Il prezzo delle lacrime

Il prezzo delle lacrime la task force italiana Il prezzo delle lacrime Mina NON ci sono che indivi¬ dui. L'uomo, non gli uomini. Non il gruppo, non la truppa. Gh uomini co¬ me mezzo, co¬ me strumento, mi sgomentano. L'uomo, il singolo uomo, è il fine. Mario, Carlo, John, Bob, Mohammed, Ibrahim, con la stessa faccia e con lo stesso cuore, sotto l'uragano della necessità di combattersi, con gli identici radi¬ cati convincimenti, la stessa cer¬ tezza di essere dalla parte giusta, la stessa storia fisiologica, lo stes¬ so inizio e lo stesso epilogo. Domani partono le truppe itaha- ne di intervento in Afghanistan. Ed è proprio perché è giusto che è tremendo. Giusto come è dovero¬ so il tentativo di arginare e di distruggere il terrore. Tremendo come il fatto di alzarsi al mattino con un'arma come compagna di vita. li saluteranno le madri e le fidanzate, le mogli e le sorelle, come nella mighore iconografia delle partenze militari. Bandiere, inni e parate saranno il necessario sfondo per un rituale legittimo e terribile. E noi, nella distanza garantita da uno schermo televisi¬ vo, sentiremo inorgoglirci il petto perché li considereremo un po' come nostri figli o nostri fidanzati. Ma solo virtuah. Se fosse il nostro Mario, il nostro Carlo su quel molo di Taranto, la nave che li trasporta in terre desolate di sangue e di orrore sarebbe solo un agghiac¬ ciante strumento di tortura per un cuore che non accetta gli strappi. li hanno incasellati negli sche- mini dei giornali e nel carcere dei numeri: 1400 marinai, 300 dell'ae¬ ronautica, 1000 dell'esercito e 150 carabinieri. Sono diventati la «task force» itahana. E le parole della retorica militarista li hanno trasformati in un contingente superaddestrato. Eppure le somme sono il vano tentativo di rinchiudere in un termine collettivo l'unico dato irri¬ ducibile, e cioè l'assoluta infinitez¬ za del singolo individuo. Ciascuno di loro svolgerà il proprio doveroso compito. E li guarderemo con itahanissimo compiacimento quando saluteran¬ no le famighe in collegamento diretto tv la notte di Natale o di Capodanno. Le lacrime delle ma¬ dri, per un attimo, saranno il nostro confortevole prezzo da pa¬ gare per illuderci di essere anche noi dalla loro parte. Ma poi li dimenticheremo. Come i militari morti a causa dell'uranio impove¬ rito in Kosovo. O come Alessandro Giardina, il bersaghere di leva ferito accidentalmente da un col¬ po di pistola partito accidental¬ mente dalla pistola di un commili¬ tone durante la missione in Soma¬ lia del 1994. La sua famiglia ha ottenuto dallo Stato 270 milioni di risarcimento, tutti spesi in poco tempo per le cure di sette anni vissuti da paralizzato. D dramma delle cause buone e giuste è che spesso devono affer¬ marsi passando sulla pelle di chi deve sparare o rischiare di morire. Non c'è idea di giustizia, di libertà più o meno duratura, non c'è soluzione definitiva che non com¬ porti l'angoscia di una madre che vede partire suo figho. «Ogni civil¬ tà è un dialogo con la morte» (N. Gómez Davila). O, per lo meno, col rischio di morire.

Persone citate: Alessandro Giardina, Davila

Luoghi citati: Afghanistan, Kosovo, Taranto