Quella volta che Wayne mi uccise

Quella volta che Wayne mi uccise Quella volta che Wayne mi uccise ALLA fine dell'ultimo giomo di riprese di «Bullfighter» a Queretaro, John Wayne diede un party gigantesco (...). Duke e Chata Wayne sedevano sulla loro veranda, come per supervisionare il party in piena animazione al centro del cortile. Wayne fu il primo a notare che la nostra protagonista, l'amabile e colta Joy Page, non era presente. «Dove diavolo è Joy?», ringhiò. Joy sentiva il bisogno di quel mucchio selvaggio di ubriachi quanto quello di farsi incornare da un toro, e aveva avuto il buon senso (e il buon gusto) di rimanere in camera. Nella sua suite c'era la luce accesa, così Ruben Fadilla, mio amico da lunga data che nel film interpretava il ruolo del diretto¬ re di Plaza Mexico, non fece altro che tirar fuori la pistola e sparare alla finestra del bagno di Joy. Buffo, non ricordo nemmeno di averla vista arrivare al nostro party. AU'improwiso, semplicemente, si trovava hi Fui io personalmente il destinatario del secondo raggito di Duke. «Ehi, Bood, vieni un po' qui. Vogho farti le congratulazioni». Roba da aver paura. Ogni volta che Duke mi abbracciava, la sua barba ispida mi portava via mezza faccia (...). Fortunatamente non mi strinse fra le braccia. Mi passò invece una bottiglia di tequila già mezza vuota, e dai suoi occhi non feci fatica a capire chi si fosse scolato il resto. «Ecco», disse, «faccia¬ mo un brindisi al successo del tuo fottuto film». Pensai di dover buttare giù una sorsata o due dalla bottiglia per poi ripassar- ghela. Ma diavolo, noi Fece spuntare un altro litro di tequila da un lato della sedia, e la soUevò in modo che potessimo brindare alla maniera messicana,. continuando a tracannare finché l'altro non cede per primo (...). Quindi incrociammo le braccia e comin¬ ciammo a bere, attenti a qualunque segno di cedimento negh occhi dell'altro. Andammo avanti, e avanti, finché la mia bottiglia non fu vuota. Duke tirò giù ancora tre sorsi, tanto per essere certo di aver vinto. Poi si avvicinò alla balaustra della veranda e cadde sui cespugli di rose. Trascinandomi con tutta la dignità che lo stomaco in fiamme mi consentiva, tomai alla festa, mi sdraiai sulle mattoneUe di cotto rosso, incrociai le braccia sul petto e mi misi felicemente a dormire. «E' morto sul serio», sentii dire al dottore. «Non c'è battito». Ma nessuno piangeva. La cosa mi faceva arrabbiare, me h sentivo tutti intorno, ma nessuno versava una lacrima. Quello sì che era un modo assurdo per morire. Poi qualcuno mi sbottonò la camicia: ricordo di aver avvertito lo steto¬ scopio, perché era ima sensazione molto fredda. Questa volta la voce del dottore fu ancora più limpida. «Quest'uomo è morto, signore e signori, cosa proponete di fare del cadavere?». Non riuscivo a far funzionare niente altro, ma il cervello lavorava ancora a pieno ntmo. Mi resi conto di essere in guai seri, e che questa volta John Wayne non sarebbe corso in mio aiuto. Era ancora fra i cespugli di rose. Mentre i miei amici, a onor del vjBro poco addolorati, spostavano il mio cadavere dal luogo in cui si stava facendo baldoria, cercai eh raccogliere un ultimo fiotto d'ener¬ gia. Emisi un gemito. Solo quando fummo tornati tutti a Hollywood scoprii che il mio amico Ruben aveva riempito lo stetoscopio del dottore di malta. Budd Boetticher Estratto da «When, In Disgrace» Il regista Budd Boetticher, un maestro del western

Persone citate: Budd Boetticher, Buffo, John Wayne, Joy Page, Ruben Fadilla

Luoghi citati: Hollywood