Modernità

Modernità Modernità Gobetti-Casorati allo specchio AVEVA scrit¬ to a Prezzoli- ni, lasciando Torino per l'esilio, per Parigi, do¬ ve di lì a poco sareb¬ be morto, neanche venticinquenne, al culmine di ima vita pubblica tanto breve quanto pro¬ digiosa: per iniziare «mi basta un tavolo, il telefono e i quadri di Casorati». Nell'immediato secon¬ do dopoguerra, sulle «dignitose colline» di Pavarolo, il Maestro avrebbe a sua volta riconosciuto l'indispensabilità dell'amico leg¬ gendario, di Piero Gobetti, r«ar- cangelo della Rivoluzione libera¬ le»: «Che sarebbe oggi Gobetti in quest'Italia vinta, dilaniata e prostrata, nave senza nocchiero in gran tempesta? Non sarebbe stato egli forse il nocchiero?». «Piero Gobetti e Felice Casora¬ ti, 1918-1926». Un sodalizio che si rinnova nel torinese Archivio di Stato (la mostra é a cura - egregia - di Maria Minuta Lam- LA MODESETTBruno Q berti, mentre il catalogo Electa ha l'impronta non meno autore¬ vole di Rosanna Maggio Serra). Un'amicizia tenace, nel segno della modernità. «E' difficile og¬ gi capire - ascoltiamo Carlo Levi - cosa significasse, nella Torino di allora, del tutto aliena dalla conoscenza di che cosa potesse essere l'arte moderna, l'arrivo di Felice Casorati. Era l'arrivo di un grande maestro, di natura diversa da quella nota, di qualcu¬ no che parlava un'altra lingua, i cui suoni meravigliavano». Moderno Casorati. Moderno Gobetti, non a caso fustigatore di una «stanca» e «morta» Tori¬ no, salvo più tardi correggere l'acerbo giudizio (lo pronunciò diciassettenne), a mano a mano che la civiltà dei produttori si manifestava: Giovanni Agnelli, l'eroe solitario del capitalismo modemo, e gli operai del Lingot- STRA LA MANA aranta to, «hanno tutti un atteggiamento di do¬ minio, ima sicurezza senza pose (...). Han¬ no la dignità del lavo¬ ro, l'abitudine al sa¬ crificio e alla fatica. Silenzio, precisione, presenza continua (...). ...si prepara la morale del lavoro». Casorati e Gobetti, due artefi¬ ci della «Città che sale», la tela di Boccioni cara a Massimo Mila, il musicologo (come non ricordare la casoratiana passione musica¬ le?) che rivelerà: «Con la pittura di Casorati e con la musica di Casella, ci pareva che finalmen¬ te venisse alla luce dell'arte quel¬ l'altra anima della città: l'anima di Torino europea e moderna, Torino città d'ingegneri, di tecni¬ ci e d'operai specializzati, gente dallo sguardo chiaro e snebbiato che misura con esattezza i con¬ tomi delle cose». Numerus, mensura, pondus, la formula di Casorati, della sua arte - ancora Mila - «spo¬ glia», «magra». Chi, come Gobet¬ ti, detestava (o non soffriva) le sagre, i gesti, i cuori al rosolio, le recite pettegole e beote, i pittori che come Grosso, Ferro, Pollini, Lupo, Protri «hanno avuto nel paesello o nella città natia quella rinomanza che so¬ gliono avere le cose di quaggiù: le caramelle Baratti, per es., o il cioccolato Talmone», ebbene, uno spirito «protestante» come Gobetti non poteva non spec¬ chiarsi nell'essenziale officina casoratiana (lui, Gobetti, che stava per accogliere il Montale degli «Ossi»: «Avrei voluto sen¬ tirmi scabro ed essenziale Z siccome i ciottoli che tu volvi, Z mangiati dalla salsedine...»). Quando Piero Gobetti nac¬ que, un secolo fa, Felice Casora¬ ti aveva diciassette anni, alla stessa età Gobetti conoscerà l'artista: era il 1918, debuttava la rivista «Energie Nove». Nel 1923 Gobetti - «un angelo con la spada di fuoco, non per distruggere ma per segnare le cose», così lo definì lo stesso Casorati - varerà la prima mo¬ nografia critica del confrère. Un omaggio a chi raggiunse una «perfetta classicità», dove sorprende il severo sguardo posato su «Silvana Cenni» («que¬ sto quadro sbagliato, rotto da troppi squilibri»), dove a susci¬ tare l'entusiasmo è Io «Studio», andato distrutto nell'incendio del Glaspalast di Monaco (1931): «La prima opera e la raggiunta forma di una domi¬ nante passione antidecadente». Chi, come Gobetti, indicava fra «le sue qualità più innate una fondamentale aridezza», ovvero la capacità di andare sino in fondo, senza sentimentalismi, poteva forse non «riconoscere» Casorati, non sentire come pro¬ pria la confessione dell'amico: «Chiuso gelosamente come sono nel mio isolamento che a molti è sembrata squallida e arida solitu¬ dine...»? La solitudine «civile» scolpita nel motto greco, «ben alfieriano», della casa editrice gobettiana, disegnato da Casora¬ ti: «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Casorati, ma non solo. Nell'Ar¬ chivio di Stato non mancano gli ulteriori artisti «gobettiani»: da Carlo Levi a Gigi Chessa («che dimostra, insieme con una certa maturità generale, un notevole senso del volume»), da France¬ sco Menzio a Nicola Galante, il ponte che rappresentò verso la Firenze di Soffici («un vero mae¬ stro della xilografia»), da Nella Marchesini a Silvio Avondo. Ma, soprattutto, Casorati. La moralità dello stile casoratiano, l'elogio dell'immobilità («le ani¬ me estatiche e ferme») da cui scaturisce la luce. La dimensio¬ ne «inesorabilmente» onorata da Piero Gobetti: «Al nostro posto». Piero Gobetti e Felice Casorati 1918-1926 Torino, Archivio di Stato Orario 10-19. Chiuso lunedì Dal 30 ottobre al 2 dicembre I RAPPORTI FRA IL RIVOLUZIONARIO LIBERALE E IL PITTORE, UN SODALIZIO TENACE NELLA TORINO ANNI VENTI, TRA PERFETTA CLASSICITÀ' E PASSIONI ANTIDECADENTI LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Bruno Quaranta «Lo studio» (particolare): il quadro più amato da Casorati andò distrutto in un incendio a Monaco (1931)

Luoghi citati: Casella, Italia, Monaco, Parigi, Pavarolo, Stra, Torino