Il popolo desaparecido dei taleban pakistani

Il popolo desaparecido dei taleban pakistani INA ; CHE ;.lilJlÌjL|EA?it?^^ Il popolo desaparecido dei taleban pakistani Ottomila di loro, partiti volontari per il fronte, risultano morti o dispersi oltre frontiera. Per le vittime il governo ha vietato i funerali pubblici, quelli che tornano vivi vengono subito arrestati reportage Pierangelo Sapegno inviato a QUEUA IL prigioniero, barba nera, tur¬ bante, occhi a terra, dice «non so». E il giornalista inglese, il suo giubbotto con mille tasche, gli chiede «ma sei deluso?». Il prigio¬ niero in piedi schiude la barba: «Sì». Di dove sei? «Pakistan». E perché sei venuto a combattere? «Perché era giusto». Immagine Ntv. Dietro di lui, decine di prigio¬ nieri seduti alla maniera islamica, con le gambe incrociate, testa bassa, turbanti, mani sulle ginoc¬ chia. Un miliziano dei mujahed¬ din con la tuta mimetica, anfibi, berretto a visiera, grossi baffi. Cammina davanti a loro come se cercasse qualcosa, o qualcuno. Deserto, pietre, terra arida, la luce distesa all'orizzonte. Polvere. Non c'è neanche una catapecchia. I kalashnikov appoggiati sui mas¬ si. H soldato punta il dito in mezzo ai taleban: «Tu!» Uno nel mucchio nasconde la testa. Di nuovo, il giornalista al prigioniero in piedi: paura? «Perché?» Zoom. Il soldato va nel gruppo sollevando gli anfi¬ bi sopra le teste, ne afferra imo. L'immagine dimentica il resto. Giornalista: «Non hai paura di quello che ti può capitare?». Un sorriso che apre la barba: «Nes¬ sun problema. Alla guerra come in amore tutto è permesso». Chissà perché nel nostro mon¬ do di uomini siamo convinti che l'amore faccia stragi come le guer¬ re. In Afghanistan, li contano da vent'anni, i morti. Sono già milio¬ ni. Li hanno uccisi le mine, le bombe, i mitra, il fanatismo, l'odio. In Pakistan, cominciano adesso, e le armi sono sempre le stesse. Ottomila dispersi e uccisi, hanno dichiarato alcuni funziona¬ ri governativi al Washington Post. Soltanto nel mese di novem¬ bre, «duemila famighe, che vivo¬ no ai confini dei due paesi, si sono appellate al governo». Non hanno ricevuto risposta. Per le vittime non ci saranno nemmeno funerali pubblici, che il governo ha vieta¬ to: una morte da disgraziati, co¬ me si conviene fra nemici. Ouelli che tornano vivi a casa rischiano il carcere: come si conviene a quelli che hanno perso. Il presi¬ dente generale Pervez Musharraf ha già detto che non li perdona. Lo scrive The Nation, giornale del Pakistan: «Il governo ha prepara¬ to un piano durissimo contro gh estremisti». Parole del presidente. E quelli come il prigioniero di Kunduz che confessa di essere deluso, ma che dice che è la vita, die in fondo non si aspetta niente, che nella guerra tutto è permes¬ so? Quelli che non sono tornati a casa e che non sono morti? Ken- ton Keith, il portavoce americano a Islamabad della coalizione, ieri ci diceva che «gh alleati dei tale¬ ban che si arrendono, li trattere¬ mo umanamente. In Afghanistan hanno cambiato spesso bandiera, come si vede in televisione, quan¬ do si reincontrano e si baciano e si abbracciano come se non fosse successo niente. Per il resto, ve¬ dremo. Il destino dei capi, lo decideranno gli afghani». La verità, però, è che molti fondamentalisti pakistani conti¬ nuano a combattere e a morire, e la tragedia ha passato i confini. Quelli che tonjano qualche volta non si sono neppure portati die¬ tro le memorie dei sogni: adesso sono schiacciati dai dubbi, con¬ fessano persino di aver sbagliato. Non sono le uniche tracce della sconfitta. Musharraf non perdo¬ na loro di essere andati in Afgha¬ nistan a combattere contro il divieto del loro governo. Ha già fatto arrestare alcuni mullah che hanno incitato i propri fedeh alla guerra santa. E le autorità si sono pure impegnate pubblicamente a smantellare i gruppi di militanti islamici che hanno assoldato compatrioti per l'Afghanistan. Pe¬ rò, è costretto a non abbandonar¬ li. Sa bene che quelle migliaia di fondamentalisti perduti nella guerra santa rappresentano la punta di un iceberg. Così, ha fatto appello all'Alleanza del Nord perché tratti umanamente i prigionieri pakistani. E ha chie¬ sto pure alle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni intemazio¬ nali di farsi carico dei suoi concit¬ tadini che s'arrendono. Il dilemma di Musharraf dimo¬ stra l'ambivalenza della società del suo paese, prima nettamente divisa sulla scelta da fare quando i bombardieri americani doveva¬ no ancora sorvolare i cieli dell'Af¬ ghanistan, e poi incapace di pren¬ dere le distanze fino in fondo dal regime taleban. Le manifestazio¬ ni di protesta contro Musharraf, che hanno riempito le strade e le piazze di cartelli e striscioni che inneggiavano a Èin Laden, ormai sono quasi sparite, è vero. Ma tutto questo non deve trarre in inganno. Sembra molto di più il silenzio della solidarietà, che una forma di tacito consenso al nuovo corso inaugurato dal governo. Nel¬ la guerra che pare voler scandire gh ultimi giorni, tutto adesso assu¬ me i toni e i colori di una tragedia che invece è appena cominciata. Non sarà un'agonia. La sensa¬ zione è quella di chi aspetta qual¬ cosa di deflagrante. Chi è tomato indietro, dice che in fondo non capisce bene quello che è succes¬ so. Ascoltati dai giornalisti, i com¬ battenti pakistani costretti a tro¬ vare le prigioni nella loro vita, e niente vittorie e niente pascoli, in fondo non riescono nemmeno a spiegare perché l'hanno fatto. Hanno finito per trovarsi musul¬ mani contro musulmani e non tutti i musulmani contro gli Stati Uniti. Resta Maulana Massud Azhar, leader delJaish-i-Muham- mad, a invocare la guerra santa, perché «Allah è grande e niente è perso». Ha spedito una lettera in tutte le moschee del Pakistan. Dice che questo è solo l'inizio. Dice: «Dobbiamo cominciare la vera guerra contro gli Stati Uniti e questa lotta deve continuare fino alla distruzione del Grande Sata¬ na. E' tempo per tutti i musulma¬ ni di unirsi». Ma oggi quella di Massud Azhar è una voce fuori dal coro. I taleban si sono asserragliati come gh indiani di Geronimo. Verrà la distruzione. Quelli che l'hanno scampata, almeno hanno capito ima cosa: che non è servita. Non sappiamo se è una buona notizia: si continua a morire per niente. Anche il prigioniero pakistano che sorrideva nella barba. «Nes¬ sun problema», aveva detto. Il presidente Musharraf non può abbandonarli benché abbiano disobbedito al suo divieto di passare il confine e chiede ai mujaheddin di trattarli umanamente e alle Nazioni U nite di intercedere per loro 1 prigionieri della Alleanza dèi Nord si dicono delusi e increduli di come sono andate le cose: «È diventata una lotta fra musulmani anziché la jihad contro gli Usa che volevamo Perché ci siamo andati? Non lo sappiamo»

Persone citate: Massud, Musharraf, Pervez Musharraf, Pierangelo Sapegno