Nell'Afghanistan che non c'è più

Nell'Afghanistan che non c'è piùITAI^BÀNfENmN^Bl DIMOSTRARE CHE LA PROVINCIA E' ÀNCORA SALDAMENTE NELLE LORO MANI Nell'Afghanistan che non c'è più inviato a SPIN BOLDAK(provincia di Kandahar) Lf AFGHANISTAN del mullah i Omar è grande còme un campo da calcio, in mezzo a un prato verde, una piccola mo¬ schea bianca, il lavatoio di pietra e un signore tutto vestito di nero che si chiama Haqqani, il coman¬ dante Haqqani. «Giornalisti veni¬ te a vedere, vi portiamo noi, vi accorgerete che a Kandahar è tutto sotto il nostro controllo», aveva promesso il mullah Ha- mid, 1 ultimo console taleban rimasto a Quatta. E qui, nel grande cortile che era dell'Alto Commissariato per i Rifugiati comincia e sì ferma il viaggia Al posto dell'insegna bianca dèl¬ l'Onu, i turbanti neri hanno appe¬ so la loro: «Ministero degli Este¬ ri». E hanno rifugiato i giornali¬ sti nel prato. E' tutto sotto controllo, qui. «Siete i benvenuti», dice il co¬ mandante. Il cortile è protetto da un muro di mattoni alto tre metri. I ragazzini di Spin Boldak, il primo villaggio della provincia di kandahar, 20 km dal confine pakistano, si arrampicano, si ag¬ grappano;^, salgono ;;jga,l-cimà. Devono essere protìrio- strani, questi stranieri infedeh. Lo spet¬ tacolo dura poco. Il comandante manda due taleban che avranno 15 anni. «Mandateli -ria!». A bastonate/Cinque minuti e tor¬ nano. Ancora bastonate. Finisce con ì due taleban che prendono i kalashnikov e si mettono a cam¬ minare avanti e indietro sul muro, sembrano i secondini di una prigione. «Il viaggio è andato bene?». H comandante s'informa per dove¬ re. Potrebbe rispondere Alisa Rubin del «Los Angeles Times», ma non lo farà. Appena entrati nel loro Afghanistan, fuoristra¬ da e giornalisti sono stati convo¬ cati in quella che dovrebbe esse¬ re la sede della polizia e invece è un altro cortile. Fuori, sulla stra¬ da che arriva dal confine, in mezzo alla bancarelle dei dolci e della frutta secca, ima folla di barbe che aspettano. Sul taxi giallo targato Quatta c'è Alisa Rubin con il velo a coprire la testa bionda. Mentre il taxi en¬ tra una sassata rompe il vetro. Che botta. «Non è niente», dovrà dire lei. E'andato bene il viag¬ gio? Sotto i pini, le due del pomerig¬ gio, i taleban sistemano le stuo¬ ie. E' l'ora della preghiera. Si inginocchiano, si piegano in avanti e quando rialzano la testa hanno davanti la tenda della Cnn. «Resterete qui, siete tutti nostri ospiti», annuncia il coman¬ dante Haqqani. In cento. Il can¬ cèllo bianco si chiude, «ma non preoccupatevi, stiamo aspettan¬ do un alto esponente del governo per una conferenza stampa». E quando arriverà? «Arriverò, oggi o forse domani arriverà». Di vedere l'Afghanistan fehce di essere governato dal mullah Omar, orgoglioso di ospitare Osa¬ ma bin Laden, nemmeno se ne parla. Nel cortile di Spin Boldak si vive nell'Afghanistan che non c'è più. Per il comandante e i suoi taleban non è successo nien¬ te, l'avanzata dell'Alleanza del Nord è uno scherzo, la cacciata da Kabul una fesseria. Il coman¬ dante prende il fiato e recita così: «n Profeta dice che la guer¬ ra è una cosa ingannevole, a volte avanzi e a volte arretri. Ma se noi ci siamo ritirati è per tornare alla conquista». Ispirato. Convìnto. Senza un dubbio. «Non date retta a chi dice che stiamo trattando la resa di Kan¬ dahar. Sono solo cose che dicono a Washington. Non ci sono nego¬ ziati e non ci arrenderemo mai». Il comandante Haqqani ha un gilet mairone spigato e il telefo- Ho satfelhtàre rche pende dalla tunica bianca. Il cancello resta chiuso, ma per lui poco conta. «Qui è tutto tranquillo da sette anni e continuerà ad essere co¬ sì». Ahmad, l'interprete afghano arrivato da Quatta, vorrebbe an¬ dare da un cugino per recupera¬ re un paio dì coperte, sul prato la notte sarà fredda. «Aspetta, pri¬ ma devo trovare due che ti facciano da scorta». Una strana tranquillità, a Spin Boldak. Il comandante forse non ha capito la domanda: «Controlliamo tutto noi, da qui a Kandahar non abbiamo nessun problema» Le case di Spin Boldak o sono di fango o sono container sgan¬ gherati. Uh villaggio di profughi, cinque campi, almeno 6000 pove¬ racci. Nessun problema, per il comandante. Dall'altra sera nei campi c'è anche il camionista Abdullah che è rimasto solo con il suo camicione grìgio. Con altri otto trasportava petrolio dì con¬ trabbando dall'Iran. Sì erano fer¬ mati a dormire. «Siamo stati svegliati da imo strano cairp armato americano. Uno che par¬ lava in persiano ci ha fatto allon- tànare/è-arrivato uirtìlicottero e hanno bombardato il nostro cari¬ co». Abdullah ha l'aria incredu¬ la: «Ma perché? Era il mio lavo¬ ro..:». Cinque taleban ascoltano e partecipano al suo stupoxe. «Per¬ ché?». Al comandante Haqqani si domanda come mai il consola¬ to di Quatta ha deciso di rilascia¬ re i visti dì ingresso nell'Afghani¬ stan dei taleban, se è vero che il mullah Omar non abbia gradito, come ha riferito un portavoce. «Assolutamente no. Quello che il Principe dei Credenti dice noi facciamo.-1 visti erano stati so¬ spesi perché pensavamo che la nostra gente fosse arrabbiata per i bombardamenti anche con i giornalisti. Ora, invece, vogha¬ mo che tutti possano vedere e verificare. La provìncia è sotto il nostro controllo». Ma l'Afghani¬ stan no. Nel cortile della polizia non avevano dato nemmeno que¬ st'impressione. «Andare a Kandahar? All' usci¬ ta dì Spin Boldak c'è un posto di blocco sulla strada che porta a Kandahar. Chi vuole può andare. ma lo fa a proprio rischio e pericolo. E comunque ì passapor¬ ti h teniamo noi». Come dire che sarà impossibile verificare se è vero, se ha ragione il comandan¬ te Haqqani, se i taleban control¬ lano ancora la provincia di Kan¬ dahar oppure si stanno chiuden¬ do in città. Il comandante non risponde, si. ripete: «E' tutto tranquillo, vedrete che questa visita in Afghanistan vi farà passare ogni incertezza». A Chaman, al confine pakista¬ no, era cominciata tra bastona¬ te, sassi e sputi. I «Pisbin Scou- ts», le guardie di frontiera del generale Musharraf, dovrebbero garantire che nessuno passa, nes¬ suno entra dall'Afghanistan dei taleban. Entra, esce e passa dì tutto. Le guardie sono appena dieci, e chi le comanda ha sul maglione nero la targhetta con il nome, «Arafat Yasser». il suo bastone è il più grosso. Attorno ì ragazzini afghani, ì figli dei pro¬ fughi, hanno le unghie dipìnte dì rosso e stanno accanto alle car¬ riole arrugginite. Sopra c'è una coperta, sotto c'è qualcosa da contrabbandare, da far arrivare ai taleban. Sì avvicinano con un sorriso. In inglese domandano al camera¬ man deh'americana Cbs che sta in coda sul fuoristrada rosso «come ti chiami?». Appena il finestrino s'abbassa partono gli sputi. Venti auto, cento giornali¬ sti, stessa storia. Ma i ragazzini lavorano. Quando un camion carico dì sacchi e misteri sta per passare il confine, eccoli improv¬ visare la sassaiola contro le guar¬ die dì frontiera. E' un attimo. I «Pishin» ne inseguono un grup¬ petto, un altro parte con le carriole e se ne va in Afghani¬ stan, a 50 metri. Così per ogni camion che arriva. E così entra dì tutto. Muhammad Ismail è un vec¬ chio dalla barba bianca che cam¬ mina con una lunga lampada al neon appoggiata sulla spalla. DaU'Afghanistan dei taleban do¬ vrebbero andarsene solo i profu¬ ghi, i malati, i disperati. Ismail non lo è, e non è nemmeno vecchio: «Sono un businessman, ho 38 anni». Racconta che viene da Kandahar, «dove tutto e tran¬ quillo e i taleban controllano la situazione. Gente che lì vuol mandare vìa? Non credo. Siamo tranquilli, anche se ieri hanno bombardato la zona della pisci¬ na. Andate, andate pure a Kan¬ dahar». Lui se ne va in Pakistan. «Per il mio lavoro, import- export». Contrabbando. L'Afghanistan dei taleban, la¬ sciate le carriole, sono ì pick up con targa azzurra della milìzia, gli asini e i carretti, le bancareUe che vendonocerchioni e pistoni, le file di bidoni di benzina e gasolio, e nessuna donna in stra¬ da. Sulla destra il «Nuovo campo per le vittime e ì rifugiati della guerra americana». Sulla sini¬ stra il deposito di zucchero, fari¬ na, coperte, vestiti, «aiuti umani¬ tari». Tutto offerto da «Al Rashid Trust», l'organizzazione pakista¬ na messa al bando dopo l'il settembre per ì suoi rapporti con Al Qaeda. I pick up sono dapper¬ tutto, veloci, carichi dì taleban armati di kalashnikov, il turban¬ te nero che nasconde la faccia. L'ordine regna, a Spin Bol¬ dak. E' l'ora del tramonto, è finita la giornata del digiuno e del Ramadan, e il comandante Haqqani vuole offrire il pane caldo, le banane, le polpette di montone e patate, Ù tè caldo zuccherato con le caramelle. E' stata una bella giornata, per luì. Ha dimostrato che nell'Afghani¬ stan dei taleban l'unico proble¬ ma è che manca la luce. A Kandahar non sì sa. Appena fuori Spin Boldak nemmeno. For¬ se lo sa Abdhul Hadi, 20 anni, i baffetti neri, due soli denti. Sta¬ notte ha dormito finalmente in Pakistan, senza bombe: «Ho di¬ sertato. Basta, non ne posso più e non tomo più. I taleban hanno già perso tutto, ma non se ne voghono accorgere...». Chiedràmo di proseguire per la città assediata Il comandante Haqqani risponde "Qui vicino c'è un posto di blocco Chi vuole può andare, ma lo fa a proprio rischio e pericolo - Comunque i passaporti li teniamo noi qui" i i rr» rtrthf!fr"rf*«8**»iw*rfi"^ Un taleban pattuglia il confine di Chaman. A sinistra, un afghano lancia sassi contro le guardie di frontiera