DONNE per rimettere insieme i cocci di Elena Loewenthal

DONNE per rimettere insieme i cocci CADUTA DI KABUL UN PICCOLO PASSO VERSO LA LIBERTA' DONNE per rimettere insieme i cocci analisi Elena Loewenthal LA guerra ha le sue leggi. Non soltanto strategiche, di dife¬ sa o conquista che sia. Un Paese in guerra pone legittima¬ mente in discussione il sistema dei brevetti nel campo della medicina, di fronte a una possi¬ bile e minacciosa emergenza di attacco chimico: le comuni re¬ gole sociali e giuridiche vengo¬ no meno, altre subentrano. Ogni conflitto rimette in gioco le misure del mondo e soppesa le distanze da ogni prossimo, che sia o meno il nemico diretto contro il quale puntare l'arma, vuoi per annientare vuoi per sopravvivere. Per secoli e millenni le donne hanno visto gh uomini fare la guerra, da un'indecifrabile di¬ stanza avvolta per lo più nel silenzio. Con qualche eccezione che urla ancora. Antigone è figlia di Edipo, porta sulle spal¬ le un destino già greve, e come se non bastasse vive in una città dove governa un tiranno. L'ingiustizia assurda della guer¬ ra è anche quella che le vieta di dare sepoltura, per quanto sim¬ bolica, alle spogUe del fratello caduto. Antigone si ribella e paga con la morte un gesto che più che di pietà è di protesta: dice «no!» a quelle regole che la vuole guerra. «Oggi è stata una giomata anche per me di guerra!», escla¬ ma per iscritto Suor Stefania dal suo eremo: «Finalmente le om¬ bre della sera sono scese a darci un po' di quiete. Ma a meditare su certe condizioni a cui viene sottoposta una fetta di umanità tamburella nella mente sempre quel "perché" al quale è difficile rispondere; esso è la nota che sempre accompagnerà la nostra esistenza terrena... Perché, per¬ ché una creatura così dolce e amabile qual è la donna, creata da Dio per essere compagna dell'uomo, tolta dalla sua stessa carne, debba subire tali ingiusti¬ zie? E' sempre la mente dell'uo¬ mo che crea i conflitti e le guerre, perché è dalle sue passio¬ ni che può trarre il bene e il male. La coscienza è il labile- passaggio che si interpone tra queste due forze che portiamo dentro di noi e che incombono sempre sulla nostra esistenza, basta una piccola crepa e la nostra fragilità emerge». Le donne sono un po' il simbo¬ lo di questa guerra, troppo lun¬ ga o troppo breve, chissà. Volti che tornano alla luce dopo tanti anni, così diversi da come li aspettavamo - lo sguardo eretto - sotto il velo. Per Emma Boni¬ no, europarlamentare che l'Af¬ ghanistan conosce assai da vici¬ no, questa guerra scoccata l'il settembre a New York è anche di liberazione, per un Paese e soprattutto per le sue donne che sino a ieri non potevano salire sugli autobus né dare la mano a un uomo, donne che un vago sospetto d'adulterio basta¬ va a lapidare sulla pubblica piazza. Ed ora che a Kabul cadono i primi veli, Bonino invita a ricostruire il Paese insieme alle donne, perché non basta far crollare un sipario di tessuto a rete. Rimettere insieme i cocci di ciò che la guerra ha distrutto è dunque un'urgenza delle donne prima ancora che degli uomini, sono loro a rimboccarsi le mani¬ che per prime. «L'arte della guerra è stata inventata e gestita in esclusiva dagli uomini e ho espresso la speranza che spettasse alle di¬ scendenti di Eva il compito più arduo, ma più costruttivo, di inventare e gestire la pace», ha dichiarato qualche giorno fa su questo giornale Rita Levi Mon- talcini. La vocazione delle don¬ ne alla pace è vecchia davvero quasi quanto il mondo, se una fra le più combattive figure femminili della Bibbia ha per arma il potere evocativo della parola: «Svegliati, svegliati. De¬ bora; svegliati, svegliati, intona un cantico». Debora governa le tribù d'Israele, procurando «pa- ce per quarant'anni». E' una pace antica la sua, grezza e instabile, ma tuttavia intrisa di una specie d'entusiasmo. ' In silenzio vive Micol, la figlia che Saul dà in sposa al giovane e incosciente Davide prima che diventi re: poco dopo le nozze sarà lei a salvar¬ lo dal tranello di morte che Saul ha ordito per il genero, non certo per amore - di cui nulla dice la Bibbia - piuttosto )er ansia di una ancorché fragi- e pace fra i due. «La donna primitiva aveva il potere quando l'uomo viveva di caccia e di raccolta di bacche, il potere di generare i figli... La donna, generando il proprio figlio, conosce il valore della vita, e soprattutto la sua sacrah- tà. Un esempio per tutti: le Sabine che evitano il "bagno di sangue" dei Romani con i loro padri, sebbene fossero state violentate...", racconta Mario, un altro navigatore pensante del Web. Ancora una volta, la ragionevolezza della donna si pone contro la guerra nello stesso silenzio saggio di Micol, di cui la Bibbia non ci restitui¬ sce una sola parola. «Io donna liberata in questi giorni ho gioito nel sentire che parte delle donne afghane ha potuto liberarsi del burqa. Sim¬ bolicamente è un piccolo passo verso la libertà. Noi donne "liberate" dobbiamo continuare con il pensiero a rimanere vici¬ no a loro in modo che non debbano più vivere condizioni di estremo silenzio e rassegna¬ zione o meglio di schiavitù», scrive Carla, e lo sguardo - malgrado le distanze geografi¬ che - corre ancora a quei volti lontani di cui parla il premio Nobel per la letteratura V. S. Naipaul in «Fedeli a Oltranza» (appena uscito presso l'editore Adelphi): «Spiccava fra le donne silenziose lì raccolte, con i volti spenti, privi di vita, di chi ha sofferto al punto da non provare più vergogna e forse neanche sentimenti...» E' l'impulso alla vita che fa guardare la guerra alle donne da una distanza diversa, come al di là di un fossato incolmabile, anche in quel mondo occidenta¬ le in cui le donne liberate di cui parla Carla esprimono ormai posizioni politiche tanto diverse e variegate. Qualcosa, nel fondo della coscienza, le schiera insie¬ me nel confronto con la vita e con la morte, suggerisce con rimpianto Dorit Rabinyan, una giovane scrittrice israeliana di origine iraniana, il cui romanzo «Spose Persiane» è uscito l'anno scorso in Italia (presso Neri Pozza) e di cui s'attende il prossi¬ mo, previsto dall'editore Flemme nell'anno che viene: «Ritengo che l'atteggiamento verso il conflitto da parte delle donne - tanto israeliane quanto palestinesi - sia una delle ragio¬ ni subcoscienti del perché la mia generazione (Dorit è nata nel 1971; nda) è così frustrata nel suo idealismo, così affamata di normalità, ora che persino i simboli della maternità, leggen¬ daria peacemaker, quella mater¬ nità che dà la vita e la difende, nel Medio Oriente è come spira¬ ta. Qui la femminilità ha perso il suo antico ruolo sociale di otti¬ mismo e compromesso, per ade¬ rire invece alle ambizioni milita¬ ri, tutte maschili». Un retaggio antico al confron¬ to con le tante, a volte inspiega¬ bili, realtà di oggi. Chissà che cosa ne racconterebbe Shahrà- zad, la «narratrice dolce e risolu¬ ta» cui Roberto Escobar dedica «Il silenzio dei persecutori» (in uscita presso il Mulino), quella «giovane donna della favola che si affida alla ricchezza di mille e una storia e così vince il raccon¬ to unico e sanguinario di Shahri- yar, il potente che sulla morte dei suoi stessi sudditi fonda la propria orrida legittimità». Sono il simbolo della guerra afghana: volti che tornano alla luce dopo molti anni e che devono risistemare quello che il conflitto degli uomini ha distrutto Emma Bonino: non basta far crollare un sipario -il burqa - di tessuto a rete Rita Levi Montalcini: «A loro il compito di gestire la pace» La liberazione dal burqa: una giovane madre (qui sopra) porta II bambino all'ambulatorio medico. A sinistra una donna di Kabul con le due figlie

Persone citate: Bonino, Dorit Rabinyan, Emma Bonino, Naipaul, Neri Pozza, Rita Levi Mon, Rita Levi Montalcini, Roberto Escobar, Suor Stefania

Luoghi citati: Israele, Italia, Kabul, Medio Oriente, New York