Panico nella capitale, migliaia dì fuggìaschi di Mimmo Candito

Panico nella capitale, migliaia dì fuggìaschi CINQUE ANNI DOPO LA TRIONFALE PRESA DEL POTERE DA PARTE DEGLI «STUDENTI DI DIO» Panico nella capitale, migliaia dì fuggìaschi Lunghi convogli di pick-up verso Kandahar, covo di Omar e Bin Laden reportage Mimmo Candito inviato a PESHAWAR Et un esodo, la fuga da Kabul dei taleban. Un esodo che pare biblico, d'un popolo di turbanti neri che abbandona confuso la città e punta verso le montagne del Sud. Una guerra s'avvia verso la sua fine, un'altra guerra si prepara a nascere. E' probabile che non sia breve. La giornata che sta portando a chiudere questa stòria lunga vent'anni è cominciata presto nel mattino, alle 5.30, quando il passag¬ gio dei B-52 nel cielo già limpido di Kabul non si è spento con l'eco lontana delle bombe che cadevano sulla linea delle trincee, verso Ghlay Nasro. Il tuono sordo che arrivava dal Nord si è prolungato senza fine, quasi irreale. Non era più soltanto il bombardamento che viene giù, or¬ mai puntuale ogni mattino, da alme¬ no dieci giorni; adesso si aggiungeva¬ no in una coda ininterrotta gli scop¬ pi, le esplosioni ripetute, dell'arti¬ glieria che tirava dalla piana di Shomali. C'erano decine di tank e di cannoni da 155 mm. che sparavano i loro colpi giù dalle vallate del Panjshir, e il fumo e la terra che si alzavano verso il cielo facevano una cortina immobile nell'aria. Erano anni che non accadeva, Kabul s'era abituata a guardare tranquilla verso Nord. Ora il vento della guerra era cambiato. Quasi contemporeanamente, den- tro la città le strade hanno comincia¬ to a riempirsi con un ritmo febbrile, inusuale in un tempo com'è questo, di bombe e di morte. Mentre i taxi gialli se ne stavano ancora fermi nelle loro inutili attese di passeggeri che non ci sono, i pick-up dei tale¬ ban hanno preso a scorazzare rapida¬ mente, taghando gl'incroci, sgom¬ mando con violenza. Non c'erano più i check-point che in questo mese di guerra - e soprattutto nell'ultima settimana - hanno tenuto sotto con¬ trollo rigido la vita di Kabul; erano spariti all'improvviso, nella notte. E i pochi testimoni che ora facevano da spettatori a questo carosello, nella geografia spettrale d'una città distrutta dalle bombe dei mujahed¬ din, raccontano di una tensione nuo¬ va. «Non era la sohta tracotanza dei taleban e dei loro pick-up, ora la velocità era come una scelta obbliga¬ ta. E i taleban seduti sui cassoni, con i loro mitra sempre al fianco, aveva¬ no la faccia buia di chi a ben altro pensa». L'esodo era cominciato. Presto è diventato una colonna quasi initer- rotta che s'allungava dentro la stra¬ da del Sud, in una processione che il fondo sconnesso, divorato da buche e fossi, faceva lenta assai più delle intenzioni di chi si lasciava alle spalle la città. Son giusti 5 anni che i taleban erano diventati i padroni di Kabul: l'avevano sottratta alla guer¬ ra feroce che i mujaheddin si combat¬ tevano tra di loro, tutti contro tutti, scannandosi e ammazzandosi in un carnaio che ora il puritanesimo folle dei taleban ha fatto dimenticare ma ch'è stato, in quegli anni, una delle più disgraziate storie che il nostro tempo abbia potuto raccontare. So¬ no stati 5 anni di silenzio irreale, di chiusura d'un paese alla storia del mondo, in una geografia segregata che calpestava i diritti umani come solo il tempo di un nuovo Medio Evo avrebbe saputo fare. E ora finiva, in questa fuga ormai dentro il sole pieno della mattinata. A Kabul fino a ieri c'erano quasi 20.000 taleban, i pashtun delle ma- drassa del Beluchistan, ma anche gli «arabi» di Osama, i ceceni, gli uiguri della Cina, i pakistani della nuova jihad; non tutti hanno abbandonato la vecchia capitale, Kabul non è ancora «città aperta». Ma la fuga era ieri una coda impressionante di pick- up. L'accompagnava un polverone denso, pesante, che si alzava e s'al¬ lungava come una coda di nuvole gialle appiccicate al terreno. La stra¬ da verso Kandahar è una pista sfon¬ data, dove si procede a passo d'uo¬ mo; il convoglio lento e sfocato doveva apparire come un corteo funebre. Chi ricorda le immagini lontane di Muttla Ridge, la collina dove tra Bassora e Kuwait City migliaia di auto e di blindati trasfor¬ marono in un cimitero immane la fuga degli iracheni dall'avanzata de¬ gli americani di Schwarakopf , ed era il tempo della Guerra del Golfo, il 28 febbraio del 1991, chi ricorda quel fotogramma tragico trovava ieri, nella fuga dei taleban, la stessa angosciosa ricerca d'una via di scam¬ po. Tuttavia l'esodo da Kabul non pare ancora una scelta senza speran¬ za. I taleban che ieri hanno comincia¬ to ad abbandonare la città messa sotto assedio dal Fronte Unito lascia¬ vano Kabul per Kandahar, abbando¬ navano la capitale afghana per ricon¬ giungersi nella capitale talebana. Non pare ancora il tempo della nascita di un «Pashtunstan», però i turbanti che ieri affollavano i casso¬ ni dei pick-up in fuga verso Sud raccontavano anche l'avvio d'una spartizione etnica che rischia di spaccare l'antica coesione nazionale dell'Afghanistan. Il gen. Gul, il «pa¬ dre» del movimento dei taleban, non crede a una sconfitta tanto rapida degli «studenti di Allah», al crollo improvviso di un regime che fino a poche ore fa sembrava comunque solido, capace di reggere l'urto dei nemici di sempre, i tagiki, gli uzbeki, gli hazara: «I taleban hanno sempre detto che avrebbero aspettato sulle montagne i loro avversari, come in passato avevano fatto con i soldati britannici, come negh Anni Ottanta i mujaheddin hanno fatto con i solda¬ ti dell'Armata Rossa, come loro vo¬ gliono fare oggi con gli americani e gl'inglesi». Forse ci riusciranno, ma forse la storia non si ripete sempre uguale a se stessa. Hamid Karzai, ch'è stato uno dei più ammirati generali dei mujaheddin nella guerra ai sovietici e che ora è nascosto da qualche parte dentro le montagne del «Pashtunstan» per convincere i capi delle tribù che un tempo è finito per sempre e che ora è arrivata l'ora di appoggiare 0 progetto nazionale di re Zahir, ha detto ieri dal suo nascon- diglio: «Forse non dovremo nemme¬ no combatterla, la guerra contro i taleban. Loro non hanno capito che la gente è stufa, e che la loro presa sul paese si è allentata in misura irricuperabile. Ormai i taleban sono una storia chiusa». Il lento convo¬ glio dei taleban ha marciato verso Kandahar.per tutto il giomo. Quan¬ do la notte è arrivata, Kandahar per molti era ancora lontana. Verso Kabul: un carro armato dell'Alleanza del Nord durante una sosta nell'avanzata sulla capitale

Persone citate: Bin Laden, Di Dio, Hamid Karzai, Quan, Ridge, Zahir