«L'impresa Italia deve fare il salto tecnologico»

«L'impresa Italia deve fare il salto tecnologico» «L'impresa Italia deve fare il salto tecnologico» Elio Catania: Ibm continua a investire anche nei momenti più neri intervista Flavia Podestà STIAMO riscoprendo il valore della prossimità. Questo cock¬ tail esplosivo di tecnologie e glo¬ balizzazione ha riportato in pri¬ mo piano due elementi: l'indivi¬ duo e la prossimità. In sintesi, stiamo riscoprendo il valore del¬ la fiducia». Quando incontriamo Elio Cata¬ nia, presidente di Ibm Itaha (che sotto di sé ha il governo di Big Blue su tutto il bacino del Medi¬ terraneo) ha appena concluso una riunione operativa con 0 mondo dei distretti industriali, per mettere a fuoco gli elementi di servizio - a basso costo e a basso livello di ingresso - che possano facilitare il salto di quali¬ tà alla struttura portante del nostro sistema produttivo: fatto, essenzialmente, di imprese di dimensioni contenute. Una scom¬ messa, questa, che Ibm ha deciso di condividere con Fiat, con la joint-venture, con Business Solu¬ tions. «Sono convinto che in que¬ sto paese le singole imprese ab¬ biano innovato moltissimo per mighorare i processi industriali e i loro prodotti - dice - ma ormai la prima fase deh'ottimizzazione su se stessi è finita per le piccole e medie imprese così come è finita la fase pionieristica del distretto industriale». Il passaggio alla nuova fase, in cui realizzare il salto di qualità che fa recuperare efficienza ed efficacia - per il presidènte di Ibm Itaha - può avvenire soltan¬ to appropriandosi delle nuove tecnologie, di internet, dell'infor- mation technology, per ridisegna¬ re i processi di oiganizzazione aziendale, i rapporti con cliente¬ la e fornitori, il modo stesso di lavorare in azienda e, per le imprese, dei distretti industriah, abituate da tempo a lavorare in rete, per integrarsi in modo mi¬ gliore. «La parola magica di questa fase che stiamo vivendo - insiste Catania - è proprio integrazio¬ ne». Perché - spiega - oggi al capo di una impresa si chiede di capire come ri-integrare la propria im¬ presa, come ri-integrarla nell'eco¬ sistema in cui opera (il distretto, per esempio), come integrare tut¬ to quello che le sta a monte e a valle. E' con la disponibilità a rimettersi in gioco, ridisegnando filosofia e processi sulle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, e concen¬ trando tutto il know how possibi¬ le in materia, del resto, che Ibm - «che nel '92 era quasi sull'orlo del fallimento» - si è reinventata un futuro, battendo la concorren¬ za. Un tum around di indubbio successo che il mercato apprez¬ za, mettendo il turbo ai suoi titoh: le azioni Ibm a Wall Street si sono apprezzate anche que¬ st'anno del 350Zo. «Le dò un dato interessante - dice Catania con comprensibile compiacimento - se io prendo tre imprese nostre concorrenti, tra le più grandi, la somma delle loro capitalizzazio¬ ni solo un anno e mezzo fa era tre volte la capitalizzazione del- l'Ibm: oggi è solo il 600Zo della nostra». Come spiega il miracolo? «Lo spiego con il fatto che il mercato ha preso coscienza del valore reale dì tecnologia e servizi che Ibm è in grado di mettere a disposizione con la sua offerta a 360 gradi». Quali sono i valori conserva¬ ti dall'Ibm? «I valori di fondo di Ibm non sono mutati e risiedono nella sua deter¬ minazione a investire, anche nei momenti più neri, 5 miliardi di dollari all'anno in Ricerca e Svi¬ luppo; il rapporto con il mercato; la qualità deUe risorse umane». Torniamo alla sua afferma¬ zione iniziale sul valore della prossimità. Non è una provo¬ cazione nel momento in cui Éi inneggia alla globalizzazio¬ ne? «Non lo è affatto. Con buona pace dei no glohal, tecnologia, innova¬ zione, globalizzazione - al di là dei rari aspetti negativi che pre¬ sentano - sono fattori di enormi benefici per il mondo. Basti pen¬ sare che il controllo delle foreste, il controllo dei fiumi, i progressi in campo medico, il decouding del Dna non sarebbero stati possi- bili senza le tecnologie e la circo¬ lazione delle informazioni deri¬ vante dalla globalizzazione. Ma la riscoperta del valore e della prossimità non è una contraddi¬ zione, ma una derivata della glo¬ balizzazione». Non c'è il rischio che, da noi, la riscoperta della prossimi¬ tà ci porti dritto dritto verso il provincialismo? «Il rischio c'è. Per questo c'è un problema di leadership: si tratta in altri termini di essere sicuri che chi stabilisce la velocità di innova¬ zione del sistema, abbia effettiva- mente capito ciò che avviene». Ma allora sotto questo profi¬ lo in Italia siamo spacciati... «Bisogna essere cauti. Qui si trat¬ ta di costruire una cultura dell'in¬ novazione nel paese e le responsa- bilità sono complessive: chi ha compito di stabilire l'agenda poli¬ tica, chi ha compito di formare la gente, chi di educare le nuove generazioni, chi di guidare le imprese piccole o grandi che sia¬ no, tutti costoro sono ugualmen¬ te responsabili del cambiamento. Ci vuole insomma uno sforzo co¬ mune importante e, probabilmen¬ te, va detto che non tutti sono ancora d'accordo sia sull'obietti¬ vo di fondo che sulla velocità opportuna per raggiungerlo». L'Italia è per lo più refratta¬ ria al cambiamento e le rare volte in cui - sotto la spinta del vincolo estemo - vi si è convertita ha dimostrato di non saper valutare i tempi corretti per cambiare. Quale dovrebbe essere il timing del¬ la nuova rivoluzione? «Bisogna distinguere i due ele¬ menti di fondo. Il primo è l'oriz¬ zonte temporale: se parhamo se¬ riamente di innovazione, di tra¬ sformazione dei processi formati¬ vi, politici, aziendah, l'orizzonte deve essere di medio e lungo periodo. E' chiaro, però, che c'è anche ansia di avere risultati a breve e su questo bisogna punta¬ re. Si deve, in altri termini, avere la capacità di coniugare una visio¬ ne progettuale di lungo periodo con una disponibilità ad attuare i cambiamenti in modo rapido. L'altro elemento di cui tener con¬ to è la novità di ciò che stiamo esplorando: va da sé che, con il nuovo che avanza, le vecchie regole non valgono più, ma non possiamo vivere in un mondo senza regole, in un Far West. Dobbiamo quindi cogliere i nuovi meccanismi che da un lato proteg¬ gano il bene comune - i diritti umani, la sicurezza, l'ambiente, la privacy - e dall'altro consenta¬ no il dispiegamento delle energie di creatività senza eccessive mor¬ tificazioni. Si tratta di un punto di equilibrio molto difficile da co¬ struire: per questo sono convinto che a un equilibrio corretto si possa giungere solo con uno sfor- zo comune». Si può ancora dire oggi che l'innovazione promana dal¬ l'impresa? «Indubbiamente l'impresa crea l'innovazione: è la macchina del profitto a generarla. Guai a pensa¬ re a modelli alternativi di svilup¬ po, perché la storia ci dice che non tianno funzionato. Tra l'altro la stessa innovazione tecnologica è quella che ci potrà aiutare per proteggere molti dei valori di cui parlavamo prima. L'impresa ha sempre avuto questo ruolo di pro¬ motore dell'innovazione, grazie alla sua capacità di gettare il cuore oltre l'ostacolo. Ora è venu¬ to il momento per le imprese ma più in generale per tutta la classe dirigente, di sedersi attorno a un tavolo con chi ha il compito di fare le leggi, per regolare ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, ciò che è opportuno e legittimo e che è inopportuno e illegittimo. Proba¬ bilmente è necessario, addirittu¬ ra, farlo a livello sovrannazionale perché se noi siamo convinti, co¬ me lo siamo, della bontà della globalizzazione, dobbiamo giocar- a a campo grande: non possiamo volere i benefici del campo grande e le regole del campo piccolo. Questo proprio non esiste. Biso¬ gna fare questo sforzo e questa, a mio giudizio, è la vera sfida che attende l'Italia e gli altri Paesi europei». Lei dunque è convinto che si possa superare il Digital Divi¬ de? «Sono convinto che il Digital Divi¬ de possa diventare addirittura un Digital Opportunity. Il problema non è nemmeno il Digital Divide, che diventa l'elemento per dilata¬ re le diseguaghanze là non dove non ci sono le condizioni economi¬ che: il problema vero è l'Econo¬ mie Divide, o anche l'Education Divide». Questo cosa vuole dire in concreto? «Significa che in gioco ci sono i soliti parametri che fanno la differenza tra i sistemi in ter¬ mini di competitività, ossia sulla flessibilità del lavoro, l'efficienza del mercato dei capitah, la formazione, il li¬ vello d'informatizzazione, la semplificazione della pub¬ blica amministrazione, temi ormai noti. Quei parametri 10-15 anni fa potevano essere assorbiti senza ef¬ fetti drammatici perché il ciclo di business era molto più lento. Con l'innovazio¬ ne tecnologica attuale, con il ciclo di affari che si va accorciando, quegli stes¬ si parametri diventano fondamentah per deci¬ dere chi è dentro e chi è fuori». In questo senso, lei ritiene che l'Italia, sotto la spinta del vincolo esterno, possa reagire e togliersi la maglia nera? «E' così, anche se debbo notare che non stiamo ancora lavorando su quei parametri con la velocità giusta. L'agenda del governo ha indicato questi temi ed è molto positivo: ma non basta. Ora van¬ no messe le date accanto a cia¬ scun programma. Oggi la differen¬ za non è tra le dichiarazioni: in questo tutti sono bravissimi. La differenza è nel fare o non fare le strategie scelte, nel raggiungere o meno gli obiettivi mdicati:.m tem¬ pi determinati. Inoltre, la differen¬ za non è più tra i paesi che inventano le tecnologie e quelli che non ne sono capaci; la diffe¬ renza è tra chi usa queste tecnolo¬ gie e chi non le usa; e, tra l'altro, l'accesso a queste tecnologie di punta oggi è molto più basso di prima». Consolatorio per noi. Eppure non mi pare proprio che si ricorra con urgenza a queste innovazioni. Come mai? «E' un problema di mal di pancia, cioè di sentire nello stomaco il bisogno di rendere pervasive que¬ ste tecnologie per fare in modo che tutti le utilizzino e, attraverso questo utilizzo, si faccia il salto di qualità». Non le pare un paradosso che, proprio mentre queste tecnologie diventano il moto¬ re dello sviluppo, i titoli delle aziende che li producono va¬ dano a rotoli in Borsa? «No, a me piace molto che sia scoppiata la bolla speculativa. Era prevedibile, era scritto nei libri di scuola: quando si è di fronte a ■una tecnologia veramen¬ te dirompente rispetto alla conti¬ nuità, si hanno questi fenomeni di corsa all'oro oltre ogni logica: tutti pensano di poter diventare miliardari in poco tempo. Poi ci si rende conto, invece, che la vita è fatta di lavoro duro tutti i giorni. Ora sta succedendo il classico effetto spili over: da pochi visiona¬ ri importantissimi che hanno dav¬ vero rotto il paradigma su queste tecnologie, si passa alla fase in cui tutti vanno a usarle. La fase del¬ l'euforia è finita, ora siamo nella fase della serietà». Quindi lei non è pessimista sulla riconversione del ciclo economico? «Dobbiamo distinguere due mo¬ menti. Uno è l'andamento di Bor¬ sa che, dopo l'esplosione della bolla e i normali assestamenti successivi, riprenderà. L'altro è il valore strategico di queste tecno¬ logie ed è su questo che dobbiamo concentrarci: queste tecnologie si applicano a tutte le imprese e a tutte le amministrazioni; per la loro diffusione è necessario che vengano ridisegnati tutti i rappor¬ ti dentro e fuori l'azienda o dentro e fuori l'amministrazione; ma alla fine, una volta diffuse, faranno da volano a nuova crescita». Ottimista, dunque, nono¬ stante le incertezze del qua¬ dro internazionale? «Direi di sì. E' vero che nulla di tranquillizzante viene dallo scena¬ rio intemazionale e che la prima parte dell'anno prossimo sarà du¬ ra: ma non è il tempo di fare previsioni puntuah. Meglio guar¬ dare dall'elicottero la situazione. Credo che il fenomeno di trasfor¬ mazione avviato da tantissime imprese, questo accumulo di inno¬ vazione e di tecnologia che la globalizzazione ha reso disponibi- h in svariate parti del mondo, incominci a pagare: le imprese sono più agili, più capaci di rispon¬ dere alle fluttuazioni della doman¬ da e alle bizze dei mercati. Inoltre ì fondamentali dell'economia non sono stati toccati da ciò che sta avvenendo con l'I.l settembre. Infine, c'è una distribuzione deUe risorse molto migliore di prima. Quindi non sono pessimista. E poi credo anche un'altra cosa: che a forza di piangerci addosso alla fine tutti piangono. Siamo noi gli artefici del colore: se voghamo scegliere il nero, alla fine d nero arriva dappertutto. Allora dico che bisogna recuperare il necessa¬ rio distacco dal contingente, che va guardato con realismo ma sen¬ za l'abbandono al pianto greco». Tutti sono responsabili del cambiamento Le aziende hanno innovato moltissimo per migliorare 1 processi industriali e iloro prodotti ma adesso bisogna appropriarsi delle nuove tecnologie e cambiare il modo stesso di lavorare sono responsabili mbiamento ende hanno innovato ssimo per migliorare essi industriali o prodotti desso na appropriarsi nuove tecnologie mbiare do stesso di lavorare «La bolla speculativa? E'bene che sia scoppiata Quando una tecnologia è veramente dirompente si hanno fenomeni di corsa all'oro oltre ogni logica Tutti pensano di diventare miliardari in poco tempo Ora c'è la fase della serietà» o Catania, sidente di Italia, nel disegno tore Viola lgèibrpm «La bolla speculativa? E'bene che sia scoppiata Quando una tecnologia è veramente dirompente si hanno fenomeni di corsa all'oro oltre ogni logica Tutti pensano di diventare miliardari in poco tempo Ora c'è la fase della serietà» Elio Catania, presidente di Ibm Italia, nel disegno di Ettore Viola

Persone citate: Biso, Elio Cata, Elio Catania, Ettore Viola, Flavia Podestà

Luoghi citati: Catania, Ibm Italia, Italia