MEA CULPA I dubbi, a pace, e nostre identità

MEA CULPA I dubbi, a pace, e nostre identità * - - -^ ' '-l:' ■^■■'■•■•■■■' '■■IL---^ ■■■■:— RISPONDEAI SUOI CRITICI MEA CULPA I dubbi, a pace, e nostre identità DALLA PRIMA PAGINA Barbara Spinelli Mettiamo che Arafat abbia in mente una deportazione degh ebrei fuori dalle loro terre. Un modo sicuro per secondarlo è quello di dare tempo al tempo: dunque non fare nulla, aspetta¬ re che sia lui a fare la prima mossa. Dal suo punto di vista, sempre che abbia in mente la distruzione di Israele, sarebbe la soluzione ideale: gh basterebbe aspettare. Quello che mi preoc¬ cupa nehe lettere e negh articoli dei miei critici è la scarsa inquie¬ tudine che essi sembrano prova¬ re per la sorte effettiva degh abitanti d'Israele. H fatto è che non c'è tempo per discutere sull'orgoglio degh ebrei e sulla vera giustizia. Israele è condan¬ nata a fare il primo passo, pro¬ prio perché più matura e più razionale delle éhte arabo-pale¬ stinesi, pena una catastrofe. Ma il vero punto controverso riguarda la natura delle colpe israeliane, e se esistano colpe, e se le éhte pohtiche e religiose - in Israele e fuori - siano disposte ad alcuni atti di contrizione o ripensamento. Atti certamente difficili, perché nulla di simile sembra venire da parte palesti¬ nese o araba. Ma atti ineludibili, e che non possono ridursi alle prese di posizione isolate di alcuni storici eterodossi, peral¬ tro malvisti nel mondo accade¬ mico israeliano, come Tom Se- gev o Benny Morris. Sono le classi dirigenti (pohtici, rabbini) che a mio parere potrebbero utilmente aiutare Israele e l'ebraismo a uscire dall'età dei miti, e a entrare nella nuda storia dei fatti. Nella storia dei fatti non esi¬ stono persone o popoh esenti da colpe, errori. Né si capisce come mai Israele dovrebbe, unico, sot¬ trarsi a quest'umana ventura. È il motivo per cui ho parlato di mitologìa ebraica, e di un'antica tendenza a vivere nella metasto- ria piuttosto che nella storia: storia che è sempre fatta di cadute e riprese, errori e corre¬ zioni, dogmatismi e ritomo alla razionalità. Uno dei miti che mi sono apparsi ricorrènti è quello dell'antisemitismo etemo, che caratterizzerebbe la storia ebrai¬ ca dai tempi della distruzione del Tempio ad opera dei romani, nel 70 d.C, ai giorni d'oggi. Mito temibile, perché esso mgenera l'illusione - come diceva Han¬ nah Arendt - di «un'identità ebraica eternamente buona, la cui monotonia è stata turbata solo dall'altrettanto monotona cronaca di persecuzioni e di pogrom». Ne consegue l'incapacità di tanti israeliani di guardare la propria storia passata, e non solo passata. Penso in particola¬ re alla genesi di Israele e ai rapporti tra ebrei e palestinesi, fin dall'inizio inesistenti o im¬ possibili. E penso anche a vicen¬ de recenti: al dilatarsi di un integralismo ebraico che non di rado è sfociato nel terrorismo, entrando in una dialettica mici¬ diale col terrore palestinese ; alla condiscendenza di tanta parte della diaspora verso i molti rab¬ bini che in Israele propugnano l'integralismo e ne legittimano le violenze. L'eccidio perpetrato dal medico colono Baruch Gold- steìn nella moschea di Hebron, il 25 febbraio '94 (29 morti, tutti in preghiera come i 16 protestan¬ ti trucidati da fanatici islamici in Pakistan, il 28 ottobre scorso) è stato approvato da un certo numerò di rabbini, alcuni dei quah hanno addirittura chiama¬ to Goldstein «santo vendicato¬ re». Le omelie del rabbino Yus- suf Ovadia a Gerusalemme pren¬ dono regolarmente di mira l'Islam e i «serpenti musulma¬ ni»: «Dio si è pentito di aver creato gh arabi», ha detto il 5 agosto 2000, senza esser condan¬ nato dai principali rabbini della diaspora. È la ragione per cui ho suggerito un mea culpa non solo verso i palestinesi ma anche verso l'Islam, non senza sperare che il mea culpa venga un giorno anche dai palestinesi e dal¬ l'Islam. Ma le obiezioni più forti ri¬ guardano la nascita dì Israele, e la guerra successiva alla procla¬ mazione deUo Stato jd 14 maggio '48. Molti lettori sono convinti . anche in questo caso che l'inno¬ cenza sia tutta dalla parte dì Israele, e le colpe tutte da parte degh arabi-palestinesi, che avrebbero ((rifiutato» di convive¬ re con gh ebrei. Alcuni ripropon¬ gono addirittura roriginarìo mi¬ to sionista di un ((popolo senza terra in una terra senza popolo», quasi che la Palestina fosse un paese vuoto quando gli ebrei cominciarono a trasferirvisi nel- l'800. La verità dei fatti è diver¬ sa dalla leggenda su cui Israele ha costruito la propria identità. La pohtica dì espulsione e spes¬ so deportazione dei palestinesi non è successiva all'offensiva militare degh stati arabi, il gior¬ no dopo la proclamazione dello Stato, ma la precedette, nel cor¬ so di quella che Benny Morris, in un lucido libro sulla nascita dì Israele, chiama la guerra civile nella Palestina sotto mandato britannico (Benny Morris, Le Vìttime, Rizzoh 2001). L'esodo dì circa 700.000 pale¬ stinesi dai villaggi, prima e du¬ rante la guerra, non nacque da una strategia araba di rifiuto delle buone intenzioni israelia¬ ne. Fu attizzata da attentati terroristici ebraici (condotti a Haifa dalla Banda Stem e dall'Jr- gun di Begin) ma innanzitutto da un eccidio, a Deir Yassin il 9 aprile '48, che costò la vita di 350 civili e che si incuneò come un incubo nelle memorie palesti¬ nesi e arabe, fin dall'esordio della guerra scoppiata nel mag¬ gio '48. Sono fatti noti, prima ancora che i nuovi storici israe- ata a fare rché hani h riscoprissero. Nell'otto¬ bre 1948, in una lettera al diretr tore di Commentary, Judah Ma- gnes, presidente dell'Università ebraica, fu il solo a ergersi con¬ tro il mito della piccola nazione incolpevole: «Se gh arabi di Pale¬ stina hanno abbandonato i loro territori "volontariamente", sot¬ to l'urto della propaganda araba e in preda a un autentico panico, non si può dimenticare che l'ar¬ gomento più potente, in questa propaganda, era la paura di una ripetizione deUe atrocità com¬ piute dal gruppo Irgun-Stem a Deir Yassin, dove le autorità ebraiche furono incapaci di pre¬ venire l'azione o di punire i colpevoh, o non vohero farlo». Fu Magnes stesso a porre, fin da allora, la questione morale: «Ogni tentativo di affrontare una situazione umana tanto am¬ pia da un punto diverso da quello umano e morale ci porterà in un pantano». E an¬ cor oggi è crucia¬ le per Israele dar¬ si quella legitti¬ mazione etica che allora vacil¬ lò, per tanti ebrei e non ebrei. D'al¬ tronde questo è vero sèmpre: non si può agire né governare senza fare appello alla coscienza, spe¬ cie la propria. L'idea stessa di morale non ha senso al di fuori di una qualche visione della colpa, o della responsabilità per gh sbagli commessi. È in questo quadro che ho accennato al cristianesimo catto- hco, come modello europeo di apprendimento dagli errori e di responsabilizzazione personale. E non per sosteneme la superio¬ rità o irreprensibilità, o per spin¬ gere gh ebrei a conversioni o acculturazioni, ma solo per co¬ statare come un solo monotei¬ smo sia stato capace di una secolarizzazione autentica, mu¬ tando strutture e^ natura della propria religione. È la tesi soste¬ nuta dall'orientalista Bemard . Lewis, secondo cui Islam e ebrai¬ smo sono, da questo punto di vista, più simili di quanto si creda. C'è da domandarsi se l'ebrai¬ smo sia in grado di affrontare simile secolarizzazione, ma per quanto riguarda il passato la risposta è negativa. La stessa Aujklàrung ebraica (l'età dei Lu¬ mi che faceva capo a Moses Mendelssohn) fece una scelta di secolarizzazione - propugnando la separazione tra potere civile e religioso, l'indipendenza deUa cultura dalle certezze della fede - ma i suoi esponenti si sentiro¬ no costretti a abbandonare l'or¬ todossia, anche quando conser¬ varono la consapevolezza deUe proprie origini. È quello che sostiene Hannah Arendt: «Il lai¬ cismo e il sapere laico furono identificati esclusivamente con la cultura non ebraica, cosicché a questi ebrei non venne mai in mente di avviare un processo di secolarizzazione relativo alla lo¬ ro stessa eredità». Accadde in tal modo che l'eredità spirituale della religione di Mosè divenne più che mai monopolio dei rabbi¬ ni. Un altro punto dolente è quel¬ lo che concerne la doppia lealtà nella diaspora. L'espressione è magari infelice e me ne scuso ma non è, la mia, un'argomenta¬ zione antisemita. Inquietudini analoghe - sulla società tribale che può nascere da un multicul¬ turalismo legalistico - furono formulale da Raymond Aron e, nel 1996, dallo storico dell'arte Ernst Gombrich, in un discorso che suscitò scandalo perché ne¬ gava l'esistenza di una specifica cultura ebraica in Europa («Que¬ ste definizioni preferisco lasciar¬ le alla Gestapo: io parlo di cultu¬ ra europea»). Invece di indignarsi conver¬ rebbe forse chiedersi cosa signifi¬ chi oggi essere ebrei. So che non esiste praticamente risposta, ma un tentativo lo si può fare. Secondo molti, e io tenderei a aderire a tale posizione, è essen¬ zialmente una fede religiosa. Il resto - razza, popolo nazionale, legame di sangue - è tutta mate¬ ria incandescente, alla luce dei nazionalismi e di Auschwitz. Per quasi due millenni, la Terra è stata di fatto marginale nel pensiero ebraico. Era sostituita dal Libro. E certo si può capire il nazionahsmo ebraico, dopo la catastrofe immane che sono sta¬ ti i Lager. Si può capire anche la crisi della religione: per alcuni Dio velò il proprio volto e perfi¬ no scomparve, nella cenere dei forni. Ma siamo sulla terra per inter¬ rogare e interrogarci, e anche l'identità di un popolo o una rehgione possono divenire ogget¬ to di indagine. Ci si può doman¬ dare se non sia nazionahsmo etnico, quello che resta del¬ l'ebraismo. Se le sue forme non siano perniciose, nella pohtica israeliana come palestinese, an¬ che il giorno in cui fra i due Stati s'innalzerà quel muro che tanti auspicano, illudendosi che esso scioglierà ogni nodo di ieri e di oggi. Pernicioso perché in ambe¬ due i casi lo sciovinismo si coUega al concetto religioso di popolo eletto. Ci si può domanda¬ re se Israele e la diaspora faccia¬ no bene a vedere il mondo come raffigurazione di un antisemiti¬ smo etemo, e se sia giusto che la shoah continui a essere elemen¬ to fondante deh'ebraismo sta¬ tuale e spirituale. Infine ci si può chiedere se gh ebrei non siano in qualche modo affezionati al proprio dolore: paradossalmente, a forza di chia¬ marlo destino, molti di loro di¬ menticano il pericolo concreto che hanno di fronte. Ci si può chiedere se l'antisemitismo non sia durevolmente divenuto un «elisir di vita» (Lebenselìxier), come lo chiamava Theodor Her- zl quando fondò il sionismo: una minaccia che conferisce identità ah'ebreo, quasi più della preghie¬ ra. Sono, domande che questa polemica giornahsta ha reso an¬ cora più attuali, ed è il motivo per cui vale la pena sforzarsi insieme e tentare di attenuare il timore di tanti pensatori ebrei: il timore che l'ebraismo abbia bisogno di crearsi sempre nuove emergenze, per provare la pro¬ pria esistenza individuale o col-, lettiva. Il timore che non ci sia più il cavaliere, dentro l'armatu¬ ra vuota. Israele è condannata a fare il primo passo, perché più razionale delle élites arabe, pena una vera catastrofe La politica di espulsione e deportazione dei palestinesi non è successiva all'offensiva militare dei paesi arabi, dopo la proclamazione dello Stato di Israele ma la precedette, nel corso di quella che Benny Morris chiama la guerra civile nella Palestina sotto mandato britannico LPA I ntità ta a fare ché 1 hani h riscoprissero. Nell'otto¬ bre 1948, in una lettera al diretr ore di Commentary, Judah Ma- gnes, presidente dell'Università ebraica, fu il solo a ergersi con¬ tro il mito della piccola nazione ncolpevole: «Se gh arabi di Pale¬ stina hanno abbandonato i loro territori "volontariamente", sot¬ to l'urto della propaganda araba e in preda a un autentico panico, non si può dimenticare che l'ar¬ gomento più potente, in questa propaganda, era la paura di una ripetizione deUe atrocità com¬ piute dal gruppo Irgun-Stem a Deir Yassin, dove le autorità ebraiche furono incapaci di pre¬ venire l'azione o di punire i colpevoh, o non vohero farlo». Fu Magnes stesso a porre, fin da allora, la questione morale: «Ogni tentativo di affrontare una situazione umana tanto am¬ pia da un punto diverso da quello umano e morale ci porterà in un pantano». E an¬ cor oggi è crucia¬ le per Israele dar¬ si quella legitti¬ mazione etica che allora vacil¬ lò, per tanti ebrei e non ebrei. D'al¬ tronde questo è vero sèmpre: non si può agire né governare senza fare appello alla coscienza, spe¬ cie la propria. L'idea stessa di morale non ha senso al di fuori di una qualche visione della colpa, o della responsabilità per gh sbagli commessi. È in questo quadro che ho accennato al cristianesimo catto- hco, come modello europeo di apprendimento dagli errori e di responsabilizzazione personale. E non per sosteneme la superio¬ rità o irreprensibilità, o per spin¬ gere gh ebrei a conversioni o acculturazioni, ma solo per co¬ statare come un solo monotei¬ smo sia stato capace di una secolarizzazione autentica, mu¬ tando strutture e^ natura della propria religione. È la tesi soste¬ nuta dall'orientalista Bemard Lewis, secondo cui Islam e ebrai¬ smo sono, da questo punto di vista, più simili di quanto si creda. C'è da domandarsi se l'ebrai¬ smo sia in grado di affrontare simile secolarizzazione, ma per quanto riguarda il passato la risposta è negativa. La stessa Aujklàrung ebraica (l'età dei Lu¬ mi che faceva capo a Moses Mendelssohn) fece una scelta di secolarizzazione - propugnando la separazione tra potere civile e La politdi espule depordei palestinesi successiva all'omilitare dei paedopo la procladello Stato di Isma la precedetnel corso di quche Benny Mochiama la guernella Palestina sotto mandato britannico religioso, l'indipencultura dalle certez- ma i suoi esponenno costretti a abbantodossia, anche quavarono la consapevproprie origini. È sostiene Hannah Arcismo e il sapere identificati esclusivla cultura non ebraa questi ebrei non vmente di avviare unsecolarizzazione relro stessa eredità». Amodo che l'ereditdella religione di Mpiù che mai monoponi. Un altro punto dolo che concerne la dnella diaspora. L'emagari infelice e mma non è, la mia, unzione antisemita. analoghe - sulla soche può nascere daturalismo legalistiformulale da Raymnel 1996, dallo stoErnst Gombrich, inche suscitò scandagava l'esistenza di cultura ebraica in Este definizioni prefele alla Gestapo: io pra europea»). Invece di indignrebbe forse chiederschi oggi essere ebreesiste praticamenma un tentativo loSecondo molti, e iaderire a tale posizizialmente una federesto - razza, popolegame di sangue - ria incandescente, nazionalismi e diPer quasi due milleè stata di fatto mpensiero ebraico. Edal Libro. E certo sinazionahsmo ebracatastrofe immane ti i Lager. Si può cacrisi della religioneDio velò il proprio vno scomparve, nellforni. Ma siamo sulla terogare e interrogal'identità di un porehgione possono dito di indagine. Ci sidare se non sia netnico, quello chel'ebraismo. Se le susiano perniciose, nisraeliana come palche il giorno in cui fs'innalzerà quel muauspicano, illudendscioglierà ogni nodoggi. Pernicioso per