Kiarostamia la mia AFRICA

Kiarostamia la mia AFRICA UN CONTINENTE STRAZIATO NEL DOCUMENTARIO DEL GRANDE REGISTA IRANIANO /;;.-.V.-...;-;-- -^ - : •r ..■■:r- -]',.::.::---.■. ■-■V:.-;-:: ::.-.,--:.:':- ■:: ,:. ■. . - .y^-.- : ■.:i--: -.■■.-•: :.-: l::/:;,:: ' y- , ■■- . ^ y,--' : , :... ^ ■V -^ ■■■^ :^.-.-- '^ - : .. . -: y ..- .y'[y. ,[ -. - -. - .^ : . ;.-. . ■-•:'-" :-- •;; .;;- :; ^ 'V f-^'V;: ' ''■'' '--''' V - ^ ■■■ ^ Kiarostamia la mia AFRICA intervista TORINO 9 se.Tl UANDO guardo i telegiornali in occidente penso che il mio pae- 'Iran, stia cambiando, poi tomo a Teheran e mi accorgo, stupefatto, che nulla è cambiato». «Khatami? Fatemi la domanda tra venti anni e saprò dirvi il suo ruolo nello scenario intemazionale». «I filmati della Cnri riprendono solo un particolare della realtà e fanno credere che è la condi¬ zione generale. Come se giudicassi¬ mo la salute di una persona attraver¬ so un organo malato. E cosi si finisce per non capire». Abbas Kiarostami sfuma, distingue, si sforza di riflette¬ re in un tumulto dove schierarsi è semplificare è l'unico modo per evita¬ re l'accusa di tradimento. E' la stessa dolorosa pazienta con cui, per dieci giorni, la sua telecamera ha vagato attraverso gli uomini e le cose a Rampala, città simbolo di un conti¬ nente straziato dalla povertà, dall'Ai¬ ds, dalla guerra. La materia incande¬ scente del suo «Abc Africa», il lungo¬ metraggio presentato al Torino Festi¬ val, -ehi salverà;l'AfflìSa?Foi(ré le' donne? Quelle che nel film orga- nizzano la società civile, lottano a mani nude contro la rassegna¬ zione e la povertà? «Nel mio paese le donne hanno una grande capacità di oi^anizzare e diri¬ gere. In tutto il Medio Oriente si accollano il peso della vita quotidia¬ na. Sì, se le donne africane assomiglia¬ no alle nostre, allora è possibile che realizzino guesta speranza». ' Pesai sull'Africa tìha insòppSftà^ bile retorica del dolore che or¬ mai gh stessi africani rifiutano perchè trasforma la disperazio¬ ne in un fenomeno solenne e naturale. Il suo racconto segue altre strade. «Non c'è un progetto ideologico, non c'è una "linea" nel mio film. Quando sono arrivato in Uganda le mie infor¬ mazioni sull'Africa erano poche. Que¬ sti sono appunti privati, e nessuno da uh taglio ideologico agli appunti. For¬ se per questo la mia immagine risulta diversa. Il dolore, i bimbi abbandona¬ ti, la povertà, l'Aids sono realtà. Ma non è l'unica realtà. Se pensiamo che questo popolo è condannato a morte siamo in errore». Eppure proprio l'Uganda è stata una grande delusione. Doveva diventare il modello di un conti¬ nente senza corruzione e dispo¬ tismo, ordinato e moderno. Si sta dissanguando in una guerra feroce per l'egemonia e le minie¬ re... «Nel documentario, in molti particola¬ ri^ evidente che una speranza è stata in parte tradita. Ma si vede anche una straordinaria forza, una energia inte¬ riore nelle persone. Sono poveri ester¬ namente, ma incredibilmente ricchi dentro di se. Per esempio: non accetta: no là carità intemazionale. C'è orgo-"' glio, senso della legalità. In Iran, venti anni dopo la rivoluzione, invece abbiamo ancora problemi a produrre leggi eque». Eppure anche in Iran si avverte una robusta aria di cambiamen¬ to. «E' l'occidente che ha deciso che dobbiamo mutare immagine. E così, stando all'estero, hai l'impresione che il mio paese stia cambiando pelle. Poi tomo in patria e trovo tutto uguale a come quando ero partito. Ma come è passibile questo rinnova¬ mento se le condizioni economiche sono rimaste le stesse? Ma è anche una parte dell'Iran che vuole che l'immagine del Paese cambi. «Se questa parte e' è, deve avere radici antiche, deve sempre essere esistita. Cosà contano quattro anni nella stò¬ ria di un popolo? Non riesco a capire che cosa abbiamo fatto per diventare improvvisamente da cattivi bambini buoni. Questo mi spaventa: perchè altrettanto repentinamente potrebbe¬ ro decidere che siamo di nuovo catti¬ vi. Lo stesso discorso vale per l'Afgha¬ nistan: ora gli americani lo presenta¬ no in un certo modo. Tra poche settimane arriveranno le immagini di un paese ordinato e felice. Ma allora perchè lo hanno bombardato?». Come giudica il presidente Kha¬ tami che si accredita come il capo dei riformatori iraniani? «E' come per una opera d'arte o un film: bisogna aspettare venti anni per giudicare. Vivo in Iran da sessanta anni, ho vissuto tre rivoluzioni e solo ora ho cominciato a capire quanto è successo venti armi fa. Mi rifiuto di pronunciare sentenze: è una respon- sabilità troppo grande». «Il dolóre, la povertà, l'Aids # «L'Afghanistan? Ora i bimbi abbandonati sono gli americani lo presentano realtà. Ma non l'unica , In un certo modo Se pensiamo che questo Tra poco arriveranno popolo sia condannato le immagini di un paese a morte siamo in errore» ordinato e felice» Una scena del documentario di Abbas Kiarostami «ABC Africa»

Persone citate: Abbas Kiarostami, Cosà, Del Grande, Festi, Khatami