IL CAIRO Fra due sponde

IL CAIRO Fra due sponde I VOLTI DIVERSI DELL'ISLAMISMO IL CAIRO Fra due sponde reportage inviato al CAIRO NATI al Cairo venerdì 2 no¬ vembre: Mansour, Gamal, Ibrahim, Mohammed, Galal, Ab- dellatif, Mohammed, Michel... Nessun Osama, a prima vista. E' che ci vorrebbe un giorno a con¬ trollare tutti i nomi. I giomah non hanno spazio per pubblicarli. Se ne occupa l'apposito ministero della Popolazione. Sono quasi mil¬ le; imo ojpi cento secondi. Preghiera del venerdì ad Al Ahzar, la moschea più grande, l'università più antica. L'imam: «A nostro vero implacabile nemi¬ co sono gli americani e gh ebrei. O Dio, maledici tutta la terra degh ebrei». Coro di fedeh, migliaia e migliaia, piena la sala della pre¬ ghiera, pieni i cortili, piena la piazza: Eniml, amen. «Che gh ebrei siano disprezzati da tutto il mondo. Che siano distrutte le loro case. Che siano sconfitti dal popolo musulmano, 0 Dio, unisci tutti i fratelli musulmani, fai vincere tutti i fratelli musulmani dappertutto». Emin! «In tutti i Paesi». Compreso l'Afghanistan, certo. Emin! «E comunque, o Dio, benedici i passi del nostro presi¬ dente Mubarak». Emin! ' Editoriale di «Al Abram». Lo firma il direttore, Ibrahim Nafie, monumento del giornalismo ara¬ bo. Logo della sua rubrica in prima pagina: «Bi-hodu, con cal¬ ma». Titolo: «Che vuole il "Washington Post"?». «I giomah americani continuano la loro campagna di aggressione all'Egit¬ to. Il "Washington Post" attacca i giomah egiziani perché scrivono che la cosiddetta guerra al terrori¬ smo si è mutata nella distruzione del popolo afghano. Che vuole il "Washington Post"? Perché non scrive che gh americani lanciano i viveri sui campi minati? Perché scrive che io sono vicino a Muba¬ rak, mentre sono direttore dai tempi di Sadat? Non sa che in Egitto non è il presidente a nomi¬ nare i direttori?». Cominciamo da qui. Dalla guer¬ ra tra giomah. Segno di una guerra più profonda tra l'Egitto e l'America, tra il Paese guida del mondo arabo e il Paese guida dell'Occidente. E segno dell'ambi¬ guità egiziana, che lo scomparso Lutfy el-Khouly, l'intellettuale nasseriano imprigionato da Nas¬ ser, sintetizzava così: «Su quat¬ tro focacce che mangiamo, tre le paga l'America. Eppure, gh egizia¬ ni odiano l'America». E' più o meno quel che hanno scritto il «Washington Post» e il «Wall Street Journal», ricevendo repli¬ che ora astiose, ora ragionate, e quindi rivelatrici. Come quella di Nafie. «Al Abram», Le Piramidi, è il più grande e autorevole quotidia¬ no arabo. Il giornale di Mahfouz. Oltre 600 redattori, un polo edito¬ riale, un centro di ricerche e studi strategici. Nell'atrio della sede c'è un mosaico. Raffigura il volto del direttore Nafie. Lungo le sca¬ le, foto del direttore alternate a quelle di Mubarak; altrimenti, roto del direttore e Mubarak insie¬ me. In redazione -bellissima - molti giornalisti hanno sul desk la loro foto con il direttore. E la pensano come lui. Non si pieghe¬ rebbero mai alle rozzezze degh altri quotidiani governativi: «El Gomhouriya», die attribuisce agli ebrei l'invenzione di un chewing-gum destinato a «rimbe¬ cillire jp arabi» e l'invio oltre Suez di maliarde sieropositive per «(infettare gh arabi», e «Al Akhbar», secondo cui le critiche dei giomah americani «sono scrit¬ te sotto dettatura della lobby ebraica». Ad esempio l'icona del giornalismo liberal, Amina Sba- fik, protofemminista - «nel '52 fui la prima donna nella storia della mia famiglia ad andare a vivere da sola con un uomo» -, scrittrice, editorialista, si guarda dal parla¬ re di lobby ebraica. «Gh ebrei sono miei cugini. No, è la lobby sionista a ispirare gli attacchi dei giomah americani contro l'Egit¬ to. L'America sta esagerando. Se sei davvero il più potente, non puoi permetterti l'arroganza; al¬ trimenti non sei un padre, sei un gangster. Spero che gh americani sconfìggano i taleban, ma escano dalTAfghanistan molto indeboli¬ ti». E Nabli Abdelfattah, esperto di strategia, columnist, saggista: «Certo che la lobby ebraica ha un ruolo in questa storia. Ma è l'Ame¬ rica a enfatizzare di proposito i nostri contrasti religiosi, i rischi di instabilità, per taghare fuori gh egiziani, gli arabi, dalla gestio¬ ne deha crisi». L'antiamericanismo non è esclusiva degh integralisti, o del popolo. Ha conquistato le éhtes; sempre che non venga da lì. Ha saldato le nostalgie per Nasser e i fervori per Allah. Una canzone popolare dice: io odio Israele, io amo Amr Mousse, il ministro degh Esteri anti-israeliano. Sicco¬ me non lo era abbastanza (e faceva ombra a Mubarak, cui la canzoncina non piacque) è stato sistemato alla Lega araba e sosti¬ tuito nel cuore del presidente dal consighere Usama el-Baz, che quando parla in inglese dice «Americans», ma quando parla in arabo «yankees». E sono egiziani, e spesso membri dell'elite, i terro¬ risti che fecero esplodere il caccia¬ torpediniere Cole nel porto di Aden, Mohammed Atta capo del¬ l'attacco a New York, Ayman al-Zawahiri il medico braccio de¬ stro di Bin Laden. E' egiziana, ammonisce Abdelfattah, la men¬ te del terrorismo islamico intema¬ zionale: «Dopo gh attacchi ai turisti e la durissima repressione di Mubarak, la Jihad ha cambiato tattica. Non colpisce più dentro l'Egitto, ma fuori. Ha attinto ai petrodollari sauditi, ha ibridato AI Qaeda e altre organizzazioni. L'obiettivo però è lo stesso: far pressione sul regime del Cairo». Far pressione, in un redime, è l'unico modo di far pohtica. Lo sanno bene i Fratelli musulmani, ufficialmente fuorilegge, in real¬ tà attivissimi tanto quanto il Par¬ tito nazionalista democratico al .potere è morto, soffocato dalla corruzione. Il loro capo, Maamun Hodibi, riceve al primo piano di una palazzina di periferia, offre caffé turco e Sprite, ed è una buona metafora dell'ambiguità egiziana: imprigionato per sette anni da Nasser, liberato, nomina¬ to presidente della Corte d'Appel¬ lo del Cairo, perseguitato, eletto in Parlamento, e ora privato del passaporto. Assicura che i Fratel¬ li musulmani «sono per la demo¬ crazia, il multipartitismo, la fine del regime, le elezioni libere»; forse perché ovunque si voti libe¬ ramente, ad esempio per i sinda¬ cati, hanno la maggioranza, an¬ che tra medici, avvocati, ingegne¬ ri. Giura che «rispettiamo la liber¬ tà della donna, compresa quella di sceghere il proprio uomo, pure a didotto anni se crede. Come? Prima del matrimonio? No, da - noi il fidanzamento non esiste». Trova che in effetti Mubarak è ambiguo, perché in patria dice una cosa e ah'estero im'altra, che «l'Europa invece dice sempre di sì ah'America», che «il Congresso americano è dominato dagh ebrei» e cosi «Osama bin Laden, che di per sé è un uomo qualun¬ que, lasciato solo a combattere l'arroganza americana sta diven¬ tando per la nostra gente un eroe». Ancora più ambigua è la predi¬ ca dell'imam di Al Ahzar, però. Che elencando i precetti per l'im¬ minente Ramadan - «preparate¬ vi, perché il giorno del giudizio è vicino, l'anno è diventato un me¬ se, il mese è diventato una setti¬ mana, la settimana è diventata un giorno, il giorno è diventato un'ora» - maledice di passaggio «alladud, gh americani, el yadud, gh ebrei, el beratanien, gh ingle¬ si», e benedice appunto Mubarak, che va predicando ben altro. Di tutte le contraddizioni, i bambini denutriti e i ristoranti italiani sul Nilo che hanno per nome un sinonimo di bello (si varia da Carino a Splendido), le signore con pantaloni Cavalli e borsa Cucci (autentica) e le vecchie che dormono neUe tombe della dttà dei morti - spettacolo noto ma da non dimenticare -, quella del Raiss è la più grande. Presidente da ventisette regge, a Sharm, Alessandria, Luxor, Assuan, uni¬ co superstite nel ricambio dinasti¬ co nel Medio Oriente, il primoge¬ nito Gamal può attendere; presi¬ dente da vent'anni di potere, battuto il record di Nasser, vent'anni di legge marziale, di lager e di pohzia segreta, che non getta via niente neanche le sche¬ dature dei morti; presidente che, per quanto scriva Nafie, attraver¬ so il Consiglio di consultazione nomina pure i direttori di giorna¬ li. Come tutti i regimi, anche quello egiziano sviluppa il senso dell'umorismo popolare, la politi¬ ca di Mubarak viene definita «ben lakh», espressione che allu¬ de per assonanza a Bin Laden ma vuol dire: sì, ma. Sì ai due miliar¬ di di dollari versati ogni anno dagh americani, ma no ai diritti civili, vietati gh assembramenti, vietato l'ingresso alla moschea alle barbe degh integralisti (una ventina respinti venerdì dalla po¬ lizia), vietate le manifestazioni antioccidentali. Tranne che al¬ l'università, unico luogo dove è consentita la libera espressione del pensiero (che consiste essen¬ zialmente nel rogo di bandiere americane), e forse per questo è presidiata da celerini nubiani, neri anche nel casco e nelle divi¬ se. Anche qui c'è qualcosa di ambiguo, le ragazze sono quasi tutte velate, ma la devozione non esclude la seduzione, velo e telefo¬ nino, velo e occhiah scuri, velo e Nike, velo e unghie laccate; rari i chàdbi-rraWi tàpelli sii v&itó', che p* 'reno sguardi di ammirazione e riprovazione insieme; i ragazzi portano basette alla Del Piero; nessuno ha con sé un libro, tutti passano correndo sullo scalone che un nano gobbo ha l'incarico di lustrare a ogni passaggio, ora¬ rio 7-14, stipendio di 70 pounds, 35 mila lire al mese. Ed è dura, aerché il passaggio è continuo, 'università è strapiena come le moschee, l'aeroporto, gli ospeda- h, le strade, l'Egitto scoppia, un lento brusio sale a qualsiasi ora del giorno e deha notte dalle viscere del Cairo verso le finestre dei grandi alberghi semi vuoti pro¬ tetti dai metal-detector; sono gh egiziani che si riprendono anche i luoghi del turismo, veh dapper¬ tutto alle piramidi, davanti al tesoro di Tutankhamon, e tra il verso del muezzin e degli auto¬ bus ci dev'essere anche il vagito dei mille bambini che nasceran¬ no oggi al Cairo. Lo scontro trai giornali è segno di un conflitto più profondo fra l'Egitto, Paese guida del mondo arabo, e l'America che guida l'Occidente L'antiamericanismo non è esclusiva degli integralisti o del popolo Ha conquistato le élites, ha saldato le nostalgie per Nasser e i fervori per Allah Sono egiziani molti dei terroristi Quando parla in inglese il consigliere di Mubarak dice«Americans», ma quando parla in arabo dice «yankees» Le ambiguità della borghesia si riflettono in quelle del presidente all'insegna del «sì, ma» A sinistra, una veduta del Cairo In basso, la moschea di Al Ahzar, la più grande della città