Uno sguardo diretto suirorrore

Uno sguardo diretto suirorrore L'11 SETTEMBRE È STATO UN EVENTO INAUDITO, CHE NON SOPPORTA DI ESSERE CONDANNATO DI PASSAGGIO Uno sguardo diretto suirorrore Claude Lanzmann 1 L mio film Sobibor, 14 octo- bre 1943, l'6 heures è stato I presentato al Festival di New York 1' 11 ottobre, un mese esatto dopo «il trionfo della morte» nelle Torri gemelle del World Trade Center - «the disa- ster», come dicono gli america¬ ni. Il racconto di Yehuda Ler- ner, eroe della rivolta di Sobi¬ bor, santifica la vita, in modo as¬ soluto, nel cuore di un altro regno della morte qua¬ le era un campo di sterminio nazi¬ sta. Con un gesto di libertà fonda¬ trice, animati da un coraggio vera¬ mente sovruma¬ no, Lemer e i suoi compagni si riappropriano la violenza e uc-. cidono per mettere fine al mas¬ sacro degli innocenti. Gli spetta¬ tori newyorkesi hanno compre¬ so che il film, senza averlo voluto, era rivolto proprio a loro. Il giorno prima, provenendo da Nord, avevo sorvolato nel cielo di un blu straziante, lumi¬ noso e terso, la costa america¬ na, la baia di Boston e l'aeropor¬ to di questa città di mare dalla quale, l'Il settembre, in un mattino identico, pacìfico e glo¬ rioso, era decollato Moham- med Atta. Occorrono meno di tre quarti d'ora per collegare Boston a Newark o al Kennedy Airport, e io me lo immaginavo ai comandi dell'apparecchio di cui lui e gli altri fanatici religio¬ si si erano impadroniti, scaglia¬ to a 600 chilometri l'ora verso la torre Nord che ora poteva scorgere svettare sulla punta di Manhattan, scintillante firma dell'avventura e del genio uma¬ ni. Bisogna interrogarsi, stupir¬ si senza posa: che cosa succede nell'ultimo secondo, nell'istan¬ te estremo, prima che l'aereo si trasformi in una vorticosa pal¬ la di fuoco; sì, cosa passa nella testa di questi donatori di mor¬ te, talmente amanti della mor- te da immolare se stessi per provocare la più tenificante delle carneficine? Sono rimasto per ore a guardare le foto di Mohammed Atta e Ziad Jar- rahi. I loro volti glabri e chiusi non forniscono alcuna rispo¬ sta. Le consegne e le parole d'ordine negli attimi che prece¬ dono il passaggio all'azione ren¬ dono tutto ancora più nebulo¬ so: apri la tua anima e lucidati le scarpe, fascia bene e proteggi il tuo sesso. Può essere riassun¬ ta così, senza tradirla, la mono¬ tona, lugubre e insulsa litania delle ultime raccomandazioni. Le settanta vergini che attendo¬ no, nel paradiso di Allah, i sessi calcinati dei suicidi assassini non enunciano altro che il ver¬ gognoso desiderio e l'odio verso le donne, oltre all'irrimediabile deserto delle «civiltà dei fratel¬ li» (cfr. l'Algeria). L'Il settembre fu, alla lette¬ ra, un avvenimento inaudito, disumano, odioso, che non sop¬ porta di essere condannato indi¬ rettamente, di passaggio, con una genuflessione affrettata, come per sbarazzarsene al più presto per tornare oscenamen¬ te alle vecchie litanie. Anch'io non credo che i bombardamen¬ ti sull'Afghanistan siano la ri¬ sposta appropriata, e non ho alcuna difficoltà a scriverlo, visto che posso annoverarmi tra le minoranze che denuncia¬ rono gli attacchi contro la Ser¬ bia. Ma quelli che, dopo un simile crimine, un tale omici¬ dio di massa, un disastro che colpisce l'umanità intera, si af¬ frettano a proclamare che non sono «americani» o sembrano mettere sullo stesso piano as¬ sassini e vittime, cercando di giustificare l'ingiustificabile, re¬ citare il mea culpa e il nostro - ciò che ho chiamato, in altre occasioni, un neopétainismo rampante - quelli, è il meno che si possa dire, sono incapaci di volgere sull'orrore uno sguardo diretto, si rifugiano nella peg¬ giore futilità nel momento stes¬ so in cui pretendono pensare e, comunque sia, legittimano il terrorismo. Hanno visto costoro, ai quat¬ tro angoli di New York, gli immensi pannelli mobili coper¬ ti dalle foto dei 6000 dispersi, dagli annunci di ricerca dispera- ti dei parenti che non vogliono rassegnarsi? Nella maggioran¬ za dei casi, si tratta di povera gente, portoricani, messicani, cinesi, haitiani, arabi. Ma «la resistenza alla globalizzazione commerciale», per riprendere la formula tristemente parodi¬ stica di un appello «lanciato da 113 intellettuali francesi» (Le Monde del 22 ottobre), merita forse che si faccia il conto dei profitti e delle perdite di questo dolore infinito, come ai miglio¬ ri tempi del Sapere assoluto. È vero che gli stessi dichiara¬ no di condannare «senza ambi¬ guità» i crimini dell'I 1 settem¬ bre. Si rendono conto, costoro, della sinistra comicità di que¬ sto «senza ambiguità»? Ma è l'appello nel suo insieme, con il suo vecchio antimperialismo meccanico e la spossante ripeti¬ tività degli etemi firmatari, tornati al loro odio originario, quello verso Israele, più colpe¬ vole di Bin Laden, responsabile di averlo generato, unico re¬ sponsabile, perché no, che mo¬ stra la loro totale incapacità di affrontare la radicale novità dell'avvenimento. Il loro antim¬ perialismo svanirebbe sicura¬ mente d'incanto se un giorno - Dio non voglia - la Nato o gli Stati Uniti sganciassero le loro bombe su Israele. Regista, direttore della rivista ies temps modernei © Le Monde (Traduzione del Gruppo Logos) «Anch'io non credo che i bombardamenti sull'Afghanistan siano la risposta appropriata Ma quelli che mettono sullo stesso piano assassini e vittime legittimano il terrorismo» Le macerie del Word Trade Center a New York. A lato II regista Claude Lanzmann

Persone citate: Bin Laden, Claude Lanzmann, Kennedy Airport, Mohammed Atta, Yehuda Ler, Ziad Jar