stesso edificio dove viveva Levy e sullo stesso piano, porta a porta. Tutto cominciò con la sparizione di un'an¬ tica torah, il libro sacro degli ebrei scrìtto a mano. Entrambi si convin¬ sero che era stato l'altro a rubarlo. O forse preferirono crederlo. Tutt'e due presentarono regolare denun¬ cia ai taleban. I taleban non trovaro¬ no di megho che arrestarli. Così, la sinagoga di Kabul non aveva nem¬ meno più motivo per restare aper- ta. In carcere, Levy e Simonto dette¬ ro il meglio di sé, come in una partita a biliardo. Levy arrotonda¬ va la sua vita, con qualche filtro magico e un elisir d'amore: «è uno stregone», disse Simonto. Punto. Levy rispose ancora megho. «Posso giurare che Simonto è una spia d'Israele». Altro punto. Siccome i taleban sembrano un po' fanatici, a Simonto non restò die sparare il colpo più forte: «E io posso giurare che Isaac fa pratiche immorali». Persino i taleban devono essersi un po' stupiti di questo accanimento: o non d hanno creduto, o si sono divertiti come in una commedia. Isaac e. Zebolan sono ancora vivi A sentire loro, forse ha avuto la peg¬ gio Levy: «Sono stato torturato, picchiato, mi hanno tenuto in prigio¬ ne con le mani legate dietro dai ferri. Mi dicevano: sei ebreo, devi diventare musulmano. Io non ho mai ceduto. Il Signore che vede tutto punirà il solo colpevole». Zebo¬ lan ascoltava senza pietà: «Un ebreo non fa quello che ha fatto lui». Adesso che sono cambiati i pa¬ droni, continuano a stare nella stes¬ sa casa, sullo stesso piano un po' fuori Kabul, a guardarsi dal basso le alture di Khair Kanà. Levy ha fatto entrare i giomalisti americani che sono venuti a trovarlo per racconta¬ re la loro storia. Quello del Washin¬ gton Post ha scrìtto che vive pove¬ ro. Non ha riscaldamento, e fa freddo sotto queste montagne. Ha una camera da letto che comprende tutto: la cucina, il bagno, la sala per ricevere i cronisti con i taccuini. Da un giornalista all'altro, Levy passa dallo sconforto alla reazione. «Me ne voglio andare, non ne posso più», dice al Washington Post. «Ho i miei affari. Non me ne andrò per dare soddisfazione a quell'altro», dice al Financial Times. Zebolan non sta megho e nella sua camera da letto, oltre al bagno e alla cucina, d ha messo pure il magazzino. Chiude la porta con disprezzo: «Non ho più voglia di parlare di quel signore». Adesso non si guardano nemmeno più in faccia. Isaac ha riaperto la sinagoga. Tutto come prima. La juerra continua. Il mondo non cam- Dia. * Da anni abitano sullo stesso pianerottolo, si parlano solo per insultarsi o denunciarsi a vicenda «I taleban? Mai avuto problemi, vado d'accordo con tutti tranne che con