PENTAGONO il gigante ferito ha fretta di guarire

PENTAGONO il gigante ferito ha fretta di guarireMLGIGANTESCOCANtlERESlL^ORAATEMPI DI RECORD PENTAGONOil gigante ferito ha fretta di guarire reportage fiamma Nirenstein inviata a WASHINGTON CHIUDERE la ferita sangui¬ nante, ricostruire veloci e silenziosi quella sventola di 37 mila metri quadri, senza lascia¬ re cicatrici, sognare che non sia mai accaduto. Perché l'America continui a disegnarsi il suo Pen¬ tagono da film, puntuto e senza spiragli. Con Rumsfeld duro e tranquillo che dà ordini dalla sua scrivania, fortezza della li¬ bertà e della forza dal tempo della seconda guerra mondiale quando; costruito in -fretta e furia nel 1943, fu la base della guerra contro il nazifascismo. Per ora si arriva al Pentagono con uno slalom di barriere, di verifiche e identificazioni, con la sensazione che su quella gran¬ de voragine il cielo azzurro di Washington sia una bocca splan- cata. La polvere vortica, le pie¬ tre sono divelte. Colpendo il Pentagono, se uno non l'avesse capito bene, i terroristi hanno fatto centro sull'Esercito, la Ma¬ rina, l'Aeronautica in tutte le sue gerarchie, i corpi speciali, la sicurezza e l'intelligence, il mini¬ stro della Difesa e i viceministri, il capo di stato maggiore e tutti i suoi vice, e sui 28 mila lavorato¬ ri dei cinque Settori (Wedges, che vuol dire letteralmente cu¬ neo) disposti verso l'esterno, dall'A alla E. Il buco è su due strati, da C a E, e su due settori, I e 2. Il centro è danneggiato ma non distrutto. Il Pentagono è anche la sede del Presidente nel suo molo di comandante in capo dell'esercito. Civili e militari han¬ no organizzato là l'intervento in Europa durante la seconda guer¬ ra mondiale, yi hanno tessuto la strategia della Guerra fredda, Kennedy vi decise la Baia dei Porci, via via da là partono la guerra di Corea, il Vietnam, gli interventi in Somalia, l'incursio¬ ne in Libia, Desert Storm in Iraq, l'intervento in Bosnia. Adesso alla superficie intema di 344 mila metri quadri coperti di linoleum verdi mancano due fet¬ te. La gente che si sposta in frotte eh ufficio in ufficio, sui pavimenti verdolini di quel che è rimasto in piedi, ride e scher¬ za, beve caffè; i muri sono tap¬ pezzati di grandi quadri con la cornice dorata da cui ci salutano tutti i presidenti e tutti i militari importanti. Ci sono mostre di ogni genere, anche di film più o meno sul Pentagono, c'è Gene Hackman in «Behind the enemy line», Harri- son Ford in «Air Foirce One» e Tom Cruise in «Top Gun». Belle mostre di giornali ricordano glo¬ rie passate; le antiche divise sono anch'esse in mostra. Sul muro si annuncia il Ramadan e se ne spiega il significato dicen¬ do che in questi giomi i musul¬ mani «mettono da parte ogni cattivo pensiero». Disegni di bambini, bandierine americane e messaggi di affetto e di lutto a colori tappezzano i muri. Un motto che si legge qua e là dice: «Il Dipartimento della Difesa dispiega le forze necessarie ad assicurare la sicurezza degli Sta¬ ti Uniti e a promuovere la demo¬ crazia nel Mondo». Per ora, invece, entrando col casco nel grande buco si vede lo sfregio fatto dai terroristi nel Superman collettivo. E' la gran¬ diosità dell'impero che mette in risalto il danno: i parcheggi ora tutti circondati di barriere e mezzi vuoti ospitavano circa 9000 auto. Il Pentagono contava 284 bagni, 691 rubinetti d'acqua potabile, 4200 orologi da muro, 300 mila pubblicazioni in biblio¬ teca, 5000 tazze di caffè al gior¬ no. Ora le cifre del colossal non sono più buone, lo spirito non è più quello. Prima del ristorante, comunque affollato, dove lavora¬ no 230 persone e una decina di banchi offrono tipi di cibo diver¬ si (vegetariano, barbecue, cine¬ se, pizza...) gh avventori si fer¬ mano all'ingresso a guardare la mostra delle fotografie dei cadu¬ ti: neri, bianchi, gialh, ebrei, musulmani, cristiani. Se li indi¬ cano: il mio compagno di stanza, la persona cui dissi «vengo fra un'ora a prendere il caffè con te». Già arrivando da fuori si intra¬ vede nei cavi e nei detriti neri e grigi l'offesa subita nel proprio più profondo significato esisten¬ ziale, la libertà di sedersi a lavorare, il diritto di guardare il cielo dalla finestra aspettandose¬ ne serenità e non minaccia. E subito nei lavori in corso si sente un'ansiosa inusitata orgogliosa fretta che batte, struscia, illumi¬ na, spezza, ricostruisce veloce, più veloce, la forza del Pentago¬ no. Ci diamo dentro, mi dice la mia accompagnatrice, con tutte le nostre forze: presto sarà tutto più bello di prima. Poco più di cinquant'anni fa il presidente Franklin Roosevelt disse di quella bizzarra creatura progettata in soli quattro giomi: «Sapete, signori, mi piace la forma pentagonale. Perché non somigha a nessun altro edificio». La parabola non è più buona: adesso.il Pentagono somigha al¬ le Twin Towers. Cuori colpiti, viscere sanguinanti. I ciliegi giapponesi del monumento a Lincoln facevano arrivare fin qua il loro profumo. Ora c'è odore di polvere di ferro, e di bruciato. C'è odore di assedio al potere militare. Lo shock del Pentagono è forse ancora più grande ma più segreto di quello di New York. E per questo la ricostruzione ha assunto il carat¬ tere di una corsa alla riabilitazio¬ ne fondamentale, complessiva. Questo troviamo visitando il Pentagono e la sua ferita. C'è una supercura in corso, medicina americana: lo scavato¬ re giallo idraulico «Potts e Cal- lahan», potenza della tecnica, può entrare per 22 metri e pren¬ dere qualsiasi peso con delicatez¬ za dentro ogni oscurità, ogni distruzione e temperatura; in quel buco d'inferno «Potts e Callahan» fa ordine, crea sorrisi e sospiri di solhevo ai lavoratori affaticati col casco bianco e gial¬ lo, la distruzione è già stata spianata e battuta come se puli¬ re fosse uno scongiuro, solo una muraglia sul Settore 1 appare repellente e paurosa, per i tre piani di fili e detriti che colano come vermi lungo la facciata sinistra, mentre il Settore 2 è stato tappato con pannelli per lavorare in pace. Come il Prozac di fronte alla depressione, o la vitamina E per la vecchiaia, la cura miracolosa risiede in queir oggetto frenetico e primordiale che ficca la testa di metallo per ventidue metri dentro la ferita. Esistono due scavatori così in tutti gli Stati Uniti, un'impiegata bionda col golf rosa e il casco bianco spiega concitatamente, quasi senza respirare, senza tre¬ miti nella voce di fronte ai cavi e ai fili ciondoloni, le colonne divelte, il grande vuoto per cui mancano metà di due lati della fabbrica di ogni guerra america¬ na, il Pentagono, distrutto dai terroristi con un jet in picchiata l'il di settembre. «Tutti i morti sono stati estratti dalle macèrie, anche il vice capo di stato mag¬ giore», perché i terroristi sono andati molto vicini a uffici di massima responsabilità, e non voglio dire di più, sussurra la ragazza. Il mostro idraulico fa un ru¬ more degno della sua potenza, due è il suo numero cabbahstico, due sono le macchine, una nel buco del Pentagono e l'altra nel buco delle Tv/in Towers a New York; due soltanto gli uomini che la sanno manovrare e fanno afferrare con la bocca da dino¬ sauro carichi di tonnellate di cemento e corde d'acciaio, di detriti elettrici, materiali classi¬ ficati e non classificati misti a microchip, a schermi, a telefoni e tavoli di lavoro; anche il suo, appunto, del vicecapo di stato maggiore Thimoty J. Mande. Ucciso. Sua moglie, il giorno dopo il disastro, mentre ancora il corpo era sotto le macerie, è venuta personalmente a incorag¬ giare i lavoratori del Pentagono a continuare il loro lavoro come sempre. Dodici ore al giorno allo scava¬ tore lavora Jack (chiamiamolo così), dodici Jim. Si alternano senza sosta. Non si smette mai, mai. Le fotoelettriche sono acce¬ se tutta la notte, ogni notte. Dal 18 settembre è così: ogni minuto per ricostruire 0 Pentagono, per¬ ché da allora, dopo la commemo¬ razione dei 188 morti (ma la cifra è ancora, e significativa¬ mente in discussione) c'è un obiettivo che non deve, non può essere mancato: l'il settembre del 2002 - ha detto Lee Wevey, il manager del programma di rico¬ struzione - voglio la gente affac¬ ciata alle finestre che sostitui¬ ranno quelle distrutte, li voglio tutti nei Settori 1 e 2 per la commemorazione, nel loro uffi¬ cio in piedi per Amazing Grace e l'alzabandiera. Li voglio che guardino da dove i terroristi hanno pensato di farci fuori tutti, con lo sguardo verso il Potomac, verso il Mail con le stelle e strisce al vento proprio dove l'aereo ha sfondato la terra a due metri dal muro dei Settori I e 2, e poi ha spinto il muso in su, quarantacinque gradi di an¬ golazione per sfondare quanti più muri possibile, per mangiar¬ si quanto più Pentagono possibi¬ le, dentro la fortezza come alle volte arrivavano le pietre infuo¬ cate dalle catapulte dei barbari dentro le città d'arte itahane. «Fosse caduto diritto sull'edi¬ a ti r¬ k o o¬ a¬ n e¬ e to n¬ il il o¬ a, uguae a prma e mego ancora, bisogna cicatrizzare subito, sen¬ za stare a contemplare le ferite e a contare i morti. Forza con l'idraulico, dai con le gru, muovi le tonnellate di cemento, sposta i detriti con i bulldozer, cambia la squadra a mezzanotte, alle sei, a mezzogiorno, forza Jim e Jack: «Il fuoco è continuato per giomi, i tubi saltati avevano riempito d'acqua a migliaia di metri cubi le stanze - spiega Rachel Decker, la mia guida - ma gli oggetti da salvare, essendo questo luogo sede di operazioni molto delicate, erano molti e dovevano tutti essere verificati dall'Fbi. E parecchi, in segreto. Era difficile e tragico, con decine di corpi ancora sotto le macerie. Non potevamo certo abbattere mura e accumulare detriti a caso». «Eppure - Rachel si mette quasi sull'attenti - siamo cinque settimane avanti rispetto ai tem¬ pi previsti benché il programma originale sia già molto aggressi¬ vo, e in questo ci hanno aiutato le circostanze: da tre anni erano già al lavoro in quest'area le squadre per il rinnovamento to¬ tale del Pentagono, gli operai e gli ingegneri dell'Amec e della Hensel Phelps. E' un programma di undici anni di lavoro per 145 milioni di dollari di appalto, corrispondente a 758 milioni di valore reale. Guardi la trama d'acciaio delle finestre, tutta quanta ancora in piedi: erano quelle nuove, che hanno impedi¬ to il collasso totale e immediato, ed evitato la perdita di altre vite umane. Gh operai qui sono gli stessi che già conoscevano i segreti dell'edificio e che stava¬ no per consegnarci in cinque giomi completamente rinnova¬ to il Settore 1. Erano da tre anni alTopera: mentre ancora ci chie¬ devamo da dove cominciare, lo¬ ro avevano già iniziato a sgombe¬ rare, non prima che l'Fbi avesse ispezionato. Adesso non solo ri¬ costruiranno secondo il piano originale, ma con aggiunte di sicurezza. Sarà più bello di pri¬ ma, più forte. Ecco: vede là, quei colori chiari, verdolini, della Due? Al terzo piano era prevista la caffeteria. Avrebbe aperto a tre settimane dall'I 1 settembre. Fra meno di un anno, ci mangere¬ mo gh hot dog». Non solo Jack e Jim, ma anche tutti gli altri operai dell' Amec non hanno l'aria di fatica¬ re, ma di fare la guerra, non di compiere un lavoro edilizio, ma di sentirsi come Erode nella ricostruzione del tempio di Salo¬ mone: hanno magliette colorate, la coda di cavallo, corporatura massiccia, hanno tutti una certa età, sono operai senior, e di tutti i colori, sono una troupe da film, aprono lattine di coca cola e di ginger ale che offrono alla croni¬ sta dopo una bella sorsata e si forniscono di piatti caldi con frittate e salsicce a una cucina da campo sempre in funzione; parlano e scherzano sudando nella ferita spianata in fretta con bulldozer enormi, hanno una gru alta cinquanta metri che ha bisogno di quaranta ton¬ nellate di base in cemento per stare ritta, hanno portato via detriti da ricostruirci una città. Gh operai dell'Amec hanno una missione che è molto più di un lavoro: ricostruire la struttura esteriore e interiore che faceva sentire a ogni americano di esse¬ re difeso a casa sua. In divisa, un giovane soprav¬ vissuto, un tenente nero, Lance Giddens, porge in poche parole lo stupore americano che ha ancora, nonostante la guerra in corso, un'aria inerme: «Alle 7,15 sono arrivato ai solito da Dun- fries in Virginia: tè col muffin alla macchinetta distributrice, la posta elettronica, e poi al lavoro. Lavoro di reclutamento, agli ordini del vice capo di stato maggiore, Timothy Mande, il mio capo, che ha perso la vita. Quando due ore dopo intorno alla Nbc nell'open space con i miei colleghi basiti, increduli, ci appoggiavamo l'uno all'altro nel vedere la tragedia dei Twins, non ci è venuto affatto in mente di guardare fuori dalle finestre, nel nostro cielo. Eravamo dispe¬ rati e mobilitati, ma non poteva capitare anche a noi, al Pentago¬ no. Poi il colpo micidiale, inenar¬ rabile, da sotto in su. Io per terra a quattro zampe mentre volano le scrivanie, cadono muri, lam¬ padari, oggetti. Il tonfo, il boato e poi il silenzio. Ho pensato che ero morto finché il mio vicino Tony Ross mi ha detto: "Are you ok? Sei a posto?". Allora mi sono accorto che ero vivo, ho sentito jrima un grande silenzio, poi i amenti. Ho trascinato a uno a uno quattro feriti nel cortile centrale, attraversando il fumo e le fiamme: erano sanguinanti e bruciati, mentre cominciavano ad arrivare le ambulanze. Sono vivo mi dicevo, e poi: non ci credo, non è possibile, al Penta¬ gono». E invece è accaduto proprio qua, a un passo dal Potomac, a due dal Mail, daU'enorme obeli¬ sco Monumento a Washington, sulle ginocchia di Lincoln, a dieci minuti dalla Casa Bianca. Lance Giddens, ora dislocato in un edificio ad Alexandra, toma in questi giomi in un ufficio del Pentagono. Tutti gh uomini ci tornano sybito. Un'altra soprav¬ vissuta con la divisa e la treccia bionda, Debbie Rumsaur, si sen¬ te in colpa. Non sente odio. Vuole stare di più con i suoi figli. E al Pentagono? Desidera tornar¬ ci? «Spero che quando ci tornerò non avrà più quell'odore che non mi fa dormire la notte. Gente veramente amabile vi ha perso la vita - piange il soldato Debby -: idealmente, saranno tutti con noi alla finestra, come da pro¬ gramma, l'I 1 settembre 2002». il presidente Roosevelt disse di quella bizzarra costruzione progettata in pochi giorni: «Sapete, signori, mi piace la forma pentagonale perché non somiglia a nessun altro edificio» Esistono soltanto due giganteschi scavatori capaci di sgombrare così tante macerie in così poco tempo Uno è impegnato a Washington, l'altro a New York, nel buco delle Twin Towers «L'11 settembre 2002 voglio la gente affacciata alle finestre per la commemorazione: Li voglio che guardino da dove i terroristi hanno pensato di farci fuori tutti» il presidente George W. Bush durante una delle sue visite al Pentagono, simbolo della potenza militare americana