SINISTRA Il tormento va a congresso di Pierluigi Battista

SINISTRA Il tormento va a congresso SOCIALISTI E COMUNISTI TRA MITO DELL'UNITÀ E ISTINTI AUTOLESIONISTI SINISTRA Il tormento va a congresso analisi Pierluigi Battista ROMA LA sinistra si appresta a cele-, brare a Pesaro un altro con¬ gresso di divisioni, e forse an¬ che di baruffe. Non è una novità: di congressi che hanno conosciuto spaccature e litigi, manovre di corridoio e scontri all'arma bianca fino a trovare sbocco, talvolta ma non poi così di rado, in traumatiche scissioni, è ricca la storia più che secolare della sinistra italia¬ na. Congressi rissosi, dove la correntocrazia si manifestava sfrenata e spavalda, nella sto¬ ria del socialismo italiano. Con¬ gressi dove le divisioni si espri¬ mevano piuttosto nei modi fel¬ pati di una curia laica nutrita dal dogma del «centralismo de¬ mocratico», nella storia del co¬ munismo italiano. Nel 1966 fu Pietro Ingrao, in pieno XI con-' gresso del Pei, a violare la solenne ritualità unanimistica corroborando il suo discorso dalla tribuna con una formula di dissenso che farà storia nella sinistra italiana: «Non sarei sincero se dicessi a voi che sono rimasto persuaso». Una formu¬ la contorta e allusiva, ma che allora, con quell'accenno alla sincerità giocata contro il fetic¬ cio dell'unità, il dubbio contro le certezze granitiche, l'etica della convinzione in contrasto con la mistica del Partito com¬ patto e monocorde, suonò, e venne accolta, come una sen¬ tenza dissacrante. E perciò quel congresso fece storia. Fece storia s perché era il primo congresso senza Togliat¬ ti, il primo dove si espresse un radicale dualismo tra Ingrao e la «destra» di Giorgio Amendo¬ la, dove si spianò la strada alla guerra interna contro «gli ingra- iani», dove si incubò il dissenso «frazionistico» e passibile di «radiazione» del manifesto. Ba¬ stò quella frase a segnare una svolta nello stile dei congressi comunisti. Nel solco di una storia della sinistra in cui l'ap¬ puntamento congressuale ha funzionato frequentemente co¬ me palcoscenico di contrasti così aspri da sfociare nella coreografia scissionistica e nel¬ l'addio risentito. Fu così nel congresso socialista di Livorno del 1921 quando i delegati «co¬ munisti» che si rifanno all'inse¬ gnamento di Lenin e della rivo¬ luzione d'Ottobre abbandonaro¬ no il Teatro Goldoni, si raduna¬ rono al Teatro San Marco per dare vita al Partito comunista d'Italia. Fu così nel gennaio del 1947, quando la corrente social¬ democratica di Giuseppe Sara- gat, contraria al patto unitario con il Pei, lasciò il congresso romano del partito socialista (che allora si chiamava Psiup) per riunirsi nelle sale del palaz¬ zo Barberini e dare vita al nuovo partito. Per poco, pochis¬ simo, non fu così nel congresso del Psi del 1963 che doveva ratificare la scelta del governo insieme alla Democrazia cristia¬ na. Vittorio Foa e Tullio Vec¬ chietti, Lelio Basso e Lucio Libertini imboccarono la stra¬ da scissionistica del Partito so¬ cialista d'unità proletaria (di nuovo, Psiup) soltanto nel gen¬ naio del '64, quando si oppose¬ ro al voto parlamentare per il centro-sinistra. Ma quel con¬ gresso fu aspro e drammatico, a cominciare dal contrasto sem¬ pre più drastico con la sinistra di Riccardo Lombardi che pure decise di non imbarcarsi nel¬ l'impresa psiuppina destinata ad esaurirsi qualche anno più tardi, inghiottita nell'imponen¬ te corpaccione di Botteghe Oscure. Eventi estremi, scissioni con¬ sumate, rotture immedicabili. La frequenza delle spaccature che hanno terremotato la sini¬ stra non è certo sufficiente a includere ogni divisione come preludio di scissioni, ma ad agitare lo spettro della scissio¬ ne come maledizione perenne sulla storia della sinistra italia¬ na, questo sì. In fondo, le vicen- de congressuali dei socialisti sono da sempre costellate di scontri irriducibili tra compo¬ nenti appesantite da inestingui¬ bili rancori reciproci. E se da parte comunista si è sempre visto con sussiego, se non con esplicito o malcelato disprezzo, il disordinato agitarsi «sponta¬ neistico» dei fratelli separati del socialismo italiano, ora che i Ds a Pesaro saranno chiamati a ratificare il loro finale conge¬ do con il purgatorio del post-co¬ munismo e il definitivo ricon- giungimepto con la storia e gli ideali del socialismo, sembra quasi fatale che i terremoti congressuali entrino a far parte del destino dei nuovi entrati nella casa socialista. E a qualcu¬ no potrà addirittura affiorare nei ricordi l'evocazione del con¬ gresso socialista del 1912 di Reggio Emilia, quando al giova¬ ne estremista Mussolini riuscì il capolavoro di coinvolgere il «riformista» Filippo Turati nel¬ la lotta frontale contro la «de¬ stra» di Bissolati e Bonomi, «rei» di aver approvato l'impre¬ sa libica dell'Italia. Beffa crude- le, e rappresaglia della sorte, perché esattamente dieci anni dopo, alla vigilia della marcia su Roma, l'istinto cannibalesco e autolesionista del socialismo italiano si materializzò, nel con¬ gresso di Roma, nell'espulsione di Treves, Modigliani e proprio di quel Turati che di fronte agli scissionisti comunisti di Livor¬ no ebbe modo di pronunciare parole profetiche sulla natura tirannica del mondo venerato dai seguaci italiani di Lenin. I quali seguaci di Lenin, e anche della «via italiana al socialismo» propugnata da To¬ gliatti nel 1956 in un congres¬ so, l'ottavo, destinato a liquida¬ re ogni residuo di insurreziona- lismo incarnato nella figura anatemizzata di Pietro Secchia, guardavano alle convulsioni dei socialisti con un misto di compatimento e di superiorità. Quei socialisti che, a Venezia nel 1957, ratificarono la scelta «autonomista» voluta da Pietro Nenni, ma ingabbiandola nel reticolo soffocante degh appara¬ ti «frontisti» che vinsero la battaglia congressuale degli or- ganigrammi e delle poltrone per depotenziare il dinamismo nenniano. Quei socialisti che, nel 1972, accompagnarono l'ascesa alla segreteria di Fran¬ cesco De Martino con una spie¬ tata campagna (in singolare convergenza con la stampa osti¬ le al Psi) contro Giacomo Manci¬ ni. Perciò il fenomeno Craxi ven¬ ne accolto con stupore. Insieme alla sinistra di Claudio Signori¬ le, il leader che era diventato segretario del partito con la disperazione del «primum vive¬ re» e con la manovra dell'hotel Midas schiacciò dissensi e per¬ plessità nel congresso di Torino del 1978 dove venne imposto il nuovo simbolo del garofano (tra le proteste di Tristano Codi- gnola che intravedeva in quel fiore stilizzato una inquietante somiglianza con il fungo' della bomba atomica) e relativo rim- picciolimento, foriero di future soppressioni, della tradizionale falce e martello. Cominciò da allora la lunga sequenza dei congressi'tìociallsti che; trtTelfe- ' zioni per acclamazione, organi¬ smi pletorici ribattezzati da Roberto Cassola «il coro muto della Butterfly», tempietti e piramidi, sancirono la suprema¬ zia assoluta di Bettino Craxi sulla litigiosa famiglia sociali¬ sta. E rappresenterà ben più di una coincidenza il fatto che la prima, evidente incrinatura del potere egemonico di Craxi ebbe modo di esprimersi in un altro congresso, quello di Bari del 1991, in cui il caldo appiccico¬ so, le irrequietezze incontenibi¬ li del «delfino» e un tempo fedelissimo Claudio Martelli e l'aperta sfida di Claudio Signori¬ le, che portò nell'arena congres¬ suale il rumore assordante di una poderosa claque personale, denunciarono i primi segni di crisi di un primato indiscutibi¬ le da quasi quindici anni. Quel congresso socialista, l'ultimo dello strapotere craxia- no nella sinistra socialista, era del resto avvenuto quando già in casa comunista s'era consu¬ mato il dramma deUa fine del Pei con il successvo parto- del nuovo Pds. Una sequela di con¬ gressi, quella che sopraggiunse dopo la svolta occhettiana della Bolognina, che attenuò nei ri¬ cordi l'impatto di un congresso, il primo e l'unico dell'era Natta dopo la morte di Enrico Berlin¬ guer, dove Achille Occhetto ven¬ ne retrocesso dal ruolo di «vice¬ segretario» a quello di «coordi¬ natore», vittima dei mal di pancia della destra cosiddetta «migliorista». Memorabile il congresso del 1990 a Bologna in cui la tensione di scontri anche sul piano umano durissimi si sciolse infine nel pianto di Oc¬ chetto. E memorabile anche quello di Rimini del 1991, in piena guerra del Golfo che san¬ zionò la fine del Partito comuni¬ sta e la nascita del Partito democratico della sinistra con il simbolo della Quercia, ma non risparmiò agli osservatori la rabbia di Alessandro Natta, la scissione di Rifondazione comunista (annunciata in una mesta conferenza stampa da quattro dirigenti dei quali due , scomparsi. Libertini e Garavi- ni, e due, Cossutta e Ersilia Salvato, in rotta con la forma¬ zione bertinottiana che di Ri¬ fondazione comunista porta il nome), e soprattutto lo schiaffo umiliante che l'apparato volle riservare ad Occhetto, mancato segretario nel congresso rimine- se per una manciata di voti. Davvero non è una novità, nella storia della sinistra italia¬ na, l'interminabile spettacolo dei congressi divisi. Cent'anni di dibattiti tra scissioni e cambi di linea annunciati in modo sibillino o esplosivo, come quando Ingrao nel '66 ruppe i riti togliattiani Da Livorno 1921 fino al dramma del Psiup passando per la separazione saragattiana di Palazzo Barberini e le malizie del centralismo democratico Craxi dopo il Midas conobbe le irrequietezze dei delfini nella Bari appiccicosa del '91 E Occhetto si mise a piangere a Bologna, tra duri scontri personali e l'addio dei rifondatori ln alto: un'immagine del congresso socialista di Livorno che nel 1921 vide la scissione comunista Sopra: Bettino Craxi, sudato e sulla difensiva, alza un mazzo di garofani al congresso di Bari del '91. Sarebbe stata l'ultima assise del Psi A destra: il pianto di Achille Occhetto al congresso comunista del 1990 a Bologna, al termine di un durissimo scontro sul futuro del partito che avrebbe portato alla nascita del Pds