Rabbia in viale Jenner «Non c'entriamo nulla» di Vincenzo Tessandori

Rabbia in viale Jenner «Non c'entriamo nulla» Rabbia in viale Jenner «Non c'entriamo nulla» t*. Vincenzo Tessandori inviato a MILANO Kabul brucia? Washington accu¬ sa? Qui a Milano, alla moschea di viale Jenner, si osserva il Rama¬ dan e si vorrebbe la guerra lonta¬ na mille miglia. Eppure, secondo gli americani, proprio in questo capannone al primo piano si na¬ sconderebbe forse la più attiva centrale terroristica del nostro Paese, legata a Osama bin Laden e con ramificazioni nel resto del¬ l'Europa, soprattutto in Germa¬ nia. «Chiariamo: i nostri rapporti con le autorità italiane sono limpi¬ di, lo sono dal '93, quando per T'operazione Sfinge" in 63 finiro¬ no sotto processo senza che qual¬ cuno sia stato condannato. Li tengo io, i contatti, non delego nessuno». Abdelhamid Shaari, 54 anni, arrivato dalla Libia in un'era politica ormai remota, vi¬ ve la sua giomata come se la guerra fosse sul serio soltanto dall'altra parte del mondo: lavora per l'Istituto culturale islamico, di cui è presidente, in serata confe¬ renza sull'Islam a Pavia. Vi senti¬ te sorveghati? «Mai avuto segnali precisi. Quello che facciamo, è alla luce del sole». Ma l'altro giorno, uno legato alla moschea, Abdelhalin Hafed Remadna, vie¬ ne arrestato e, pronto, scatta il sospetto di vincoli con la grande piovra dello sceicco del terrore. «So che questo ragazzo ha perdu¬ to un familiare nell'alluvione alge¬ rina: il padre o la sorella. È con noi è da 4 o 5 anni, ora lavora con l'imam Abuemad, che non parla italiano. Penso che le accuse siano puttanate, inventate di sana pian¬ ta, non credo a una sua doppia vita. In ogni modo l'istituto non c'entra e quereleremo chi preten¬ de di vederci un legame. Da un suo amico ho saputo che gli hanno contestato di aver allungato la' data del permesso di soggiorno». Eppure, dagli Usa insistono: i terroristi si annidano fra voi. «Non so perché lo dicano. Forse perché la moschea è conosciuta V à per l'impegno nella guerra in Bo¬ snia». Non perché U suo imam, Anwar Shaaban, morto proprio nella ex-Jugoslavia, fosse sospet¬ tato di far parte dell'intemaziona¬ le islamica del terrore? «Di un morto si può dire tutto, tanto non può difendersi. E quando lui è morto, Al Qaeda neppure c'era». Per la verità si parla di prove, più che di sospetti. «Ce le mostrino, queste prove, ma se son quelle di cui parlano i giornali, non è nep¬ pure il caso di prenderle in consi¬ derazione». Fra i fedeli che fre¬ quentano la moschea, è sparito qualcuno? «Tranne i morti, nessu¬ no, dall'anno delT'operazione Sfinge"». Parhamo di terroristi, per esempio i «donnienti»: in anni passati numerosi algerini ed egiziani hanno ricevuto passapor¬ ti albanesi, poi son scomparsi. Alla moschea ci sono tracce di albanesi o presunti tali? «Nessu¬ no chiede il passaporto, e io rifiu¬ to di fare il lavoro di intelligence. In ogni modo, non ricordo di averne visti: eppoi, questa storia degli "addormentati" può essere applicata a chiunque, anche a me». Mille miglia da viale Jenner, ma gli echi di Kabul arrivano distinti e qualcuno legge la rotta dei taleban come un cambio di strategia e Abdelhamid Shaari os¬ serva che «forse si trovano più a loro agio nel Sud». D'accordo, con le montagne, le caveme, il freddo e la neve. «O magari sono in rotta vera e propria». Fosse così, il futuro di Bin Laden come quello del mullah Omar forse sarebbero segnati. «La caccia potrebbe esse¬ re condotta con più calma e lo scopo, di questa caccia, è la cattu¬ ra o l'eliminazione: in ogni caso si creeranno nuovi martiri. Già ora, per quanto possiamo sapere, sono numerosi quelli di Al Qaeda fra i prigionieri, e i "pentimenti" che non mancheranno, saranno di grande aiuto per risalire nella catena dell'organizzazione». Non sembra preoccupato che salti fuo¬ ri l'indirizzo: viale Jenner, Mila¬ no, Italia. «Venisse arrestato qual¬ cuno e ci fossero le prove che è legato ad Al Qaeda, noi non lo difenderemo». Altro sembra pre¬ occuparlo, come musulmano. «Il cambio fra taleban e "signori della guerra" mi spaventa: perché i primi, in un modo o nell'altro, hanno garantito la vita ai cittadi¬ ni di Kabul mentre i "signori della guerra" avevano fatto 50 mila morti e, dalle notizie che arriva¬ no, pare che i loro metodi non siano mutati. Speriamo soltanto che non sfuggano al controllo anglo-americano. Ma le premesse non sono buone: basti pensare che mentre Bush parlava esortan¬ doli ad aspettare loro sono arriva¬ ti fin dentro la capitale. Il fatto è che sono le stesse persone di dieci anni fa, manca solo Massud». Che è stato tradito? «Ucciso. Quanto al tradimento è anche possibUe che il suo servizio di sicurezza abbia fatto fiasco: che so, un controllo trascurato, un'ine¬ zia, e così ai falsi giornalisti è stato permesso portare la teleca¬ mera che l'ha ammazzato. Quan¬ to all'ipotesi del tradimento, ripe¬ to, tutto è possibile: che abbiano tradito lui come Abdul Haq cadu¬ to in una trappola mortale. GU afghani sul tradimento vantano una tradizione millenaria, in ma¬ teria, sono famosi. Di certo non potranno tradire noi, che non abbiamo legami». Viaggio nella moschea Abdelhamid Shaari, presidente dell'Istituto culturale islamico: «I nostri rapporti con le autorità italiane sono limpidi. Li tengo io, non delego nessuno»