Somavia: un forum anti crisi di Marco Zatterin

Somavia: un forum anti crisi Somavia: un forum anti crisi «Obiettivo occupazione, ed eviteremo la catastrofe» Marco Zatterin TORINO LA Pace attraverso il mighora- ■mento delle ctìMizioni di lavoro di tutto il pianeta; svilup¬ po con una «strategia produtti¬ va» che finanzi la nascita di nuove imprese e, dunque, di nuova occupazione. Ecco la ri¬ cetta anticrisi di Juan Somavia, il direttore dell'Ho (Internatio¬ nal Labour Office), l'agenzia che da Ginevra promuove gli obiettivi del «decent work» (il lavoro accettabile) e della sicu¬ rezza sociale. Cileno, ses- sant'anni, economista, è stato ambasciatore del governo di Santiago presso le Nazioni Uni¬ te per nove anni prima di assu¬ mere, nel 1999, le redini del¬ l'Ilo. Nel nome della crescita globale invita ad abbandonare a strada monetarista degli in¬ terventi strutturah per puntare al cuore dell'economia, su im¬ prese e lavoro. Vale anche per l'Afghanistan («l'occupazione deve essere il pilastro della futura ricostruzione») e non solo. E' la cura per chiunque attraversi congiunture diffìcUi: «Bisogna sostenere direttamen¬ te chi produce, elaborando un pacchetto globale di stimolo che consenta a tutti i paesi di avere politiche espansive». Chipaga? «Il mondo sviluppato ha le risor¬ se per farlo. Il maggior pericolo è che si arrivi a condurre pohti¬ che espansive dove ci sono i capitah e ci si affidi ad aggiusta¬ menti strutturah nel resto del pianeta. Sarebbe la ricetta della catastrofe. Invece bisogna deli¬ neare una convergenza perché l'intero sistema, con Fmi e Bau- ca Mondiale, renda disponibile per i paesi in via di sviluppo la liquidità necessaria per alimen- tare la crescita economica». Qual è la giusta sede per trovare un'intesa? «Viviamo una crisi economica e sociale che offre un'opportunità unica al sistema multilaterale per dimostrare che tutti posso- no lavorare insieme. Fondo mo- netario, Banca nondiale, Wto, le Nazioni unite devono chieder- si cosa possono fare in cenere- to. Oggi è però diffìcile definire delle pohtiche economiche sen- za consultare i protagonisti del mercati, le imprese ed i lavora¬ tori. Questi partecipano all'Ho, che rappresenta 138 organizza¬ zioni datoriali e milioni di lavo¬ ratori. Noi siamo l'interlocuto¬ re ideale per questo tipo di dibattito. E il minimo che possa succedere è che noi si venga ascoltati». Ritiene necessario un sun\- mit globale che metta tutti d'accordo? «Si comincia sedendosi tutti insieme intorno ad un tavolo per esammare i problemi e le soluzioni. L'Ilo ha creato un Forum sulla dimensione sociale della globalizzazione: è il solo luogo in cui tutti sono rappre¬ sentati: lavoratori, imprendito¬ ri e governi. Sono invitate an¬ che banche e istituzioni finan¬ ziarie. Questo non vuol dire che sia la sede giusta, ma può essere quella da cui partire». Dopo Seattle il dialogo fra le istituzioni e i no global è diventato quasi impossìbi¬ le. Dì chi è la colpa? «Povertà ed esclusione non sono colpa della globalizzazione. E' vero però che la globalizzazione non ha risolto i problemi che già c'erano. Il fatto è che abbiamo messo insieme un sistema che produce un livello molto alto di incertezza. E' incerta anche la classe media a cui invece dovreb¬ bero andare i maggiori vantaggi. Vuol dire che c'è qualcosa che non funziona». Cosa si può fare? «Servono criteri minimi. In as¬ senza di questi, si ha la deregola¬ mentazione delle economie na¬ zionali e la spostamento del processo decisionale ad un siste¬ ma globale privo di principi guida. L'essenza del libero mer¬ cato è che funziona in una cornice di riferimento. Sennò è la giungla. Quando in Europa si parla di flessibilità del lavoro, il discorso è sui margini e non sull'eliminazione completa del¬ le regole. Nessuno vuole la giun¬ gla». Serve dunque un sistema internazionale finalmente basato su regole comuni. «Esatto. Oggi abbiamo un arci¬ pelago con un'isola commercia¬ le (Wto), una finanziaria (Fmi e Banca Mondiale), una ambienta¬ le (accordi vari) e quella legale del lavoro (Ilo), mentre manca¬ no regole sul fronte dello svilup¬ po, dove i paesi si chiedono perché non possano ayere an¬ che loro gli aiuti (pianò Mar¬ shall o fondi Cee) grazie ai quali l'Europa è cresciuta e si è svilup¬ pata. Certo, molti fondi per lo sviluppo sono stati buttati via, ma altri sono stati spesi bene. Le risorse servono perché ci sono milioni di persone non Drotette. Vanno focalizzate sul- e imprese: non parlo di fondi per i governi, ma per i progetti concreti che creino posti di lavoro e un circolo virtuoso che si sostenga da solo». Perché non lo si fa? «C'è una mancanza di decisione pohtica da parte dei governi che devono dare il mandato alle istituzioni internazionali». Come mai? «Non pensano abbastanza: chi va al governo si basa sull'espe¬ rienza precedente e non ragio¬ na abbastanza su meccanismi complessi come questi. Oltretut¬ to, l'attuale sistema multilatera¬ le è una struttura di grande potere che non induce al cam¬ biamento. Capita però che la barca stia facendo acqua e che il modo in cui la globalizzazione si tiene insieme è molto fragile. Sta succedendo qualcosa che va oltre la protesta in piazza. Sotto sotto, c'è un popò o silenzioso che si accorge di come le regole non siano giuste per lui. Lenta¬ mente, questo produrrà una reazione forte. Bisogna rispon¬ dere a queste ansie. Non c'è scelta. In un mondo dove tutto è collegato il prezzo di un crollo sarebbe terribile». Bambini in grave stato di denutrizione in un Paese sottosviluppato Secondo l'Ilo (International Labour Office) diretto da Somavia la pace e lo sviluppo passano attraverso il miglioramento delle condizioni di lavoro in tutto il pianeta

Persone citate: Juan Somavia, Somavia

Luoghi citati: Afghanistan, Europa, Ginevra, Santiago, Seattle, Torino