Nella lotta al terrorismo l'incognita è il megalomane

Nella lotta al terrorismo l'incognita è il megalomane Nella lotta al terrorismo l'incognita è il megalomane Può riuscire un grande attentato anche senza una organizzazione come Al-Qaeda? Forse sì Da molti in America la tragedia dell'11 settembre è stata attri¬ buita alla inefficienza dei ser¬ vizi di intelligence americani. C'è molto di vero: finanziamenti insufficienti delle attività di spionaggio, scarsità di agenti in grado di parlare arabo, e una co¬ operazione internazionale lacunosa. Tuttavia l'incapacità di prevedere gli at¬ tacchi in questione porta alla luce un problema che va ben oltre. C'è stata l'incapacità intellettuale d'individuare una categoria di terrorismo del tutto nuova. Oggi capire il terrorismo signifi¬ ca prendere atto dell'esistenza di un nuovo nemico: l'iperterrorista megalo¬ mane. Dietro molti dei devastanti atti terrori- stici verificatisi negli Anni 90, vi erano individui che, ritenendosi eletti a spe¬ ciale missione e facendo leva sul fana¬ tismo, hanno cambiato le regole del gioco. Ramzi Yousef, il responsabile dell'attentato del 1993 al World Trade Center, Shoko Asahara, capo della setta degli Aum Shinrikyo e nel '95 or¬ ganizzatore dell'attentato al gas nervi¬ no nella metropolitana di Tokyo, Timothy McVeigh, responsabile dell'at¬ tentato del 1995 ad Oklahoma City, e Osama bin Laden, sono legati dall'in¬ saziabile desiderio di ricorrere ad at¬ tacchi catastrofici per scrivere un nuo¬ vo capitolo di storia. Chiamiamola pu¬ re la teoria del terrorismo del "grande uomo". Anche Yigal Amir, che nel 1995 assassinò il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, fa parte della lista. Il fat¬ to che abbia ucciso una persona sola non toglie che le conseguenze del suo gesto siano state disastrose per tutti gli israeliani. La storia del terrorismo è senz'altro af¬ follata di personalità forti e di leader ca¬ rismatici, ma gli esperti non hanno mai pensato che lo studio dei singoli attivi¬ sti avrebbe potuto aiutarli a capire ciò che hanno sempre considerato un fe¬ nomeno orientato al gruppo. Ciò spie¬ ga perché abbiano classificato il terrori¬ smo in base a criteri organizzativi o ideologici, che hanno dato vita a cate¬ gorie tipiche quali la sinistra rivoluzio¬ naria, la destra conservatrice, il nazio¬ nalismo separatista e il terrorismo reli¬ gioso. Tutta questa tipologia è stata su¬ perata dagli eventi degli Anni Novanta. Una delle ragioni della reiterata incapa¬ cità di scongiurare le catastrofi degli ul¬ timi dieci anni sta proprio nel non aver preso in considerazione la figura dell' iperterrorista megalomane. Inutile dire che non tutti i terroristi del¬ l'era moderna rientrano in questa nuo¬ va categoria. La grande maggioranza dei terroristi e delle organizzazioni a cui questi fanno capo si comportano ancora secondo la logica illustrata in centinaia di studi e di modelli accade¬ mici e di raccolte di dati di intelligence. Sono animali politici, che usano armi tradizionali e puntano a evitare stragi di massa. Sono sì degli esaltati, dei portatori di morte, sono pronti ad as¬ sumersi rischi personali anche estre¬ mi, eppure sono sostanzialmente indi¬ vidui razionali e realistici. Agiscono al¬ l'interno di gruppi o di organizzazioni, si servono dei media per richiamare l'attenzione e ambiscono a far sbocca¬ re le loro lotte in campagne militari e in un potere politico stabile. Uccidono, mutilano, dirottano, rapiscono, getta¬ no bombe e saltano persino in aria in missioni suicide, ma i loro leader e ideologi preferiscono evitare catastrofi in modo da potersi garantire appoggi nella fase politica successiva al terrori¬ smo. Insomma aspirano ad avere "una gran quantità di persone che osserva¬ no, non una gran quantità di morti", se¬ condo l'osservazione dell'esperto di terrorismo Brian Jenkins. Del tutto diversa la logica che informa le azioni degli iperterroristi megaloma¬ ni: pur non disdegnando il supporto di gruppi e di organizzazioni numerose, costoro tendono a fare da soli. Pensano in grande, nel tentativo di an¬ dare oltre il terrorismo "convenziona¬ le"; a differenza della maggior parte dei terroristi, potrebbero anche essere disposti a usare armi di distruzione di massa. Si percepiscono in termini sto¬ rici e sognano di distruggere da soli l'odiato sistema. Ramzi Yousef è un classico esempio: parlando con l'a¬ gente dell'Fbi che lo arrestò nel 1995, discusse apertamente del suo sogno di vedere una delle torri del World Trade Center cadere sull'altra, provo¬ cando 250.000 vittime. Sempre nel 1995, mentre si nascondeva nelle Filippine, aveva progettato di far espio; Ehud Sprinzak è preside della Lauder Sctiool of Government, Diplomacy and Strategy presso II Centro interdisciplinare di Herziiya, in Israele Traduzione di Elisabette Rispoii Nella politica Invece l'incognita è chi si tappa gli occhi? Nella foto un manifestante ateniese

Luoghi citati: America, Filippine, Israele, Oklahoma City, Tokyo