La rivoluzione di Scajola tra Scelba e il Cavaliere

La rivoluzione di Scajola tra Scelba e il Cavaliere SELEZIONE CON COLLOQUI SERRATISSIMI: COME PER CHI CE RCA LAVORO La rivoluzione di Scajola tra Scelba e il Cavaliere «)l,paragone,con il siciliano noami dispnee, ma.ly^r^ più m)®M* Gli Interni ridisegnati bocciando i «burocrati» a favore dei manager retroscena Mario Calabresi ROMA LA scommessa è ardita, mescolare la cultura manageriale berlusco- niana e il controllo democristiano dell'apparato, due modelli antitetici per eccellenza. Per farlo, Claudio Scajola è partito con un terremoto, dando vita al più vasto movimento di prefetti del dopoguerra. Settantasei spostamenti in un solo giorno. Ed è solo la prima puntata, dedicata a cambiare la geografia del potere del¬ l'Italia profonda, prossimo passo le grandi città, in calendario per l'inizio dell'anno nuovo. Potrebbe essere un colpo che para¬ lizza la macchina burocratica del Viminale o, come scommette Scajola, un nuovo inizio, una scossa che spazzi via incrostazioni burocratiche e vecchi riti. Una rivoluzione nel cuore dello Stato, fatta in silenzio, senza interviste, ma con due modelli ben presenti, il Cavaliere naturalmen¬ te, e Sceiba, il siciliano di ferro, l'autentico rifondatore del Viminale. «Certo - ammette Scajola - il parago¬ ne non mi dispiace, anche se credo che fosse più bravo di me». Dei maestri ha messo in pratica subito la prima delle lezioni: il rapporto perso¬ nale. Se Berlusconi voleva stnngere la mano ad ognuno dei suoi venditori e Sceiba controllare ogni prefetto. Scajola ogni giorno convoca una mez¬ za dozzina di funzionari e si stampa in testa vizi, virtù e crea un contatto diretto. Che le cose sarebbero cambiate drasticamente lo si poteva capire dalla domenica mattina in cui Berlu¬ sconi salì al Quirinale con la lista dei ministri. La scelta di Scajola significa¬ va la volontà di incidere pesantemen¬ te sulla macchina dello Stato. L'ex sindaco democristiano di Imperia è l'uomo a cui il Cavaliere, deluso dall'inconsistenza delmovimento de¬ gli eletti, aveva dato carta bianca per la costruzione di un partito vero, radicato sul territorio. Scajola glielo creò, non senza farsi un buon nume¬ ro di nemici, ma alla fine vinse la sua scommessa. Ora ci riprova. Vuole fare un nuovo ministero dell'Interno: «Oggi non può essere solo il ministero della polizia, ma deve diventare il ministe¬ ro delle garanzie e delle libertà civi¬ li», con uno slogan: «Ci vuole una nuova cultura dei fatti e non degli atti». La base di partenza era il progetto di riforma messo a punto dal suo predecessore Enzo Bianco, che ridisegna le strutture del Vimina¬ le, riducendo a quattro dipartimenti le nove direzioni esistenti. Ma la difficoltà stava nel trasformare un Viminale, animale a tre teste, un incrocio tra Stato, Sud e Democrazia cristiana in una macchina moderna, che recepisse anche la cultura nordi¬ sta e manageriale. La partenza di Scajola era stata assai tormentata, con gli scontri di Genova e la morte in piazza di Carlo Giuliani. «Quando sono andato a giurare al Quirinale ero preoccupato per quello che mi attendeva - confida -, poi il rodaggio è stato più difficile del previsto ed è anche per questo che ho accelerato la mia rivoluzione». L'ha fatto usando metodi di sele¬ zione aziendali, quelli che aveva spe¬ rimentato scegliendo la classe diri- lente di Forza Italia e i candidati per e elezioni. Prima gli uffici hanno aggiornato il fascicolo di ogni prefet¬ to, poi con il faldone aperto sulla scrivania sono iniziati i colloqui a quattr'occhi per la verifica delle atti¬ tudini Per dieci giorni Scuola è stato chiuso al Viminale. Mentre fuori imperversavano le esternazioni del suo sottosegretario Taonnina, il mini¬ stro iniziava i suoi incontri alle nove di mattina, per preparare la storica spallata. In un palazzo in cui si sono consumati riti burocratici consolida¬ ti, dove la lentezza, l'allusione e la sottigliezza erano virtù positive, non sono mancati momenti di sgomento e irritazioni. Prefetti di lungo corso messi sotto esame, costretti a. con¬ frontarsi con domande cui non erano abituati. «I prefetti - teorizza Scajola - devono, essere l'interfaccia delle autonomie locali, devono crescere, diventare dei managera. A sentire l'ultima parola molti si devono esse¬ re irrigiditi sulla sedia. Ma avevano capito bene: «Non voglio prefetti burocrati - ha scandito - ma collabo¬ ratori veri dei cittadini, dei sindaci, la - cerniera tra lo Stato e la società civile». Non tutti hanno soniso e non sono mancate le bocciature di chi - si racconta al Viminale - «non ha fatto buona impressione, non ha ispirato fiducia». Come in un colloquio di lavora Una cosa che farà anche storcere il naso. Alla fine una dozzina sono stati «collocati a riposo», altri sono stati richiamati a Roma, ma - e questa è ima vera novità - parecchi hanno fatto il percorso inverso: dal Viminale sono tornati in prima linea. Scajola giura di non aver subito pressioni dai suoi colieghi di governo e maggioranza per promozioni legate al colore politico: «Le scelte sono avvenute solo sulla base della profes¬ sionalità, dell'efficienza e sulle attitu- 'dini». Ieri in Consiglio dei ministri non è volata una mosca, la rivoluzio¬ ne è passata in un attimo. Solo Gianfranco Fini aveva visto la lista in anticipo, conosceva i dettagli del¬ l'operazione. La sua auto martedì si era fermata davanti al Viminale e così il leader di An è stato il primo ad accorgersi che non c'è più la cancella¬ ta alzata e che di fronte alla facciata sono state piazzate fioriere e piantati melograni. Attenzioni che farebbero felice Berlusconi, che sì illumina per questi particdlarì, basti ricordare quando al vertice del G8 dì Genova fece cucire i limoni sulle piante spo¬ glie dì fronte a Palazzo Ducale. Ma il Cavaliere verrà, lo aspettano per Natale, prima del nuovo anno, quan¬ do sì prevede un terremoto che farà ancora più rumore e investirà le grandi città e i vertici delle forze dell'ordine.

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