Negli ultimi cinquecento anni sono scomparse a metà delle lingue: e non ce ne siamo accorti

Negli ultimi cinquecento anni sono scomparse a metà delle lingue: e non ce ne siamo accorti Negli ultimi cinquecento anni sono scomparse a metà delle lingue: e non ce ne siamo accorti A lingua che parliamo è un fondamento essenziale della nostra esistenza. At- » traverso la lingua noi defi¬ niamo il mondo che ci circonda, lo classifichiamo, lo descrivia¬ mo, diamo voce alla nostra fantasia, affermiamo la nostra identità. Le lingue stanno alla base dei popoli, sembrano dav¬ vero essere i veri pilastri delle culture, solidi, robusti, ai quali affidare la comunicazione quoti¬ diana, la storia, la scienza, l'ar¬ te, la religione. Non a caso ci sono approssi¬ mativamente 6000 lingue nel mondo e 200 nazioni, che signi¬ fica che il plurilinguismo è esi¬ stente più o meno ovunque. Il vocabolario che ognuno di noi utilizza è anche l'inventario de¬ gli elementi che la sua cultura ha categorizzato per dare senso al mondo in cui vive. Eppure nulla è più fragile di una lingua. E' sufficiente una generazione perché una lingua scompaia. Ce lo dimostrano i figli degli emigrati che, a dispetto dei loro italianissimi cognomi, non co¬ noscono una parola della loro lingua patema. E le lingue scom¬ paiono forse più in fretta di quanto pensiamo. Negli ultimi cinquecento anni sono scompar- se circa la metà del¬ le lingue del mondo e non ce ne siamo nemmeno . accorti. Non ce ne siamo ac¬ corti perché a scom¬ parire sono lingue di piccoli gruppi ai margini dell'impero economico-culturale dell'Occi¬ dente. E' una sorta di allarme quello lanciato da Daniel Nettle e Su- zanne Romaine nel loro libro Voci del silenzio. Sulle tracce delle lingue in estinzione, una ricca e accurata analisi sullo stato delle lingue del mondo e sulla loro sempre più rapida scomparsa. Le cifre sono preoc¬ cupanti. Per dare un esempio, gli Stati Uniti sono una vera e propria tomba di idiomi: delle circa 300 lingue parlate all'arri¬ vo di Colombo ne restano oggi in vita 175 e perlopiù parlate da piccoli gruppi marginah. Ricordiamo tutti quella pub¬ blicità ambientalista che più o meno diceva "Quest'anno ci sia¬ mo giocati l'Austria'-, sbattendo¬ ci in faccia quanti ettari di boschi avevamo distrutto negli ultimi mesi. Ecco oltre a piante e animali ogni anno scompaio¬ no anche molte lingue. Spesso gli ambientalisti sono più presi dalla difesa della natura che delle culture, ma il rapporto tra le due cose è intrìnseco e indis¬ solubile. Gh autori del libro RECENMA SIONE co me mettono in eviden¬ za la distribuzione tutt'altro che unifor¬ me delle lingue nel pianeta. Se osservia¬ mo una mappa lin¬ guistica balza agli occhi come esistano aree del pianeta do¬ ve la densità di lingue parlate è decisamente superiore. Il 40Zo della popolazione parla il 6007o delle lingue del mondo e queste piccole isole linguistiche sono perlopiù ammassate nelle regio¬ ni tropicali, le stesse regioni che peraltro presentano anche il tasso di biodiversità maggiore. A una maggiore varietà di specie naturali sembra quindi coincidere una corrispettiva va¬ rietà linguistica. Ecco che allo¬ ra la metafora biologica adotta¬ ta da Nettle e Romaine appare quanto mai calzante. A queste Babeli tropicali si contrappon¬ gono vastissime regioni caratte¬ rizzate invece da una bassa intensità di variazioni di stock linguistici. L'Africa e l'Eurasia, per esempio, entrambe segnate da una storia che ha visto vaste espansioni di pochi gruppi che hanno imposto matrici linguisti¬ che dominanti. Se nella storia remota il movimento deUe popo¬ lazioni era infatti causato più da motivazioni ecologiche, co¬ me la ricerca di nuove terre, successivamente sono state le invasioni a spostare masse di individui da una regione all'al¬ tra. Infatti, la metafora biologi¬ ca viene messa in crisi dagli stessi autori quando arrivano a identificare le cause di questa disparità. Il darwinismo non è applicabile alle culture e non tiene conto della storia. La scomparsa di molte lingue e la conseguente omogeneizzazione del pianeta sono il risultato di tassi di cambiamento disuguali e di azioni di potere. Non si tratta infatti della "sopravvivenza del più adatto", al contrario, con le lingue se ne è andata anche molta "scienza". L'imposizione di lingue "colte" ai popoli indigeni ha fatto sì che scomparissero saperi locali, classificazioni di animali e pian¬ te che le nostre lingue non sono in grado di mettere in atto. E questa sempre maggiore espan¬ sione deUe lingue dominanti è causa d'impoverimento, se non fosse che gh innumeri slang locali, per fortuna propongono continue innovazioni e ci offro¬ no nuovi modi di esprìmerci. Ma il rìschio esiste, la cancel¬ lazione continua e il perìcolo ora sappiamo qual è. E l'allarme più efficace sta forse in una frase di William Guppy, che sta nell'epigrafe del primo capitolo: "La maggior fiarte di noi ha la sensazione che non potremo mai arrivare ad estinguerci. An¬ che i Dodo avevano questa sen¬ sazione". Perché ad estinguersi sono gli idiomi di piccoli gruppi ai margini ' dell'impero economico e culturale dell'Occidente: ma ciò provoca la perdita di saperi diversi, un impoverimento per tutti RECENSIONE Marco Alme O. Nettle e S. Romaine Voci del silenzio. Sulle tracce delle lingue in estinzione trad. di Federico Laudisa. Carocci, pp. 275, L 39.000 SAGGIO

Persone citate: Carocci, Daniel Nettle, Federico Laudisa, Nettle, Romaine, William Guppy

Luoghi citati: Africa, Alme O., Stati Uniti