La nuova sfida del mullah OMAR

La nuova sfida del mullah OMAR UN MESSAGGERO DELLEADER NELLfULTIMO LEMBO DIPAESE IN MANO Al TALEBAN La nuova sfida del mullah OMAR reportage Giovanni Cerniti inviato a SPIN BOLDAK (provincia di KANDAHAR) E al secondo giorno arrivò il Verbo, il segretario parti- colare del mullah Omar. Vi¬ sto da vicino può far paura solo al suo capo della polizia, iVeomàridarite Hàqqaniche si inchina deferente. Ma questo Tayab Agha deve proprio es¬ sere uno che conta: viene da Kandahar con una scorta di sei gipponi, si presenta alla conferenza stampa con tre kalashnikov che fanno stra¬ da. «Siamo sicuri. Allah ci aiuterà», sarà il suo pezzo forte. Venticinque anni, ex studente di inglese all'univer¬ sità di Quetta, la barba nera e riccia che finisce a punta, la giaccat verde militare come quella di Osama bin Laden, è al suo debutto come portavo¬ ce del Principe dei Credenti. Il precedente, Muttaqi, cadu¬ ta Kabul, ha preso la famiglia e se n'è andato dall'Afghani¬ stan. Chiusi a chiave da due giorni in un cortile, cento giornalisti si aspettavano di meglio e di più. Accontentar¬ si. «Forse vi porteremo a Kandahar, la nostra cara Kan¬ dahar, la città dov'è nato il movimento dei taleban - dice Agha - Da Kandahar eravamo partiti sette anni fa per porta¬ re l'ordine e la legge islamica in tutto il paese, ora siamo costretti a difendere quello che abbiamo, ma quando Al¬ lah vorrà e sarà il momento torneremo a Kabul». Che ab¬ biano bombardato Kandahar anche questa notte il segreta¬ rio di mullah Omar non lo dice. «Controlliamo Kan¬ dahar e altre quattro provin¬ ce: Uruzgan, Helman, in par¬ te Ghazni e Zabal. Sentiamo voci su Kandahar pronta a cadere. E invece siamo pron¬ ti a combattere». E' seduto in mezzo al pra¬ to, il capo della polizia Haqqa- ni alla sua sinistra. Due can¬ ne di kalashnikov gli spunta¬ no dalle orécchie a sventola: sono dei due armigeri che gli coprono le spalle e lo proteg¬ gono dalle telecamere. La faccia da ragazzino di Tayab Agha non mostra nessuna emozione. Eppure questa è la prima conferenza stampa dei taleban, la prima dall' 11 set¬ tembre, dalle bombe, dalla caccia a Bin Laden, dalla fuga da Kabul. «Abbiamo la¬ sciato Kabul alle bombe, ora torneranno l'anarchia, i mor¬ ti, i feriti, le ruberie. E come sette anni fa il popolo musul¬ mano avrà bisognò di noi e della legge islamica». Dun¬ que, dice Agha, basterebbe resistere a Kandahar e aspet¬ tare. Torneremo a Kabul. Sembra quasi un deside¬ rio, una preghiera, quella del giovane segretario particola¬ re del mullah Omar («sta bene, l'ho visto qualche gior¬ no fa, restare a Kandahar per lui è un dovere religioso, quello che ci siamo detti è cosa segreta»). O magari una proposta. Lasciateci a Kan¬ dahar, la -nostra capitale. Prendetevi, se riuscite, Osa¬ ma bin Laden «che prima era nella zona che è stata occupa¬ ta dall'Alleanza del Nord e adesso non sappiamo dove sia». Un giorno è «ospite» dei taleban, un giorno ha lascia¬ to i taleban. «Nelle province che sono sotto il nostro con¬ trollo non ci sono elementi di "Al Qaida"». Nemmeno Bin Laden, assicura: «Non abbia- mo più contatti». Lasciateci soli e senza bombe a Kan¬ dahar: «E' un obbligo che viene da Dio garantire la sicurezza della nostra gen¬ te». I taleban del cortile lo ascoltano annusando i fiori viola di «rihan», una salvia selvatica. Se la domanda è di una giornalista abbassano gli occhi. Parla un buon inglese, il portavoce Agha, e la sua voce è quella del Principe dei Credenti, è la Verità rivelata ai taleban. «Nessuno cederà alle taglie». Nessun taleban venderà mai la testa del mul¬ lah Omar, e nemmeno quella' del suo gradito ospite, Bin Laden, «un bravo musulma¬ no che si è sacrificato per la nostra nazione, ha combattu¬ to contro i sovietici e allora anche gli americani lo soste¬ nevano». E dice cose giuste, fa capire Ajjha, quando ripete quel che Bm Laden ha detto delle Nazioni Unite: «Fanno quello che vogliono gli ameri¬ cani, é ci perseguitano». Andrebbe avanti per ore. davanti a tutte queste teleca¬ mere che non ha mai visto. La vietatissima e peccamino¬ sa tv il giovane segretario però la guarda. «Vi abbiamo invitato qui perché abbiamo visto che secondo le televisio¬ ni la nostra Kandahar sta per cadere. Non è vero. Ci difen¬ deremo con tutte le nostre forze e non passiamo il pote¬ re a nessuno». Nemmeno alle tribù pasthun che premono e vorrebbero il loro Stato, il Pasthunistan? Il mullah Omar, dice Agha, è un centra¬ lista: «Se noi faremo del no¬ stro meglio per difendere l'Af¬ ghanistan lo terremo unito». Non s'illudano i capi tribù che minacciano da Quetta: «I capi tribù della provincia di Kandahar sono tutti con il Principe dei Credenti». Kandahar, a cento chilome¬ tri da qui, sembra ancora troppo lontana. «Stiamo orga¬ nizzando il vostro viaggio, ma non dipende solo da noi». Le bombe. Il capo della poli¬ zia Haqqani spiega che .«i giornalisti sono nostri ospiti, e non vorremmo ritrovarli tra le vittime civili. Noi pos¬ siamo proteggerli dalla no¬ stra gente, non dagli aerei americani. Poi direbbero che sono stati i taleban, ad am¬ mazzarli. Come per i giornali¬ sti a Jalalabad...». Come, scu¬ si? «Siamo stati accusati noi, ed è ingiusto. Quella è una zona controllata dall'Allean¬ za del Nord, quando c'erava¬ mo noi non e mai successo niente. E' stato un atto crimi¬ nale, e state sicuri che se l'avesse commesso un tale¬ ban lo puniremmo a morte». Il portavoce Agha non tor¬ na subito nella sua adorata Kandahar. Sta scendendo il buio, e sulla strada che porta al mullah Omar riprender^n- no a piovere bombe. Quando se ne va i taleban aprono il cancello bianco di questa im¬ provvisata sede del ministe¬ ro degli Esteri. Non gira a sinistra per la strada che porta a Kandahar. Ma a de¬ stra, dove a cento metri di sabbia c'è una palazzina dal cancello verde. Dentro, arabi arrivati da Kandahar, forse feriti, forse la milizia di Bin Laden, che dovrebbe trovarsi non lontano da qui e dal suo mullah preferito. Una caser¬ ma di arabi è un obiettivo da colpire. Con cento giornalisti accanto è un'assicurazione sulla vita. Comincia un'altra notte, aspettando Kandahar. Al tra¬ monto i taleban hanno monta¬ to le tende e preparato il fuoco per gli spiedini di peco¬ ra. Ormai il cortile di Spin Boldak è un accampamento e il comandante della polizia Haqqani è sempre più soddi¬ sfatto. Il Ramadan lo vieta, ma ha smesso di guardar male chi si nasconde per fumare. E' severo solo con chi fa domande. Alla frontie¬ ra con il Pakistan passavano taleban disertori... «Non è vero, è gente comune, posso¬ no essere scambiati per tale¬ ban perché hanno la barba. Dicono d'aver combattuto? E allora saranno andati in licen¬ za, dopo un mese al fronte c'è sempre una settimana di ripo¬ so. Poi tonferanno». Anche loro, per andare a Kandahar. «Per il Principe dei Credenti restare a Kandahar è un dovere religioso Combatteremo fino in fondo. Ora a Kabul tornerà l'anarchia E come sètte anni fa il popolo avrà bisogno di noi. I giornalisti stranieri? Noi non li uccidiamo. Quando a Jalalabad eravamo al potere non è mai successo niente» ASpinBoidak conferenza stampa del nuovo portavoce Il precedente è fuggito quando è caduta la capitale. «Bin Laden? Non sappiamo dove sia Abbiamo perso i contatti. Nelle province che controlliamo non c'è più nessun membro di Al Qaeda» Il leader dei taleban, il mullah Omar in una delle due immagini esistenti Nella foto grande, un taleban respinge colpendolo con il lanciagranate un afghano che tenta di passare il confine con il Pakistan^ A sinistra il portavoce del mullah Omar Tayab Agha durante la conferenza stampa peri giornalisti occidentali a Spin Boldak