MARIA GRAZIA Colpi di pietra e raffiche di mitra di Mimmo Candito

MARIA GRAZIA Colpi di pietra e raffiche di mitra ! DIÀRIO DI UNA GIORNÀTATRAOICA IN AFGHANISTAN MARIA GRAZIA Colpi di pietra e raffiche di mitra reportage Mimmo Candito inviato a KABUL PRIMA i colpi dì pietra, quasi una lapidazione, poi la sventa¬ gliata dì mitra che lì falcia e li ammazza. La storia dì una morte non recupera mai quella verità, riservata, nascosta, intima, che la ricostruzione dei fatti perde sem¬ pre nella opacità dì una cronaca quasi senza testimoni. Perché sono stati uccisi? E perché le pietre? E poi, perché loro? Quei quattro cada¬ veri portati ieri nell'ospedale dì Jalalabad raccontavano la fine dì quattro reporter, assassinati l'altro ieri sulla strada di Kabul, ma non davano risposte alle domande nate dalla vista dei loro corpi, le ferite, il sangue, la familiarità stranita dei loro volti. Era partito da Jalalabad dì pri¬ mo mattino, il convoglio dì auto dei giornalisti. C'era dì tutto, italiani, inglesi, giapponesi, greci, spagnoli, austrahani, lina ventina di auto. Anche giornalisti americani del «Washington Post», del «Los Ange¬ les Times», del «Baltimore Sun» e di altre testate. Alla partenza, aveva¬ no chiamato con il telefono satelli¬ tare i loro coUeghi che già erano andati a Kabul, volevano informa¬ zióni, rassicnrazionrrLa strada che da Jalalabad porta fin qui è un percorso infernale. Centocinquan¬ ta oHilòmetri'di pietraia assolala e pòi dì gole a strapiombo, per un viaggio che dura più dì sei ore, quando va bene. In realtà, ìévofor- mazionì, le rassìcurazionL eranp solo un affettuoso legame qne ami¬ ci dì sempre si facevano da una parte e dall'altra di quella dannata terra di nessuno: tutti - loro laggiù, ma anche noi qui a Kabul - sapeva¬ mo bene che nessuno poteva garan¬ tire niente. Però chiusa l'antenna, fatto un segnale di tranquillità a tutti, le auto partono. Su un percorso accidentato, sca¬ broso, avallato dì fosse e buche continue, il convoglio fatica presto a stare unito, e comincia a sfilac¬ ciarsi. Poco alla volta le auto perdo¬ no contatto, la distanza tra dì loro s'allunga, la sicurezza svanisce e nessuno se ne rende conto. Sotto il sòie feroce dell'altopiano, in un deserto di pietre dove l'unica vita che si incontra è quella delle pecore che vagano custodite da cani maci¬ lenti, tensione e" preoccupazione si sono allentate; dimenticando il ti¬ more (forse anche la paura), qualcu¬ no dormicchia, qualcuno si distrae nel paesaggio. Q convoglio passa il confine tra la provincia di Laghman (nominal¬ mente controllata da una coalizio¬ ne dì comandanti locali) e quella dì Kabul, controllata dalla capitale dall'Alleanza del Nord. I sei uomini appaiono all'improvviso da dietro una curva stretta, subito dopo un ponte chiamato Pul-i-Estikam, quando già sono passate tre ore di viaggio e il panorama è adesso di gole serrate, strapiombi improvvi¬ si, tornanti che girano dietro la montagna come in certe tappe dan¬ nate del Tour. I sei sono armati, hanno il turbante, la «chemìse» che si usa da queste parti, una lunga barba nera. «Alt», alzano la mano impugnando i Kalashnikov. L'autista della prima autc ha un attimo d'incertezza, poi pigia sul!' acceleratore e prega Allah onnipo¬ tente e misericordioso. I sei non se l'aspettavano; in quel punto la strada ha qualche metro d'asfalto, l'auto può prendere subito veloci¬ tà, passa via. Non spara nessuno, ma ora i sei hanno il mitra ben puntato contro la seconda auto del convogho: è un taxi, una «Corolla» ancora in buone condizioni, e die¬ tro di lei c'è subito la terza vettura. Sono rimaste a contatto, si ferma¬ no entrambe: non hanno scelta. Sulla seconda auto ci sono Ma¬ ria Grazia Cutuli, l'inviata del «Cor¬ riere della Sera», e l'inviato spagno¬ lo de «El Mundo», Julio Fuentes, con l'interprete, Muhammad Faro- oq, e l'autista Turyali. Nella terza auto il cameraman australiano Har¬ ry Burton, e Aziz Haidari, il fotogra¬ fo afghano, della Reuters, l'inter¬ prete Houmayun e l'autista Ashi- qullah, tutti e due afghani. La strada è vuota, le altre auto sono lontane, perdute. «Scendete - dice in pashtun uno dei sei, che s'avvicina all'autista della seconda auto - dovete fermarvi qui perché più avanti c'è pericolo. Ci sono banditi, ci sono dei combattimenti, non potete continuare». L'autista è diffidente e ha paura: lui e l'inter¬ prete sono stati scelti perché parla¬ no pashtun, come misura dì sicu¬ rezza in quanto l'area dovrebbe essere sotto controllo dì questa etnia. Maria Grazia Cutuli e Julio Fuentes si sveghano dì soprassalto. sorpresi. L'autista cerca dì discute¬ re, prende tempo. E vede arrivare, dì fronte, un autobus che viene giù daSarouhi. L'autobus rallenta, sì ferma, il crocchio dì gente è in mezzo alla strada. «Com'è più avanti?», chiede l'autista del taxi che è sceso per discutere con ì sei. «Tutto ok. Stra¬ da libera», gli risponde quello del¬ l'autobus, che riparte subito, men¬ tre quelli con il Kalashnikov gli fanno segno di passare. Nella terza auto, ferma a ridosso di questa di Maria Grazia e Julio, osservano la scena un cameramen australiano, Harry Burton, e il suo interprete, un afghano Azizullah Haidani. I sei uommi circondano le due auto, scrutano i passeggeri. «Scendete. Fuori». Uno vede che nella prima auto, nel sedile poste¬ riore, c'è una donna. «Fuori»; grida. «Tu, fuori». Scendono tutti, Julio è vicino a Maria Grazia. L'attenzione dei sei è sui passeggeri. I I giornalisti intanto cercano di protestare, chiedono spiegazioni. «Credevate che i, taleban fossero finiti? Invéce siamo ancora qui», dice uno dei sei. Poi un'altro chiede all'autista dì recitare il primo pre¬ cetto dell'Islam, per dimostrare di essere musulmano. «Allah è l'unico Dio e Maometto è il suo profeta». Nel frattempo ì sei dicono ai giornalisti che dovranno seguirli su una vicina collina, loro fanno ri¬ spondere che non lì seguiranno. E a questo punto gli aggressori li spin¬ gono con forza con le canne dei mitra, li prendono a sassate. La prima a essere colpita è Maria Grazia Cutuli, forse perché donna, forse perché non ha il velo. I due autisti e gli interpreti lentamente risalgono sull'auto per tornare in¬ dietro. Sentono i colpi e «tre o quattro» raffiche (una colpisce Ma¬ ria Grazia alla schiena) e vedono i corpi cadere. Da lontano sta finalmente arri¬ vando al quarta auto, un pulmino della televione catalana, Tv3. Eduardo Sanjuan, il producer, che siede accanto all'autista, vede la scena, resta agghiacciato. Ordina lo stop. Da laggiù, molto al di sotto delle autob occate, osserva ora che i sei stanno spintonando via i gior- nalisti, nel piccolo slargo sulla de¬ stra. E che uno dei sei si china a terra, prende delle pietre e le lancia contro Maria Grazia che cerca di proteggersi, c'è uno scarto brusco del gruppo. Anche un altro, forse due, tirano pietre contro Maria Grazia senza tregua. Eduardo ha ordinato intanto all'autista di fare inversione, resta piegato sul cruscotto: e mentre la sua visuale si riduce e cambia, ha il tempo di sentire la scarica dei kalashnikov. Non si gira più a guardare, l'auto corre verso Jalala¬ bad. Quelli lassù sono morti. Un giornalista messicano, un giovanotto d'origùw.itó^mft gu¬ stavo Sburlatti, di Radio Momtor, che non faceva parte del convogho e passa da quella gola alcune ore più tardi, viene fermato anche lui. Ma tirando fuori il registratore, e mettendolo sotto il naso dei quat¬ tro (questa volta sono quattro) uo¬ mini armati come se li volesse intervistare riesce a confonderli e scappa via, in avanti. «Non ho visto i corpi, ho solo saputo qualche chilometro più avanti, in un risto¬ rantino, che avevano sparato ad un gruppo di giornalisti». I corpi saran¬ no scoperti soltanto ieri, dall'auti¬ sta dì un autobus, che guida in una posizione elevata e può scorgere, la in basso a terra, 0 sangue e la strage. Il recupero lo fanno i mujahed- din dì Haji Kadir, il governatore militare di Jalalabad. «Sono stati i banditi - spiega - li cattureremo». Un comandante taleban che stava nascosto in quella zona e si è arreso, Sami Urza, racconta invece che: «Sono certamente gli "arabi" sbandati. Sono feroci, disperati». I corpi arrivano a Peshawar in quattro pale di legno povero. I nomi sono scritti su fogli di carta e sui coperchi, con la matita. I sei uomini appaiono d'improwiso Forse sono arabi di Al Qaeda o taleban o banditi Due auto sono nella mira dei kalashnikov Le altre sono lontane, perdute. «Tu, fuori», grida una voce. E' la fine IWÉSSSSBBSi La località dove è avvenuta l'imboscata, fra Jalalabad e Kabul. Qui sotto. Maria Grazia Cutuli In una foto scattata pochi giomi fa

Luoghi citati: Afghanistan, Kabul, Stra