«Questa settimana in Europa il vertice sul futuro afghano»

«Questa settimana in Europa il vertice sul futuro afghano» SOTTO l/EGIDADELUONU: LO HA ANNUNCIATO IL MINISTRO DEGLI ESTERI DELL/ALLEANZA ABDULLAH ABDULLAH «Questa settimana in Europa il vertice sul futuro afghano» reportage inviato a KABUL IL soldato Smaray sorride, e per vincere l'imbarazzo si gratta la scarpa da tennis. «Quanto guada¬ gna?» Mah, diciamo cinquecento- mila afghani al mese». Sono 12 dollari, non bastano ma lui conta pure su un pezzo di terra, e ci ricava da mangiare. Ha 24 anni, la moglie e un figlio. Ma un solo figho? gh chiede uno. Lui sorride: «Allah me ne darà altri». Quando uno gh dice allora che, forse. Allah da solo non basta, l'interprete di¬ venta rosso e si rifiuta di tradurre. Ma il soldato Smaray ha capito, ride allegro nel sole. E' seduto sul cassone di un camion che monta un bm-12, uno di quei cosi dei russi che lanciano 12 razzi in un unico grappolo; e sta per andare in batta¬ gha. I taleban sono lì di fronte, nel telescopio di un fucile li puoi vede¬ re che si muovono lungo il costone della montagna. Scappavano da Kabul, sono stati intrappolati in quel piccolo villaggio che quasi lo tocchi con la mano. Hanno il tur¬ bante, nemmeno cercano di nascon¬ dersi troppo. Se volessero, potreb¬ bero anche tirarci addosso. Nel sole squillante del primo mattino, in un silenzio vuoto, senza rumori, que¬ sto sembra il set di un film, non il pezzo di vita di un giorno dove molti moriranno. Ma hai paura soldato Smaray? lui quasi non capi¬ sce. «Paura? no, no. Ho cominciato che avevo 14 anni. A me piace combattere» e ride. In un paese che da ventidue anni (ma in realtà da secoli) se ne sta in guerra, la guerra è la vita quotidiana. La normalità. Il solda¬ to Smaray che ride della paura, non conosce altre storie, non sa che cosa sia quella roba che gh stranie¬ ri chiamano «la pace». E finisce che uno si trova dentro una battagha senza nemmeno averla cercata, mentre se ne stava andando alla periferia di Kabul per scoprire se davvero gh Hazara (questa era la voce che andava in città) si stessero concentrando per marciare sulla capitale, in protesta per la scarsa considerazione ricevuta dal nuovo governo. Era un affare di etnie e di tribù, ma un affare importante, perché chi dice Afghanistan e pen¬ sa ad un paese scopre poi, in realtà, che sta parlando di clan, di fazioni, di gruppi, la cui identità nazionale è una finzione giuridica, più che una cultura collettiva. La battagha, dunque, uno l'in¬ contra lungo la strada, quando vede che il carrarmato che sta sorpassando è poi il primo di una piccola colonna mihtare, e che tutti si fermano all'incrocio dove si pren¬ de la direzione per Kandahar. E' uno spiazzo di terra nemmeno tanto ampio, con una vecchia pern¬ ia di benzina e una decina di sanchetti che vendono cavoli, cipol¬ le, mele. Il comandante va avanti e indietro, accompagnato da un co¬ dazzo servizievole. Sul panzone ha un maghone bianco, la sciarpa e una giacca. E la barba. «Sono sei¬ cento, li stiamo circondando. Poi attaccheremo». Il comandante si chiama Haji Shar Alam, è famoso. Uno gh chiede: «Ma non potreste negoziare? la guerra è ormai fila¬ ta». Lui guarda verso la montagna,, e ci pensa. Ha la pelle nera di sole. «Mmm, diciamo che se vengono a chiedere la resa io non li ammaz¬ zo». Uno insiste che, forse, potreb¬ be essere lui a offrirgliela, la resa. Per evitare un massacro. Lui guar¬ da di nuovo verso il costone, e ci pensa. «Io voglio combattere, dice lento». Quelli che gli stanno attorno sorridono soddisfatti, quello che conta è il risultato, la voglia di sangue non ha imbarazzi. In un angolo del terrapieno c'è fermo un taxi giallo con cinque soldati che sonnecchiano dentro. La targa, in numeri arabi, è 65681. Quello che è al volante dice di essere il cugino di Seit Hakim, un generale famoso. «Gli dò una mano, quando c'è da combattere vengo con il mio taxi». Forse sarebbe più giusto fare la pace, ormai. Lui ride, è seduto con i piedi ritirati sul sedile. «Ma guarda che quelli non sono soltanto tale¬ ban, lì ci sono arabi e ceceni». E sputa. Uno capisce che non è aria. Capisce anche che cosa è in questo momento un posto come Kunduz, dove da cinque giorni si combatte con ferocia, senza perdono. Un paese dove i vincitori affer¬ mano di voler andare verso la «nor- malità» chiude con ferocia i conti arretrati. Il presidente Rabbani pro¬ mette equità, comprensione, dispo- nibilità: «Voghamo fare un governo con tutti, una Loya Jirga che com¬ prenda anche gli uomini del Re». L'Alleanza del Nord parteciperà al vertice sul futuro governo dell'Af¬ ghanistan, che sarà convocato a giorni in Europa sotto l'egida del¬ l'Onu. Lo ha annunciato il ministro degh Esteri dell'Alleanza Abdullah Abdullah al termine dell'incontro a Tashkent, in Uzbekistan, con l'invia¬ to speciale statunitense James Dob- bins. Il summit era stato al centro dei colloqui di ieri a Kabul tra l'Alleanza del Nord e il vice inviato speciale delle Nazioni Unite, Fran¬ cese Vendrell. «Sarà fuori dall'Afgha- «alcune delle sedi proposte da Ven- drell - Germania, Svizzera e Austria - per noi sono accettabili». Abdullah ha assicurato che il vertice può tenersi già questa settimana: «Non ci sono ostacoli». Il ritomo alla normalità sarà lungo, difficile. Venerdì comunque ha ripreso le trasmissioni Teleka- bul. Era ferma da cinque anni, è un buon segno. Maryan Shakebar, che cinque anni fa aveva dovuto inter¬ rompere le trasmissioni per l'arri¬ vo dei talebani, ha ripreso da dove aveva lasciato. I televisori sono andati a ruba, uno usato costa 120 dollari. Vale dieci volte la vita del soldato Smaray. Ha ripreso le trasmissioni TeleKabul Torna la giovanissima annunciatrice sparita cinque anni fa Il presidente Rabbani «Vogliamo fare un governo con tutti anche con gli uomini di re Zahir^ Torna la televisione a Kabul: alla sedicenne Maryan Shakebar, che cinque anni fa conduceva un programma per bambini, l'onore di annunciare la ripresa delle trasmissioni

Persone citate: Abdullah Abdullah, Haji Shar Alam, Maryan Shakebar, Rabbani, Vendrell, Zahir