La capitale conquistata senza battaglia di Mimmo Candito

La capitale conquistata senza battaglia La capitale conquistata senza battaglia mujaheddin: divideremo il potere. Con loro consiglieri Usa Mimmo Candito inviato a PESHAWAR Era stata una notte affollata, di gente che nel buio d'una città senza luce si muoveva come fanta¬ smi in affanno. E ora «Vittoria», cantava il soldatino senza barba nella sua divisa nuova, offerta 15 giorni fa dalla Russia. «Vittoria», e dall'alto del blindato che avanzava lento sventolava il ritratto di Ah- med Shah Massud buonanima. L'alba era passata da poco, Kabul si svegliava all'improvviso libera. E dal fondo di chissà quale nasco¬ sta merceria tirava fuori musica e tamburelli, dopo sei anni di un obbligato silenzio puritano. I tale¬ ban erano scappati via, durante la notte; furtivi, perfino silenziosi, ma via tutti, i turbanti neri, i turbanti bianchi, i loro pick-up, le loro barbe d'un Medio Evo antico, la loro polizia religiosa. Tutti, non ne era rimasto nemmeno uno. Era stata ima notte lunga, feb¬ brile, lo svuotamento d'ima intera città fatto nel silenzio di strade popolate solo dai centomila cani di Kabul. Ora i soldati dell'Alleanza nelle loro divise nuove regalate da Putin (che è uno che i regali sa a chi farli,eperché) s'affacciavano incre¬ duli ai crocevia vuoti. Ma com'è potuto accadere. Mai, nelle guerre moderne, s'era vista una battaglia simile, dove in poche ore - appena lo spazio d'una giornata - un mon¬ do intero crolla trascinando via perfino la spiegazione delle cose. I soldati dell'Alleanza del Nord af¬ fondavano dentro il vuoto; più andavano avanti, e più il Paese gli si spalancava come una pianura all'improvviso deserta. L'Afghani¬ stan taleban, l'universo misterio¬ so, segregato dal mondo, chiuso nel rigore arcaico d'un Islam zelo- ta, era diventato un residuo di storia lontana. Nemmeno Schwar- zkopf con Saddam era stato tanto rapido e tanto efficace. La guerra è finita, ma la guerra continua. E non potrebbe essere altrimenti. L'Afghanistan è un Pae¬ se di tradizioni feroci, ogni volta che il potere cambia di mano (di etnia, di colore politico, di vassal¬ laggio feudale) l'assassinio gratui¬ to, il massacro, si fanno un dovere obbligato. «Non possiamo control¬ lare la situazione», ha detto con amarezza a Islamabad la portavo¬ ce delle Nazioni Unite, Stephanie Burker. Ma quale controllo: a Ma- zari-i-Sharif cento giovani tale¬ ban, ragazzi appena arruolati, so¬ no stati ammazzati a sventagliate di mitra, nell'aula della scuola dove s'erano appena rifugiati; e a Kabul e a Herat restano stesi sulla strada decine di corpi di taleban intrappolati in una fuga troppo ritardata. Sono brandelli d'una cro¬ naca che nei prossimi giorni si farà ancora più amara, perché i conti da regolare sono molti e hanno radici che affondano nel tempo. Abdallah, ministro degli Esteri del govemo afghano (finora) in esilio, ha offerto ieri la faccia buo¬ na, certamente consapevole che il record della sua coalizione al tem¬ po in cui governò l'Afghanistan fu uno dei più tragjci della storia dei Paesi civili. «Noi abbiamo invitato l'Onu a mandare a Kabul i suoi team, per aiutarci nel processo di pace», ha detto nella sua prima conferenza stampa tenuta nella città appena liberata. Forse parla¬ va di team tecnici, o di quei milita¬ ri americani che lo stesso Rum- sfeld ammetteva come presenti in città «con funzioni di assistenza». La proposta, comunque, non suo¬ nava molto diversa dalle parole che ad Ankara stava pronunciando il presidente pakistano Mùsharraf, e si allargava fino a disegnare il ' piano di «un govemo aperto a tutte le forze del Paese, esclusi però i taleban». Solo che da Roma il re Zahir Shahfaceva intanto conosce¬ re tutta la sua amarezza per il «tradimento» dell'Alleanza, entra¬ ta in Kabul violando l'accordo di, prima, formare un govemo e sol¬ tanto dopo prendere la città. Se di tradimenti si tratta, l'Afghanistan è tutto una storia a carta carbone. Kabul è appena «liberata» ma già cominciano le liti. Come sem¬ pre: i taleban, quando arrivarono dieci anni fa, si guadagnarono il potere e il consenso della loro gente soprattutto perché impone¬ vano un principio di «law and order» in un Paese ch'era ormai il regno del banditismo, tra guerre di fazione combattute a colpi di can¬ nonate. Ora che il tempo dei tale¬ ban è tramontato, tornano le vec¬ chie gelosie, gli odi faziosi: e subito lo schieramento dei soldati con la divisa nuova è parso riproduire, dentro Kabul, il principio della spartizione per zone d'influenza, - da una parte i tagiki, dall'altra gli uzbeki, un terzo posto anche per gli hazarai I Pashtun invece - quelli rimasti, comunque - si pren¬ dono per ora bastonate e pedate davanti alle telecamere (in attesa che, quando le telecamere sono passate via, finiscano la loro vita con un colpo sparato a bruciapelo). Un antico proverbio .pashtun dice che «il cieco conosce la pro- pria casa come nessuno». Chi sa di Afghanistan, non ha difficoltà a riconoscere nell'esodo improvviso dei taleban da Kabul un progetto strategico, la realizzazione di un disegno di resistenza che tende a creare un «conflitto di bassa inten¬ sità» di tipo nuovo, dove, per la prima volta nella storia delle guer¬ re modeme, gli americani siano la preda e non più i cacciatori. E le montagne aspre di questo Paese sono il terreno della nuova guerra. Non sarà facile: a Kandahar, roccaforte del califfo Omar, pare ci siano scontri duri tra fazioni tale- . ban, l'aeroporto sarebbe stato occu¬ pato dai «dissidenti»; e questo è il primo segno d'una rottura che potrebbe cambiare, anche presto, il futuro del Paese. Omar, di cui. s'era perduta ogni traccia in questi giorni, è comunque tomato alla luce, con uno dei suoi più brillanti proclami: «Combattete, combatte¬ te, invece di scappare; mi sembra¬ te i polli che stamazzano mentre gli tagliano la gola». Fonti pakista¬ ne dicono che il mullah, come pure Bin Laden, è in Afghanistan, nella zona compresa tra Kandhar e Jala- labad. Del presidente afghano de¬ posto nel settembre 1996, Burha- nuddin Rabbani, la Tv satellitare araba «al-Jazira»si dice invece che tornerà nella capitale oggi. Bin Laden e il mullah Omar sarebbero a Kandahar. Dal suo nascondiglio il leader del regime striglia i suoi con un proclama «Combattete invece di scappare» Profughi afghani fuggiti dai bombardamenti e dai taleban assiepati alle porte di Kabul attendono dagli uomini dell'Alleanza del Nord l'autorizzazione a rientrare nella capitale

Persone citate: Abdallah, Bin Laden, Jala, Putin, Rabbani, Shah Massud, Stephanie Burker, Zahir Shahfaceva