FOTOREPORTER la camera scura di Rocco Moliterni

FOTOREPORTER la camera scura DAI MITICI ROTOCALCHI ALLA SVOLTA DI OGGI: ULIANO LUCAS SCRIVE PER EINAUDI LA PRIMA STORIA DEL FOTOGIORNALISMO IN ITALIA FOTOREPORTER la camera scura Rocco Moliterni ^TVT ON esistono foto belle o S^L il foto brutte: solo foto prese da vicino o da lontano». Questa frase di Robert Capa, uno dei gran¬ di fotoreporter del '900, fondatore con Cartier-Bresson dell'agenzia Magnum, campeggia sul sito inter¬ net di Luciano del Castillo. Del Castillo ha 41 anni, è nato a Paler¬ mo, fa il free-lance ed è autore dell'ormai celebenima immagine di una dimostrante in kefiah che scaglia una pietra durante i giorni del G8 a Genova. «A Genova - racconta - mi son preparato per giorni su Internet, cercando di capi¬ re chi c'era e chi non c'era e cosa stava per succedere. Mi ha colpito quella ragazza che davanti a un muro di lacrimogeni sembrava dan¬ zare cercando le pietre da scaglia¬ re». Del Castillo fa parte della genera¬ zione di fotogiomalisti («ma sono un reporter all'antica, di strada, mi piace camminare per ore») che sta vivendo o megho ha già vissuto il passaggio «epocale» dalla pellicola al digitale. «Quando ho iniziato - ricorda - più di vent'anni fa, aL'ora di Palermo, il "digitale" era ancora im sógno è si córreva negli aeropor- ti^^prégare qualche passeggero o qualche hostess, àfBnché portasse¬ ro il rullo a destinazione. Il digitale ha rimesso in corsa i fotografi, dopo l'avvento della tv». Questo momento di passaggio sembra offrire l'occasione opportu¬ na a Uliano Lucas, imo dei maestri italiani, per tirare le fila sullo «stato delle cose», in una professione spes¬ so mitizzata, ma poco conosciuta: sta ultimando per Einaudi, la pri¬ ma Storia del fotogiorncdismo in Italia, che uscirà l'anno prossimo. Se oggi è più facile mandare le proprie immagini dappertutto in tempo reale, il lavoro del fotorepor¬ ter rimane un lavoro quasi «sotto- traccia», sono le agenzie a raccoglie¬ re e a smistare le immagini, sono loro a dettare in qualche modo legge. «Ma questo è sempre succes¬ so, anzi un tempo era ancora peg¬ gio. - spiega Lucas - A differenza che in America o in altri paesi, il fotoreporter in Italia non ha mai avuto un vero status. Da noi il fotogiornalismo nasce tardi, alla vigilia della seconda guerra mon¬ diale. Nei giornali non c'è mai stata davvero ima cultura dell'immagi¬ ne». Non a caso la figura del photo- editor, che poi sarebbe quello che davvero sceglie e pensa le immagi¬ ni è un'araba fenice. «Io - spiega Giovanna Calvenzi, photoeditor al settimanale della Gazzetta dello Sport, e prima a Specchio - sono una sorta di miracolata, perché riesco a fare questo lavoro. Ma si contano sulla punta di una mano i photo-editor in Italia. Non esistono nel contratto di lavoro giornalisti¬ co, non esìstono nella macchina dei giornali, dove ciascuno è geloso del proprio potere e considera il photo- editor una sorta di intruso». Sono stati proprio Lucas e la Calvenzi a ripercorre la storia del fotogiomalismo in Italia, pochi gior¬ ni fa a Treviso in occasione della mostra su Federico Patellani, il fotoreporter che documentò, tra l'altro, la ricostruzione post-bellica e i primi concorsi di bellezza. Patel¬ lani faceva parte della «squadra» di Tempo, il settimanale fondato e diretto a Milano da Alberto Monda¬ dori, nel '39, che contava su perso¬ naggi come Bruno Munari, Alberto Lattuada, Salvatore Quasimodo. Tempo con i suoi reportage arrivò a vendere milioni di copie, era tradot¬ to in varie linque, tra le quali anche il portoghese e il croato. Ma non si può dimenticare, in quegli anni, neppure Omnibus di Leo Longane¬ si, die diceva, scherzando, «sono fascista per scappare dai fotogra¬ fi». Dopo la guerra Tempo riprende¬ rà le pubblicazioni sotto la direzio¬ ne di Arturo Tofanelli e segnerà un'epoca del fotogiomalismo. Anni gloriosi: a Milano ci saranno Oggi, Epoca e Gente, a Roma giornali come il Mondo prima e l'Espresso poi daranno spazio ai fotoreporter. Sono gli anni della Dolce vita e i paparazzi diventano di moda. «In realtà - precisa Lucas - in quegli anni il fotogiomalismo ha pia per¬ so. Perché la generazione deifotore- porter uscita dalla gueira era forte¬ mente ideologizzata e poco si adat¬ tava alle esigenze dei rotocalchi che volevano solo evasione». Poi a dare il colpo quasi mortale alla professione sarà il dilagare della tv. Un po' di spazio ci sarà dagli Anni 80 con il nascere dei supplementi dei quotidiani. «Un tempo - dice ancora Calvenzi - i fotografi della Magnum quando si incontravano su qualche servizio scherzavano dicendo che non erano lì per un reportage ma per fare un libro: oggi, purtroppo, è spesso la realtà». Fatta da nomi a volte famosi, a volte rimasti sconosciuti, la storia del fotogiomalismo italiano è stata comunque grande, anche se poco valorizzata e indagata. Le colpe non sono solo degli editori o di chi fa i nomali. «In Italia non ci sono scuole, molti arrivavanoal fotogior¬ nalismo per caso. Da un'inchiesta degli Anni 70 risultava che la gran¬ de maggioranza di chi faceva quel lavoro non aveva che la licenza media», dice ancora Lucas. Cosi è difficile che i fotoreporter italiani riescano a «esportare» le loro imma¬ gini, l'Italia è anche in questo cam¬ po paese di importazione: con rare eccezioni, come Francesco Zizola, unico italiano vincitore, nel '96, del World Press Photo, il Nobel della fotografia, che dal '55 premia la migliore foto d'attualità dell'anno. Oggi poi alle difficoltà già esi¬ stenti si aggiungono problemi buro¬ cratici: «C è in giro gente - diceva Gianni Berengo Gardìn, uno dei nomi storici della fotografia italia¬ na, in una recente intervista a La Stampa - che pensa di fare soldi alle spalle dei fotografi. Magari fa pazzie per essere ripresa dalla tv, ma se si trova su un giornale è capace di farti cause milionarie». Paradossalmente però il biso¬ gno di immagini pensate, di appro¬ fondimento, sembra aumentare an¬ ziché diminuire: «Ne abbiamo avu¬ to la dimostrazione con gli attenta¬ ti di New York. - spiega ancora la Calvenzi - Abbiamo visto le Tórri Gemelle crollare in tv decine di volte nello stesso giorno, ciò nono¬ stante gli speciali fotografici che settimanali e quotidiani, in Italia come all'estero, hanno dedicato al¬ l'avvenimento sono andati a ruba». Forse, come dimostrano anche i giorni del G8, c'è comunque biso¬ gno di immagini che aiutino a capire: «perché ogni fotografia, in fondo - dice Luciano Del Castillo, è una piccola poesia, quando la fai ci metti dentro il tuo sguardo, il tuo cervello, i film che hai visto e i libri che hai letto, e questo difficilmente una ripresa televisiva te lo può dare». I settimanali illustrati avevano tirature di milioni di copie poi è venuta la crisi legata all'avvento della tv. Oggi con il G8 a Genova o gii attentati di New York sembra nascere una nuova esigenza di immagini che aiutino a capire A destra un'immagine di scontri nel '68 di Uliano Lucas. Al centro una foto di Luciano Del Castillo realizzata nei giorni dei G8. Sotto Beivi (Nu), 1950, di Federico Patellani.