Israele la chiave dell'odio arabo per gli Usa

Israele la chiave dell'odio arabo per gli Usa YEHOSHUA: «PERCEPITI COME UN GRANDE DEMONIO CHE DA' UNA MANO AL PICCOLO DEMONIO» Israele la chiave dell'odio arabo per gli Usa Occorre risolvere la questione ebraica per ritrovare la pace Avraham B. Yehoshua GLI incredibili avvenimenti dell' undici settembre in America sono avvenuti nella settimana in cui è apparso in Israele il mio ultimo romanzo. Non avrei ricorda¬ to questa circostanza se non fosse per il fatto che il protagonista del libro, a cui ho cominciato a lavora¬ re tre anni e mezzo fa, è un docente di storia mediorientale all'universi¬ tà di Haif a e una delle questioni che occupano maggiormente lui e i suoi colleghi è l'incapacità di compren¬ dere l'ondata di terrorismo spietato che ha spazzato l'Algeria negli ulti¬ mi dieci anni. Il problema di quali siano i modi più indicati per capire gli arabi e le fonti su cui basare tale tentativo si presenta nel romanzo sia a livello teorico che pratico (durante gli incontri tra personaggi ebrei e ara¬ bi), e una delle conclusioni propo¬ ste e messe in atto è quella di rivolgersi alla poesia e alle leggen¬ de popolari - antiche e moderne - degli arabi, così da toccare le loro radici emotive più profonde. Pro¬ prio perché gh arabi attribuiscono un'enonne importanza alla loro ric¬ chissima lingua e alla sua espressio¬ ne artistica, e proprio perché la libertà di parola è negata a molti di loro nei regimi antidemocratici, c'è la necessità di prestare ascolto ai loro riferimenti letterari per inter¬ pretare meglio il loro pensiero. Un amico arabo-israeliano, do¬ cente di letteratura araba all'uni¬ versità di Berkeley, mi ha racconta¬ to che ultimamente circola laggiù la seguente battuta: «Perché gli arabi odiano gli americani? Perché gli americani non capiscono perché arabi odiano gli americani? Perché gli americani non capiscono perché gli arabi li odiano». La tautologia di questa frase non è casuale. Nel tentativo di capire l'ostilità profon¬ da che gh arabi mostrano verso l'America, si giunge a un vicolo cieco. Dico «arabi» in quanto sono loro ad aver popolato le file dei terroristi che hanno colpito gli Stati Uniti e non i musulmani di altra nazionalità, che forse esprimono qui e là simpatia e solidarietà verso i loro correligionari, ma non prendo¬ no parte attiva agli atti di terrori¬ smo. Ma non c'è qualcosa di strano in tutto questo? In fondo non sono stati gli americani a invadere l'Af¬ ghanistan negli Anni 80, bensì i russi. E se gh afghani hanno un conto in sospeso con chi ha causato loro grande sofferenza in quel perio¬ do ecco che dovrebbero rivolgersi ai russi e non agli americani. E non sono nemmeno stati gh americani, ma i francesi, a uccidere milioni di algerini durante la guerra d'indipen¬ denza degli Anni 40 e 50, e se agli algerini è rimasto un desiderio di vendetta avrebbero dovuto colpire la torre Eiffel e non le Torri Gemel¬ le. I grandi misfatti degli americani nella seconda metà del XX secolo sono avvenuti in Vietnam e Cambo¬ gia, ma da quei Paesi non provengo¬ no kamikaze in cerca di vendetta, così come non ne provengono dagli Stati del Centro e del Sud America, in cui il capitalismo americano ha stretto un patto con le locali dittatu¬ re militari. Gh Stati Uniti non hanno mai avuto domini coloniali in nessun paese arabo e in occasione dell'of¬ fensiva di Suez, nel 1956, si espres¬ sero apertamente, a fianco dell' Unione Sovietica, contro l'interven¬ to di Francia e Inghilterra in Egitto. Qual è allora la radice della maledi¬ zione e della foiba ossessiva che spinge gh arabi a insoi^ere contro l'America? A mio avviso, a tale proposito, occorre prendere in considerazione il problema ebreo-israeliano che rappresenta un elemento più rile¬ vante di quanto appaia nelle nume¬ rose analisi della situazione. Torniamo per un momento alla seconda guerra mondiale. Non in¬ tendo affermare che quella guerra terribile in cui rimasero uccisi qua- si 60 milioni di esseri umani scop- terribile in cui rimasero uccisi qua¬ si 60 milioni di esseri umani scop¬ piò unicamente a causa della foiba hitleriana nei confronti degli ebrei. L'attacco della Germania nazista al mondo occidentale e sovietico av¬ venne per numerose e complesse ragioni ideologiche, economiche e politiche. Tuttavia non c'è dubbio che la questione ebraica contribuì a conferire al conflitto un risvolto aberrante e una brutalità particola¬ re, al punto da poter dire che senza il combustibile antisemita, il quale infiammò in diversa misura i tede¬ schi e parte delle popolazioni con¬ quistate nell'Europa orientale e oc¬ cidentale, al nazismo sarebbe man¬ cata la motivazione ideologica e la determinazione per «andare fino in fondo» nel suo percorso di distruzio¬ ne e autoannientamento. Il problema dell'odio verso gli ebrei è profondo quanto gli abissi del mare e la sua origine non è da ricercarsi nel Cristianesimo o neh' Islam, sebbene entrambe quelle religioni, e soprattutto la prima, vi abbiano dato il proprio contributo. L'odio verso gh ebrei nasce nel mondo antico, duemilacinquecen- to anni fa, ma è solo nel secolo scorso che ha ricevuto un forte impulso proprio all'interno di ditta¬ ture laiche per antonomasia, quali quelle della Germania nazista e dell'Unione Sovietica (per quanto non si possa paragonare la ferocia nazista contro gh ebrei a quella comunista). Nel corso delle generazioni sono stati compiuti infiniti studi sulle cause dell'antisemitismo senza tut¬ tavia riuscire ancora a comprende¬ re appieno la natura di tale odio. Non ho la presunzione di spiegare nessuna di queUe cause, limitando¬ mi a dire che una di esse è probabil¬ mente da ricercarsi nella struttura estremamente complessa dell'iden¬ tità ebraica, nel connubio tra reli¬ gione e nazionalità che se da un lato crea un nucleo interno saldo, dall'altro permette agh ebrei di mantenere ovunque la propria iden¬ tità senza l'ausilio di elementi ester¬ ni quale territorio, lingua o precisa organizzazione sociale. Ma ecco che quando gruppi etni¬ ci nei quali sono presenti comunità di israeliti attraversano difficoltà di tipo economico, sociale, cultura¬ le o ideologico, oppure si trovano in una fase di transizione o di tensio¬ ne, si risvegha la tendenza a rivol¬ gersi con violenza verso gh ebrei, ritenuti fonte di tali problemi o malesseri. L'ebreo simboleggia, fisi¬ camente ma anche come una sorta di spettro, lo straniero che si intro¬ duce nel tessuto sociale di un popo¬ lo sovvertendone l'identità. A quel punto si verifica una reazione vio¬ lenta nei suoi confronti e anziché considerarne il problema nella sua essenza, per quanto complessa e con una probabile componente ne¬ vrotica ma assolutamente non ag¬ gressiva, prevale la visione dell' ebreo come una sorta di demone pericoloso dalla forza tremenda, che occorre distruggere insieme a chi lo aiuta. La creazione dello Stato d'Israe¬ le in Medio Oriente è avvenuta al fine di normalizzare (in parte, per lo meno) tale situazione, inserendo gli ebrei in un contesto di stampo nazionale. Ma un simile passo non è stato compiuto con l'approvazio¬ ne degli arabi, sebbene il movimen¬ to sionista l'abbia cercata fin dall' inizio con tutte le sue forze. Proba¬ bilmente era utopico auspicarla e verosimilmente nessun popolo sa¬ rebbe stato febee di rinunciare a una parte del proprio territorio per agevolare la normalizzazione di un'altra etnia, sebbene l'area in questione fosse limitata, in gran parte disabitata e desertica, e insi¬ gnificante se paragonata alle diste¬ se enormi a disposizione dell'intera nazione araba. Gh arabi, che erano e si trovano ancora in ima comples¬ sa fase di transizione per quanto attiene alla loro capacità di adatta¬ mento al mondo moderno dopo centinaia di anni di dominio otto¬ mano, hanno considerato l'arrivo degli ebrei in Medio Oriente non come il tentativo disperato di un popolo perseguitato di costruire una vita nazionale in un fazzoletto di terra, ma alla stregua di un'inva¬ sione e di una pericolosa crociata occidentale di conquista, intesa a minare la loro identità e a privarli dei loro possedimenti. L'atteggiamento spregiudicato e irrequieto degh ebrei, la loro storia particolare e travagliata, la scarsa chiarezza tra identità religiosa e nazionale, il loro essere coinvolti in innumerevoli sfere d'interesse, so¬ prattutto nel campo della cultura e della comunicazione, il loro «appar¬ tenere» e «non appartenere», la contraddizione tra il loro essere deboli da un lato e derelitti e l'immagine di forza e di resistenza che viene loro attribuita dall'altro; tutto ciò, insomma, e altro ancora, ha fatto sì che il conflitto tra arabi ed ebrei travalicasse lo scontro territoriale e si trasformasse in un conflitto prolungato dalle connota¬ zioni metafisiche e quasi sataniche. Ma ecco che gli Stati Uniti, lontani dal Medio Oriente e dall'antisemiti¬ smo classico, hanno considerato il ritomo a Zion degli ebrei in una chiave religiosa e storica estrema¬ mente positiva offrendo quindi allo Stato ebraico un aiuto e un appog- gio non sempre sostenuti dalla logi¬ ca pohtica, divenendo così agh oc¬ chi degh arabi il «grande demonio» che dà una mano al «piccolo demo¬ nio». Non dico che l'odiò di una parte degh arabi verso gh Stati Uniti sia stato generato esclusivamente dal conflitto israelo-palestinese, ma ta¬ le conflitto lo inasprisce e i mezzi terribili a disposizione del terrori- amo, che si fanno sempre più' sofi¬ sticati, possono portare a una trage¬ dia molto più grande di quella accaduta l'undici settembre. Sem¬ bra dunque che la comunità inter¬ nazionale, soprattutto quella euro¬ pea, abbia il dovere di compiere un passo drastico e deciso esortando e imponendo ad ambo le parti di giungere a un accordo. Quando fu chiesto al coraggioso presidente Anwar Sadat di motiva¬ re la sua visita drammatica a Geru¬ salemme al fine di raggiungere la pace tramite un negoziato diretto con gli israeliani, lui espresse il suo pensiero in modo eloquente: «An¬ che se gh arabi potessero distrugge¬ re lo Stato d'Israele il mondo non ghelo permetterebbe. E gh arabi non possono combattere contro il mondo intero». Quella frase deve ora essere ripetuta dall'Europa al mondo arabo, accompagnata dall' esigenza perentoria, sia nei con- fronti di Israele che dei palestinesi, di accettare la proposta formulata da Clinton dopo il fallimento del vertice di Camp David. E se la comunità intemazionale sarà pron¬ ta a garantire con la forza i nuovi confini che verranno tracciati tra Israele e lo Stato palestinese dopo il ritiro dello Stato ebraico dai territo¬ ri conquistati nel '67, a investire in aiuti ai profughi e nello sviluppo della zona per favorime la stabilità, e a supervisioname la smilitarizza¬ zione, sarà questa una dimostrazio¬ ne di saggezza che eviterà ulteriori spargimenti di sangue, nuove terri- bili guerre e insensati atti terroristi¬ ci. La questione ebraica è troppo intricata, annosa e piena di traboc¬ chetti perché si possa permettere agh israeliti e ai loro nemici di continuare ad affrontarla da soli. Il problema degh ebrei è un problema mondiale e perciò solo un interven¬ to del mondo illuminato che porti alle demistificazione, alla «sdemo¬ nizzazione» del conflitto e all'impo¬ sizione di una soluzione giusta per entrambe le parti, eviterà una scia¬ gura terribile come quelle che, pur¬ troppo, abbiamo già vissuto nel corso del ventesimo secolo. «Il presidente Sadat in visita a Gerusalemme affermò che "gli arabi non possono combattere il mondo" Quella frase va ora ripetuta» «La comunità internazionale e soprattutto quella europea ha il dovere di compiere un passo drastico e deciso verso un accordo» ^ÉliH HÈttÉk

Persone citate: Anwar Sadat, Clinton, Eiffel, Sadat, Torri Gemel, Yehoshua, Zion