La strage dei prigionieri arabi

La strage dei prigionieri arabi ■•"■—"r" UN GIORNO DI BATTAGLIA La strage dei prigionieri arabi reportage Mimmo Cénd'ito inviato a KABUL FINISCE sempre nel sangue, il crepuscolo degh dei, e ieri tra le mura tetre di Qalai Jan¬ ghi, una vecchia fortezza tra¬ sformata in prigione, gli «arabi» deh'Afghanistan, i guerrieri del¬ l'Islam che da queste montagne volevano partire alla conquista del mondo, hanno celebrato nel rito terribile di una mattanza suicida la morte del loro sogno. La guerra santa non ha prigio¬ nieri, non può, non vuole aver¬ ne; da Mazar-i-Sharif a Kun¬ duz, Khost, Herat, forse prossi¬ mamente anche a Kandahar,. ima geografia omogenea dell'or¬ rore accompagna ormai ogni conquista territoriale dei nuovi padroni dell'Afghanistan. E la guerra che lentamente sì va stringendo resterà sepolta nella memoria del nostro tempo sotto una montagna di morti senza nome; ieri, settantatreesìmo giomo nella guerra dell'Afghani¬ stan, sembrava dovesse essere la data della caduta definitiva di Kunduz. Seduto su una poltroncina di plastica nella collinetta che s'al¬ za appena sopra la sponda de¬ stra del fiume Banqui, con due telefoni satellitari appoggiati nervosamente su un basso tavo¬ lo, e gli occhi, puntati dentro il suo binocolo da campagna, il generale Daud seguiva l'avanza¬ ta dei suoi carri con lo stesso superbo convincimento di un nuovo Napoleone. Era l'eroe della cattura della città, un polverone giallo si sollevava dai cingoli dei tanks e riempiva il cielo. «Salveremo la vita di chi si arrende», diceva il Napoleone tagiko. Un centinaio di chilome¬ tri a occidente, in quella stessa ora, due di coloro che si erano «arresi» si stavano avvicinando a un gruppo di comandanti miyaheddm che avevano appe¬ na varcato il grande portone della fortezza di Qalai Janghi. La fortezza è un vecchio castel¬ lo che re Zahir aveva fatto recuperare dai malanni del tem¬ po e consegnato alla 18a Divisio¬ ne, allora le sue truppe di punta e oggi il corpo militare più fedele al generale uzbeko Rashid Dostum; sta nella piana di Balk, a dieci minuti da Ma¬ zar-i-Sharif, nella grande valle della Amudarya che gli si sten¬ de d'attorno con i suoi campì che la guerra e la siccità hanno trasformato in un pianoro sven¬ trato. , Qalai Janghi, da quando i mujahèddin hanno riconquista¬ to Mazar-i-Sharif, è, diventata la prigione della «legione stra¬ niera» catturata dentro la città; vi stanno ammassati a centina¬ ia, egiziani, filippini, sudanesi, yemeniti, cinesi, marocchini, al¬ gerini - gh «arabi» che con Bin Laden volevano riscattare una storia di secoli vissuti con un forte sentimento d'umiiiazione dai popoli dell'islam. Arrivati ad un passo dal grup¬ po degh ufficiali, i due prigionie¬ ri, hanno lanciato un grido: «Allah u-akbar», e poi hanno fatto esplodere una granata che tenevano nascosta sotto il giac¬ cone. Il grido e il lampo sono stati uh segnale. Mentre un paio di comandanti restavano sul terreno, uccisi dalla grana¬ ta, la folja dei reclusi si lanciava addosso alle guardie e riusciva a disarmare e uccidere un solda- to americano. Di lui, per ora, si conosce solo il nome: Mike. Cominciava l'assalto alla guar¬ nigione del forte. Non era la sommossa dei reclusi che.prote¬ stavano per il sovraffollamen¬ to, questi erano uomini consape¬ voli di essere arrivati alla fine del loro percorso; la rivolta nel. tentativo disperato di guada¬ gnarsi in quella lotta il diritto ad una scelta, tra il suicidio e la certezza della morte violenta. Quando gh «shuravi» sovieti¬ ci si ritirarono sconfitti da que¬ ste montagne, lasciarono alle spalle un esercito d'irregolari che in nome di Allah aveva impalato come nessuna poten¬ za, nemmeno l'Urss che osava sfidare gli Stati Uniti, possa resistere al coraggio e al deside¬ rio di rivincita del «popolo dei fedeli». Foraggiati dagli Stati Uniti e dall'Arabia Saudita, ad¬ destrati dai consigheri america¬ ni e pakistani, confortati dalla solidarietà dell'intero mondo arabo, tra l'82 e il '92 quasi quarantamila musulmani radi¬ cali ebbero il battesimo del fuoco accanto ai inujaheddìn che davano battagha a Mosca; provenivano da quarantatre Pa¬ esi islamici, del Medipriente, dell'Africa, dell'Asia centrale, fin dalla Cina, e diventarono i monatti del contagio fondamen¬ talista nel mondo arabo, nelle Filippine, nelle steppe dell'Asia sovietica, nel Golfo, nel Ma- ghreb e Masreshk della Mezza- lima crescente, anche nello Xinjang degh U[jhur. Il generale Gul, il capo dei servizi segreti pakistani, che con il capo della Cia William Casey fu padre putativo della nasata di questo esercito di terroristi, disse in quegh anni: «I comunisti hanno le loro brigate intemazionali, l'Occidente ha la Nato, perché noi non dovremmo avere la prima brigata intemazionale dell'islam?». Quei quarantamila vengono addestrati alla guerriglia e al terrorismo, e sono partiti per con battere dovunque la loro gueira di religione. Bin Laden li aveva ingaggiati a fare con lui l'ult'ma battagha «contro gli ebrei e contro i crociati». Qui in Afghanistan li chiamano gh «arabi», perché non sono afgha¬ ni anche se non tutti vengono veramente dalle terre d'Arabia; ed erano venuti in quindicimila almeno, formalmente come commilitoni dei taleban, in real¬ tà come un esercito orgogliosa¬ mente a parte, con un'altra lingua, un più forte addestra¬ mento militare, una superbia che nasceva dall'orgoglio di es¬ sere un corpo d'elite, i «crocia¬ ti» della guerra santa contro l'Occidente. E questa superbia, questa orgogliosa separatezza, li ha fatti Odiare da tutti, dai loro nemici mujahèddin ma an¬ che dai loro compagni di strada taleban (che, anzi, finivano per essere i loro subordinati). Nella vecchia fortezza la bat¬ tagha è stata come una guerra. La forza della disperazione spìn¬ geva gh «arabi» a un'audacia che i mujahèddin non riusciva¬ no a contenere. La lotta si è allargata, le armi conquistate ai guardiani dell'AUeanza comin¬ ciavano à rovesciare hequih- brio, Qalai Janghi stava per essere conquistata da coloro che avevano perduto Mazar. Il corrtandante della piazza milita¬ re ha chiesto allora rinforzi, ha chiamato anche Dostum: la si¬ tuazione precipitava. Dall'Uz¬ bekistan, dalle basi che gh ame¬ ricani hanno montato presso il confine, a una cinquantina di chilometri, sono partiti imme¬ diatamente alcune jeep con i commandos e le squadre specia- h; la rivolta andava contenuta a qualsiasi prezzo. E il prezzo è stato molto elevato. Un giornalista di «Ti¬ me» che stava a poche decine di metri da Qalai Janghi ha potuto essere testimone delle dramma¬ tiche ultime sequenze della ri¬ volta: gh aerei hanno bombarda¬ to pesantemente la fortezza, coordiniati da una dozzina di commandos americani e inglesi (questi ultimi, della Sas, erano in panni civili); alcuni dei com¬ mandos sono anche entrati nel forte e hanno guidato la repres¬ sione, cercando di bloccare la spinta dei ribelli, che erano molte centinaia, «settecento, forse anche ottocento». Il conto dei morti sarebbe molto alto, «trecento, forse anche quattro¬ cento». Qui a Kabul, nelle stesse ore della vittoria di Raud (e del suo dichiarato «rispetto, per chi si arrende»), e nelle stesse ore del massacro di Qalai Janghi (e di coloro che si erano «arresi»), il presidente Rabbani rassicura¬ va la stampa intemazionale: «Coloro che si arrendono saran¬ no rispettati. I taleban se ne andranno a casa, gli "arabi" verranno rispediti ai loro Paesi con l'aiuto dell'Onu». Ieri Rab¬ bani ha anche aperto ai suoi nemici sconfìtti, in un nuovo governo potrebbe esserci posto per un (ex)taleban. E' un segno di pace. In Afghanistan per tutti c'è posto, non per gh «arabi». I ribelli erano rintanati nella parte occidentale deiredificio su cui i caccia dell'Air Force scaricavano le loro bombe. Si dice che gli «arabi» uccisi siano tre-quattrocento Da Kabul il «presidente» Rabbani afferma di essere disposto ad accettare taleban «a titolo personale» nel futuro governo e di voler consegnare gli stranieri catturati all'Onu Sono intervenuti gli uomini dell'Alleanza del Nord, spalleggiati da una dozzina di militari britannici delle Sas e da americani.'in tutto coinvolte negli scontri a fuoco circa ottocento persone E' intervenuta anche l'aviazione Usa Nel forte di Qalai Janghi dove erano reclusi numerosi membri della «legione straniera» le truppe speciali di Bin-Laden sono riuscite a strappare il fucile a un soldato americano che è stato subito ucciso. Di lui si sa soltanto che si chiamava «Mike» Un mujahèddin ferito si rifugia sulle mura del carcere dove è scoppiata la rivolta. A destra, un taleban che si è arreso