Tutto il Piemonte sul palcoscenico di Osvaldo Guerrieri

Tutto il Piemonte sul palcoscenico STORIA Tutto il Piemonte sul palcoscenico Massimo Scaglione traccia il percorso del teatro regionale Attraverso gli artisti, dalla Marchionni ad Artuffo e Farassino LE indagini di Massimo Scaglione sul Teatro piemontese sono là spia di un grande amore e di im vuoto. L'amore è per una regione che, magari con pudore, la prodotto momenti d'arte supremi; il vuoto riguarda gli studi storico-critici che, pur non del tutto assenti, non hanno mai atto nerbo. Benvenuto, allora, questo «Attori sotto la Mole» (Piemonte in Banca¬ rella, pp. 164, L. 12.500) che, al di là del titolo strapaesano, è un succinto reperto¬ rio della storia teatrale della regione attraverso i suoi protagonisti. Scaglione parte giustamente da lonta¬ no, da quelle sacre rappresentazioni che, nel Medioevo, mescolando sacro e profa¬ no, segnarono la nascita di un genere. Quindi procede di un passo, si ferma sulla maschera di Gianduja, sulla sua genesi e sviluppo; si sofferma sulla Reale Compa- gnia Sarda che, all'inizio dell'Ottocento, costituì uno dei primissimi esempi di teatro pubblico. E fu proprio la «Sarda» che inaugurò il fenomeno del divismo. In, compagnia c'era Carlotta Marchionni, che abbandonò la professione al culmine della gloria, alimentando una leggenda destina¬ ta a durare per decenni. E dopo la Mar¬ chionni, ecco Adelaide Ristori, «la più grande della sua epoca», interprete alfìeria- na di portamento altero, al limite dello statuario. Da questo punto in poi è tutto uno snocciolare figure e glorie: Giovanni Ema¬ nuel, Giacinta Pezzana, Giovanni Toselli inventore del teatro piemontese, la meravi- gliosa Marianna Moro-Lin eccellente inter¬ prete goldoniana. Ecco le famiglie d'arte: la Cuniberti, la Testa, la Goletti, la Gemel¬ li, la Bonelli, la Casaleggio. Ad ogni nome corrisponde un'epoca, un costume, un repertorio. Scaglione annota e spiega. In rapidi capitoli racconta una civiltà lonta¬ na e mitizzata, estrae aneddoti, lampi di vita. Evidentemente^ vuol portarci fuori dal museo. Se potesse, ci farebbe sentire anche le voci di quelle figure leggendarie. E quando arriva ai tempi nostri, lo sguardo dello studioso sembra illuminarsi d'affetto. Milly, Carlo Campanini, Maca¬ rio, Mario Ferrerò, il ruvido Artuffo e Farassino diventano quasi i compagni di strada di cui veniamo a sapere splendori e debolezze, metodo e pensiero: fratelli maggiori di imo stuolo tutt'ora in servizio che, tra radio e palcoscenico, incarna l'ultima fase di una storia dalla quale sarebbe un delitto restar fuori. Osvaldo Guerrieri

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