contro il nemico armati di ODIO

contro il nemico armati di ODIO L'ATTENTATO ALLE TORRE GEMELLE HA SUCCESSO UN SAGGIO SU UNA BATTAGLIA DEL SECÓNDO CONFLITTO MONDIALE contro il nemico armati di ODIO la storia Giovanni De Luna B ISOGNAVA attraversare una foresta malarica pullu¬ lante di scinunie e varani, piom¬ bare a sorpresa sul campo dove erano detenuti cinquecento sol¬ dati americani, neutralizzarne la guarnigione e portare in salvo, attraverso un centinaio di chilometri di territorio nemi¬ co, un gruppo diuomini fiacca¬ ti dalle malattie, inebetiti dagli stenti. Era un'impresa temera¬ ria, urgente e indispensabile. Era già arrivata la notizia del massacro di un altro campo, Puerto Princesa, nell'isola di Palawan. I giapponesi, prima di ritirarsi, avevano rinchiuso 150 prigionieri in buche sotter¬ ranee e avevano appiccato il fuoco. Questa volta lo scenario era Luzon, la più popolosa delle settemila isole dell'arcipelago delle Filippine. Nella primave¬ ra dèi 1942 i giapponesi l'aveva¬ no conquistata prendendo pri¬ ma la capitale, Manila, poi schiacciando le truppe di Ma- cArthur nella sacca di Bataan, infine espugnando Corregidor, il grande scoglio fortificato che controllava la baia di Manila. Per gli Usa era stato un disastro militare, la più spettacolare e vasta resa di massa del loro esercito: il 9 aprile 1942, il maggiore generale Edward King si consegnò al generale Masaharu Homma insieme a 78 mila soldati americani e filippini e a 20 mila ausiliari. A maggio cadde anche Corregi¬ dor. Ora però, il pendolo della guerra prendeva a oscillare in senso inverso; esattamente co¬ me in Russia dopo Stalingrado e in Africa settentrionale dopo El Alamein, anche nella guerra del Pacifico la battagha delle Midway aveva invertito il cor¬ so degli eventi bellici. I giappo¬ nesi si ritiravano abbandonan¬ do ima dopo l'altra le posizioni conquistate nel primo anno di guerra. Luzon era l'ultimo osta¬ colo prima che l'offensiva ame¬ ricana investisse direttamente il loro territorio nazionale. Per difenderla, il generale To- moyuki Yamashita aveva schie¬ rato i 250 mila uomini della 14a armata imperiale; MacArthur, smanioso di rivincite anche personali, era sbarcato, il 9 gennaio 1945, con 280 mila soldati. Cabanatuan, la città dove sorgeva il car^po di prigionia, era fuori dalla direttrice princi¬ pale di attacco della Sesta Ar¬ mata. In quella località erano affluiti 6-7 mila soldati giappo¬ nesi chiusi in una sacca, taglia¬ ti fuori dal grosso delle loro truppe. Si poteva ignorarli, ma in quel caso il rischio per i 500 prigionieri americani sarebbe stato enorme. Si scelse di sal¬ varli e si affidò il compito al Sesto Battaglione Ranger, co¬ mandato dal tenente colonnel¬ lo Henry A. Mucci un italoame- ricano di seconda generazione: le foto ce lo mostrano basso, muscoloso, con baffi sottili e folti sopraccigli, un giovane (aveva 33 anni) sul tipo di Amedeo Nazzari, più italiano che americano. Mucci era effi¬ ciente, duro e con un grande senso dello spettacolo; per la sua impresa volle con sé anche quattro fotografi. Scelse i suoi uomini uno per uno e nell'azio¬ ne mostrò duttilità e fantasia, utilizzando aerei ultramoderni e bufali d'acqua, armi avanza¬ tissime e guerrigUeri filippini armati di machete. Quando, dopo una lunga marcia di avvi¬ cinamento, diede il segnale di attacco, in quindici secondi il fuoco dei ranger distrusse tutti i fortini e le torrette dove era acquartierata la guarnigione giapponese. Dopo 28 minuti tutto era finito; i prigionieri furono evacuati sui carri traina¬ ti dai bufali e riaccompagnati senza perdite sino alle linee americane. Questa vicenda dimenticata è stata raccontata in un libro (H. Sides, «Soldati fantasma», Corbaccio, 2001, pp. 343) che sta riscuotendo un grande suc¬ cesso negli Stati Uniti. E'proba¬ bile che questo interesse sia da ricollegarsi alle sensibilità e agli umori sprigionatisi dopo l'il settembre. Molti hanno evocato Pearl Harbor per cerca¬ re di capire l'angoscia stupefat¬ ta con cui l'America ha preso atto della propria vulnerabili¬ tà. Non è un'analogia storica¬ mente fondata, ma forse il confronto regge sul piano della psicologia di massa e dei com¬ portamenti collettivi. Allora l'ondata di sdegno patriottico che seguì al proditorio attacco giapponese travolse tutte le forti correnti «isolazioniste» che si erano tenacemente oppo¬ ste all'intervento degli Usa in ima guerra che si considerava un «affare dell'Europa» e gli americani si riscoprirono uniti e solidali, sorretti - come oggi - dallo stesso orgoglio nazionale e da una comune volontà di vendicare una ferita lacerante. Nel libro di Sides, inoltre, il lettore segue passo per passo i ranger nella loro impresa, ne condivide le paure e l'entusia¬ smo per la vittoria, l'incubo di una natura ostile, i piccoli egoi¬ smi e i grandi slanci di solidarie¬ tà. E si avvicina quindi alla realtà di quello che sta accaden¬ do sulle montagne afghane con i corpi speciali lanciati all'inse¬ guimento di Osama bin Laden. «Soldati fantasma» si inseri¬ sce così in quella lista di best¬ seller il cui successo ci restitui¬ sce con nettezza lo spirito del¬ l'America di oggi. Il «caso antra¬ ce» ha fatto balzare in testa alle classifiche «Germs», di Judith Miller, Stephen Engelberg e William Broad, mentre altri titoli che vendono molto sono ovviamente «Taliban» di Ah¬ med Rashid e «Bin Laden» di Yossef Bodansky. Grandissimo ascolto ha anche la serie televi¬ siva «Band of brothers» che racconta di soldati «normali» ed eroici della Seconda guerra mondiale, un altro hit parago¬ nabile al successo dei «Sopra- nos». Pure, nel libro di Sides c'è qualcosa di più, quasi l'inquie¬ tudine e il timore di chi si confronta con la necessità - imposta dalla guerra - di odiare il proprio nemico. Durante la Seconda guerra mondiale que¬ sta operazione non fu nemme¬ no tentata contro gli italiani, fu tentata a metà contro i tede¬ schi, riuscì in pieno contro i giapponesi. Nella propaganda gestita dall'Owi si fu sempre attenti, ad esempio, a distingue¬ re tra i fascisti e gli italiani, tra i nazisti e i tedeschi. Per i giapponesi non fu fatta nessu¬ na distinzione tra regime politi¬ co e appartenenza nazionale. Prima della guerra, per gli ame¬ ricani, come scrive Sides, «il Giappone era una strana nazio¬ ne di decoratori di giardini e seguaci del buddhismo zen... e i soldati giapponesi esseri dai denti guasti simili a scimmie che non erano sufficientemen¬ te intelligenti né così bene equipaggiati da reggere il con¬ fronto con un moderno esercito occidentale». Dopo Pearl Harbor, questo disprezzo doveva tramutarsi in odio. Il cinema di Hollywood diede un potente contributo in questa direzione. Nel 1940, so¬ lo 27 dei 530 film girati (il 5 per cento) si occupavano «in qual¬ che modo» di avvenimenti poli¬ tici. Tra il 1 dicembre 1941 e il 24 luglio 1942 furono girati invece ben 72 film di guerra; in tutti, come ci hanno ricordato Clayton R. Koppe e Gregory D. Black in un bel libro di alcuni anni fa, («La guerra di Hollywo¬ od», Il Mandarino, 1988) «i giapponesi erano descritti co¬ me una razza con l'istinto del gregge che li spingeva a una fanatica fedeltà all'imperato¬ re». Film come «Bataan» e «Gua- dalcanal» riproponevano in ma¬ niera ossessiva immagini di orde urlanti di giapponesi, osti¬ natamente e fanaticamente al¬ l'attacco senza curarsi di mori¬ re: se qualche individuo si staccava dal gregge era perché la macchina da presa lo immor¬ talava nell'atto di sparare ai feriti o di uccidere a baionetta¬ te uomini disarmati. Questi stereotipi si appoggia¬ vano su alcuni dati oggettivi. Per gli eserciti occidentah si calcolava una media di quattro soldati prigionieri per ogni sol¬ dato ucciso sul campo di batta¬ glia; per l'esercito giapponese questa statistica veniva capo¬ volta, con l'incredibile percen¬ tuale di un soldato catturato ogni centoventi uccisi. Arren¬ dersi era considerato un disono¬ re insopportabile che infanga¬ va se stessi e la propria fami¬ glia; nella battaglia di Saipan, avevano suscitato sgomento i giapponesi che si suicidavano con lo sventramento rituale o seppuku pur di non farsi cattu¬ rare. Un soldato nipponico ca¬ duto prigioniero perdeva il ri¬ spetto per se stesso; e natural¬ mente meno ancora rispettava i suoi nemici che si arrendeva¬ no. Il trattamento inflitto ai prigionieri era durissimo: il tasso di decessi di soldati allea¬ ti nei campi di prigionia tede¬ schi e italiani si aggirava intor¬ no al 4 per cento, mentre in quelli giapponesi saliva a un tremendo 27 per cento. Nessuno ha ancora dimenti¬ cato gli eventi seguiti alla capi¬ tolazione dei centomila soldati di Bataan. Si erano arresi in massa, con stracci bianchi im¬ provvisati sui quali avevano disegnato col mercurocromo un rudimentale «sol levante»: pensavano di conquistarsi la benevolenza dei vincitori e in¬ vece ne rinfocolarono il disprez¬ zo e la crudeltà. Furono tutti avviati verso Campo 'O Don- nell, duecento chilometri più a Nord di Bataan, in quella che fu definita la «marcia della mor¬ te». Lungo il tragitto morirono 750 americani e cinquemila filippini. Tutti sperimentarono la brutalità capricciosa di carce¬ rieri che li consideravano «mez¬ zi uomini» proprio perché si erano arresi. A Campo 'O Don- nell, in due mesi perirono 1.500 americani e 15 mila filippini. Negli Stati Uniti, appena i particolari di quella lugubre marcia furono noti, si diffuse una prorompente rabbia vendi¬ cativa; prima la ferita dell'at¬ tacco proditorio a Pearl Har¬ bor, poi l'ignominia di una resa di massa, infine le crudeltà gratuite contro esseri indifesi: era troppo per l'orgoglio di quel paese. Hollywood e tutta l'atti¬ vità propagandistica dell'Qwi ebbero così un compito molto facile: da un sondaggio del 1944 risultava che il 13 per cento degli americani volevano uccidere tutti i giapponesi e, nel 1945, il 22 per cento rim¬ piangeva che ci si fosse limitati a sganciare due sole bombe atomiche. Daini settembre l'America si sente vulnerabile come ai tempi di Pearl Harbor Anche per questo un libro su una vecchia battaglia nei Pacifico sta scalando le classifiche di vendita negli Stati Uniti Un episodio bellico del 1945 appassiona come le cronache da Kandahar assediata Non è un caso isolato: in tv spopola una serie dedicata agli eroismi di uomini «normali» nella lotta ai nazisti I giapponesi dell'Asse cornei taleban di Kabul La preparazione mentale di un corpo di ranger prima di un raid decisivo nelle Filippine diventa il modello psicologico per la guerra contro i terroristi Tre Immagini tratte dal volume di Hampton Sides «Soldati fantasma», pubblicato in Italia da Corbacclo Asinistra, un gruppo di ex prigionieri americani detenuti dai giapponesi a Cabanatuan, in un'isola delle Filippine Sotto, il tenente colonnello Henry A. Muccì comandante del Sesto battaglione Ranger che li liberò con un raid nel 1945 Sotto il titolo, un prigioniero si riposa dopo la liberazione