Chi ha paura di Amendola ? di Pierluigi Battista

Chi ha paura di Amendola ? ANTIFASCISTA E ANTICOMUNISTA, DOVREBBE ESSERE DI GRAN VOGA. UN'ANTOLOGIA NE RESTITUISCE IL PENSIERO Chi ha paura di Amendola ? Liberale dimenticato da tutti Pierluigi Battista GIOVANNI Amendola è pre¬ sente nei libri di storia come un autorevole padre del¬ la Patria e nei suoi confronti non viene certo lesinato il «do¬ veroso encomio al martire del¬ la libertà», come annota Anto¬ nio Carioti nel saggio introdut¬ tivo alla nuova antologia di pagine amendoliane In difesa dell'Italia libera. Scritti e di¬ scorsi politici (1910-1925) (Edi¬ zioni Liberal Libri). Eppure è singolare, rileva ancora Cario¬ ti, che la figura di Amendola non animi discussioni sul suo pensiero visto che «un così strenuo difensore del liberali¬ smo dovrebbe essere di gran voga, oggi che quasi tutti si proclamano liberali». Inoltre «un così illustre ante¬ signano del Partito d'Azione dovrebbe calamitare un'assi¬ dua attenzione, visto che il dibattito sull'azionismo, qua¬ lunque cosa si pensi delle diver¬ se tesi a confronto, resta tutto¬ ra vivo e palpitante». E invece che cosa si registra? Mentre figure come Piero Gobetti, Car¬ lo Rosselli ed Emesto Rossi sono al centro di riscoperte, celebrazioni, accese polemiche che non accennano ad attenuar¬ si, Giovanni Amendola viene confinato in una posizione va¬ gamente museale nella galleria delle figure illustri del Nove¬ cento, senza che ne venga mes¬ sa in luce l'estrema attualità. Come mai? La risposta di Carioti, che sulla polemica a proposito del- l'azionismo ha appena manda¬ to in libreria un .volumetto degli Editori Riuniti intitolato Maledetti azionisti, è che con Amendola il gioco dell'appro¬ priazione postuma, dell'annes¬ sione tardiva molto in voga nella comunità politico-intel¬ lettuale italiano appare straor¬ dinariamente più ardua perché quella'del protagonista della battaglia dell'Aventino è una «figura per molti versi anoma¬ la, difficile da inquadrare negli schemi ideologici, di destra e di sinistra, dettati dalla dilagante pigrizia mentale». Amendola difficilmente catalogabile, e dunque anche fatalmente stru¬ mentalizzabile, perché non ri¬ sponde ai pregiudizi e ai luoghi comuni che sovente inquinano le discussioni sul Novecento italiano. Da una parte «si sten¬ terebbe a trovare un anticomu¬ nista più fermo e risoluto di lui, eppure le camicie nere lo perseguitarono ferocemente, fi¬ no a provocarne la morte». Ma dall'altra «il profilo del leader aventiniano non corrisponde affatto alla visione codificata dell'antifascismo progressista, che tende a svalutare le istitu¬ zioni dell'Italia liberale, inter¬ preta il movimento mussolinia- no innazitutto come reazione di classe e postula il dialogo tra tutte le forze del Cln». La figura di Amendola è insomma quella, spiega Carioti con una tesi destinata inevita¬ bilmente a suscitare letture polemiche, di un antitotalita¬ rio coerente e senza smagliatu¬ re, disposto a combattere con pari determinazione il totalita¬ rismo comunista e quello fasci¬ sta. Appare quindi molto più di una coincidenza il fatto, rileva¬ to da Carioti anche sulla scorta di una interpretazione del pen- siero amendoliano fatta pro¬ pria da uno studioso tedesco come Jens Petersen, che fu proprio Amendola a usare per la prima volta nella letteratura non solo italiana ma mondiale la definizione di «totalitario» applicata al fascismo. Proprio di quel fascismo che ai suoi primordi viene addirit¬ tura salutato da Amendola nel 1920 come «una logica reazio¬ ne difensiva all'attacco bolsce¬ vico» ma che in seguito, insie¬ me ai tanti esponenti della cultura liberale, da Croce a Albertini che sperarono per un momento di «costituzionalizza- re» il movimento delle camicie nere una volta ristabilito l'ordi¬ ne minacciato dalla «rivoluzio¬ ne» verrà interpretato e com¬ battuto come un movimento antitetico alla democrazia, illi¬ berale in ogni sua fibra, porta¬ tore di una concezione autorita¬ ria dello Stato che ben presto dispiegherà la sua forza distrut¬ tiva sull'insieme degli istituti del vecchio Stato liberale post- risorgimentale. Le pagine di Amendola scel¬ te per questa nuova antologia sembrano corroborare la tesi di Carioti. E del resto, il curato¬ re della silloge amendoliana ricostruisce il percorso dei «due azionismi» che prenderan¬ no forma e che divideranno gli azionisti seguaci del pensiero di Amendola e quelli maggior¬ mente influenzati dalla lezione di Piero Gobetti: gli eredi del¬ l'uno e dell'altro, spiega infatti Carioti, avrebbero trovato un momento di unità «nella breve stagione della Resistenza per scindersi inevitabilmente subi¬ to dopo la Liberazione e poi divenire spesso fieri avversari: grosso modo - perché i percorsi individuali furono assai più variegati- gli "amendoliani" so¬ stennero la scelta occidentale dell'Italia, mentre i "gobettiani" si opposero al cen¬ trismo e finirono per fiancheg¬ giare il Pei». Ciò che resta di Amendola è la lezione antitotalitaria di Amendola che aveva capito che «il fascismo era "l'esasperazione malata e fanta¬ stica" della pretesa, contenuta in forma ancor più estrema nel bolscevismo, di sottoporre ogni aspetto della vita umana al controllo del potere politico, in linea con una tendenza inna¬ ta alla società di massa». Da qui la vicinanza, dopo un lungo periodo di gelo, di Amendola con il socialismo di Turati, immune dalla «malattia totali¬ taria». Da qui la difficile classi- ficabilità di un pensatore politi¬ co che il pensiero liberale ha per troppo tempo trascurato. Giovanni Amendola con il figlio Giorgio e, a sinistra, con un gruppo di Aventiniani

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