La strage dei giornalisti dì guerra

La strage dei giornalisti dì guerra QUANDO SI RISCHIA LA VITA PER RACCONTARE UNA NOTIZIA La strage dei giornalisti dì guerra Dagli agguati di Mogadiscio alla tragica imboscata di Mostar i precedenti Vincenzo Tessàndori RACCONTARE le guerre, il ter¬ rorismo, la criminalità orga¬ nizzata che è assai di più che la «cronaca nera», per certuni, di una razza molto particolare, signi¬ fica prima di tutto «andare a' vedere». Poi scrivere. È risaputo come la verità non abbia una faccia soltanto, l'importante è fa¬ re il possibile per osservarle tutte, quelle facce, fidandosi di ciò che si vede e non di quello che ti raccon¬ tano. E questo, naturalmente, è rischioso e ha un prezzo talvolta troppo alto. Nessuno pensa di dover morire per una notizia, ma c'è chi mette la cosa nel conto, come una fatalità sempre possibi¬ le. Anzi, purtroppo, probabile. Sembrò un fatto straordinario, nei remoti Anni Trenta, che gior¬ nalisti italiani fossero in Estremo Oriente per cercar di capire una guerra in apparenza distante co¬ me una galassia. Il fatto è che nessuna guerra è così lontana. E quella fra Giappone e Cina, alla resa dei conti, avrebbe coinvolto il resto del mondo. Per «La Stam¬ pa» a seguire quei fatti c'era San¬ dro Sandri. Con Luigi Barzini ju¬ nior e il console italiano Ross era imbarcato sulla cannoniera ameri¬ cana «Panay», antistante Hoh- sein, nella provincia di Anhwei. La nave fu attaccata, bombardata e mitragliata. Erano le 13,30 del 13 dicembre 1937, giomo della presa di Nanchino da parte dei giapponesi. Colpito al collo da un proiettile di mitragliatrice e all'ad¬ dome da una scheggia, Sandri morì alle 9 della mattina successi¬ va. Poi, la Seconda guerra mondia¬ le, eppoi un lungo, interminabile «dopoguerra» con tanti conflitti e infiniti tentativi per mantener la pace. Come in Libano e come in Somalia, dove vennero impiegati anc^e i nostri soldati. Davanti all'ambasciata italiana a Mogadi¬ scio, il 20 marzo 1994, mentre ancora era in corso quell'operazio¬ ne intemazionale di pace che si sarebbe conclusa in un fiasco, vennero assassinati Ilaria Alpi, del «TG3», e l'operatore Miran Hrovatin. Avevo lavorato con lei, pochi mesi avanti, lì in Somalia. Non era una che si accontentasse del sentito dire: voleva vedere, entrare nei fatti, soppesarli, capir- li. Perché soltanto così poteva raccontare. Mi aveva colpito il suo modo di «affrontare la noti¬ zia», ài tempo stesso deciso e prudente. Ma quel giomo maledet¬ to le avevano teso un agguato e ancora oggi non siamo certi del perché. Inutile ripetere che il mondo brucia. Dicono che Mostar sia un luogo che non verrà dimenticato, perché, come a Sarajevo, è lì che la guerra nell'ex Jugoslavia ha mo¬ strato il volto più feroce. E a Mostar morirono in tre, il 28 gennaio 1994, un'intera troupe della Rai: Marco Lucchetta, Ales¬ sandro Ota e Dario D'Angelo. Tut¬ ti con «campagne» alle spalle, con esperienza: la Slovenia, prima, eppoi Sarajevo. Ma l'esperienza non conta quando ti arriva addos¬ so una bomba, non conta se sai di «voler fare» il servizio. Raccontò Leon Davico, volontario dell'Alto commissariato per i profughi del¬ l'Gnu : «Ho incontrato i tre giorna¬ listi, italiani due ore prima che fossero ucdsi, ho cercato di dis- suaderli di andare nella parte orientale della città. Mi sono sem¬ brati sereni». Perché andarci, in quel quartiere a rischio? Per vede¬ re e capire, eppoi, raccontare. Perché non è navigando in Inter¬ net, non è copiando notizie raccol¬ te chissà dove e chissà da chi, che saprai la verità. Per vedere, dunque. Nell'infer- no di Mogadiscio, sulla strada dell'aeroporto, che era fra le meno sicure, da guerriglieri che si con¬ tendevano il mercato delle bana¬ ne, verme ammazzato a colpi di mitraglia Marcello Palmisano, operatore del «TG2». Al suo fian¬ co, Carmen Lasorella rischiò la stessa fine. Erano appena scocca¬ te le 15 del 9 febbraio '95.1 due erano sbarcati da un aereo sette ore avanti e avevano organizzato il primo servizio. Ricordiamo, poi, Antonio Russo, inviato di Radio Radicale trovato morto nell'otto¬ bre 2000 vicino a Tbilisi, in Geor¬ gia, dove da tempo seguiva le vicende della Cecenia. E, naturalmente, ci sono le guerre non dichiarate. Come quel¬ la aperta dal terrorismo fra gli Anni Settanta e Ottanta. Carlo Casalegno, vicedirettore de «La Stampa», il 16 novembre 1977, fu colpito a morte «per le sue idee»,- si seppe poi dagli assassini. Un grap¬ po dì sciagurati il 28 maggio '80 scelse come bersaglio Walter To¬ bagi, del «Corriere della Sera». Nel 37 l'inviato della «Stampa» Sandro Sandri fu ucciso durante il conflitto Cina-Giappone Da sinistra, Ilaria Alpi, uccisa . in Somalia nel marzo del 1994 con l'operatore Miran Hrovatin, e Marco Lucchetta della Rai morto a Mostar in Bosnia nel gennaio dello stesso anno con Alessandro Ota e Dario D'Angelo