Il bivio di Arafat: reagire oppure soccombere di Fiamma Nirenstein

Il bivio di Arafat: reagire oppure soccombere E' FINITO IL TEMPO DELLE PROMESSE E DEI RINVÌI NELLA LOTTA Al GRUPPI FONDAMENTALISTI CHE PREDICANO LA GUERRA SANTA Il bivio di Arafat: reagire oppure soccombere analisi Fiamma Nirenstein GERUSALEMME MA che cosa sta facendo Ara¬ fat, si chiede tutto il mondo. Non bastano le accattivanti descri¬ zioni della sofferenza palestinese: il terrore non ha giustificazioni, e qui in queste ore ce n'é stato troppo. Un attacco concentrico, l'I 1 settembre di Israele: così ven¬ gono vissute in Israele queste ore di mattanza terrorista. Dopo l'esplosione dell'autobus di Haifa, un uomo magro e terrorizzato dai lunghi capelli grigi, gridava saltan¬ do: «Il tetto é scoppiato, e ho visto gli uomini volare verso l'alto». Gerusalemme spalancava ieri oc¬ chi increduli sui funerali dei suoi ragazzini usciti qualche ora prima per un po' di musica: mentre si piangeva la strage, saltava per aria l'autobus di Haifa. Da parte palestinese, si é dichia¬ rato lo stato di emergenza, Arafat chiama di nuovo l'intervento inter¬ nazionale, mentre promette arre¬ sti e sequestri di anni. Per ora sono parole, su cui si accumulano altre parole, mentre Bush guarda stupe¬ fatto cosa hanno fatto al suo invia¬ to, ridicoleggiandone la missione, e Israele non ce la fa più. Gli uomini di Arafat parlano volentie¬ ri più di sempre ai microfoni israe¬ liani: Jibril Rajub il capo della polizia palestinese ha promesso di arrestare i terroristi, di chiudere le oi^anizzazioni, di sequestrare le armi illegali. Lo stesso ha detto Ziad Abu Ziad, che ammonisce a non delegittimare Arafat, che altri¬ menti gli subentrerà una leader¬ ship estremista islamica. Sarin Nusseibah, chiede a Israele di farsi leader anche per i palestinesi (te- stuale), e di trattenersi. Anche lui dice: «lasciateci fare, speriamo di arrestare i colpevoli». Ma la pro¬ messa ormai è vecchia, è stata ripetuta anche dopo l'assassinio del ministro Rahaman Zeevi. Ogni volta che con la mallevadoria ame¬ ricana le parti si sono accordate su un cessate il fuoco, il Raìss palesti¬ nese ha ripetuto la sua promessa di far tacere le armi, di far cessare il terrore. E non è mai accaduto. Le azioni terroriste si sono susseguite senza tregua: il govemo israeliano ha risposto quasi sempre (non dopo l'attacco alla discoteca di Tel Aviv, 25 morti) con rappresaglie pesanti, ma limitate nel tempo, come l'occupazione delle zone A cui é stato posto rapidamente ter¬ mine anche su spinta americana. I terroristi sono stati braccati dalla politica di eliminazioni: cer¬ to ima ragione di grande rabbia fra ipalestinesi. Le formazioni terrori¬ ste, sempre più allargate a tutte le fazioni dall'Autonomia - Hamas, Jihad, Fatah - hanno seguitato a fare di Israele un specie di poligo¬ no di tiro per ogni genere di terrori¬ smo: autobus che scoppiano, ag¬ guati, bombe al lato della strada, autobombe. Mai si era arrivati, tuttavia, a questo punto: ma per¬ ché proprio adesso, mentre An¬ thony Zinni è nella zona per cerca¬ re un accordo indispensabile agli Usa in tempo di guerra americana? Perché l'Autonomia Palestinese si comporta di fatto in modo tale da mettersi fuori della Coalizione anti¬ terrore a cui gli americani tengono tanto, per dimostrare al mondo che la loro non è una guerra di religione? Al centro di tutte queste doman¬ de c'è Arafat. Molti dicono che sia troppo debole per reggere la rabbia del suo popolo ferito e sofferente, sempre più affascinato dall'integra¬ lismo aggressivo di Hamas e della Jihad. Il settanta per cento dei palestinesi secondo le rilevazioni più recenti, ormai è favorevole agli attacchi terroristici. Altri invece sostengono semplicemente che la tattica di Arafat è, dal gran riiiuLo di Camp David, quella di tenere a bollore l'area per ottenere il più possibile da un'eventuale riapertu¬ ra di trattativa, mentre resta aper¬ ta sul piano intemazionale una grande offensiva propagandistica, molto ben riuscita, di ramo di ulivo. A queste due opposte valuta¬ zione sottende quella basilare, stra¬ tegica, che vede Sharon da ima parte e Peres dall'altra: Arafat non è un partner per la pace, dice il primo ministro, di pace si parlerà quando gli subentrerà una leader¬ ship più democratica e ben dispo¬ sta verso Israele. Oppure, come dice Peres: Arafat è l'unico partner possibUe per la pace,, dopo di lui c'è il diluvio dell'estremismo. Ma quello che è accaduto duran¬ te questi mesi di Intifada parla in realtà di una situazione assai più sfumata e complessa: Arafat, vero interprete di ogni pulsione della sua gente, non vuole certo passare alla Storia come il traditore del suo popolo, colui che si è consegnato agh americani e agli israeliani, mentre il suo popolo, che ha avuto tanti morti, vuole scontrarsi fino alla vittoria. Nel tem^o, ha scelto di pagare alla sua «unità naziona¬ le» il prezzo minore possibile: gli arresti, quei pochi obbligati, sono durati pochissimo; le armi circola¬ no liberamente; Hamas e la Jihad hanno sempre saputo che le loro attività non sarebbero state dura¬ mente perseguite, e rispettano il Raìss mentre lo minacciano. I cuo¬ ri battono insieme per la Palestina, anche se i mezzi politici possono divergere, e alla fine Hamas non rappresenta tanto un'alternativa ad Arafat, quanto un suo pur capriccioso e pericoloso sodale. Intanto, all'interno di Fatah e dei Tanzim, le organizzazioni di base di Fatah, si è sviluppato un'allean¬ za sempre più robusta con le altre organizzazioni. I terroristi suicidi ormai non provengono più, come un tempo, da strati bassi della popolazioni, non si tratta più di poveri ragazzi che conoscono solo ciò che hanno appreso alla Mo¬ schea. Il terrorismo suicida è una specie di spaventevole tabe cultu- ral-politica diffusasi quasi in ogni strato della popolazioni, con moti¬ vazioni nazionali, lievemente con¬ notate di fanatismo religioso. La tigre è diventata adulta, sempre più difficile da cavalcare, è chiaro che Arafat rischia grosso se adesso tagha via Hamas dal con¬ senso nazionale: rischia una vera guerra civile perché non ha osato contrapporsi dall'inizio alla ten¬ denza Gl'unificazione di tutte le parti su una linea estrema, e ha lasciato che divenisse popolare e maggioritaria; nello stesso tempo. ha proseguito nelle sue dichiarazio¬ ni di disponibilità a un processo di pace, mentre però le sue tv e la sua stampa seguitava in un atteggia¬ mento di violentissima demonizza¬ zione del nemico. Ora però i giochi stannò quasi a zero: la tigre ha azzannato troppo a fondo, adesso Israele non ne può più, e comun¬ que il contesto intemazionale inve¬ ce di esserle di handicap, come all'inizio del conflitto, la mette in condizione di combattere contro la sua condizione di vittima del terro¬ re. Ora o mai più: la via di uscita di Arafat è combattere contro Ha¬ mas, oppure trovarsi insieme ad Hamas davanti al mondo e soprat¬ tutto agli Stati Uniti. Per Yasser Arafat si apre un periodo particolarmente difficile: deve dimostrare all'Occidente di poterveramentearginare i terroristi di Hamas e della Jihad