«All'inferno, tra oscurità e puzza Ormai credevamo di morire tutti»

«All'inferno, tra oscurità e puzza Ormai credevamo di morire tutti» IL RACCONTO DEI PRIGIONIERI NEL MERCANTILE «All'inferno, tra oscurità e puzza Ormai credevamo di morire tutti» testimonianza Rocco Vaienti CROTONE ACQUA, aria». Ecco le uni¬ che parole comprensibili - anche per gli interpreti - tra urla di disperazione. Ecco le sole cose che quasi tutti i 416 clandestini arrivati da ultimi in Calabria hanno trovato la forza di pronunciare davanti ai primi soccorritori. «Urlavano come dannati, là sotto», racconta Orlando Ame¬ deo, il medico della polizia di Stato che è sahto a bordo dell'Akcan I, quando il mercan¬ tile era a quattro ore dal porto di Crotone, con la stiva carica di carne umana. E' stato Amo- deo ad aprire il boccaporto e a guardare giù, seguendo il fa¬ scio di luce di una torcia. E quando è sceso là sotto, con tre mascherine sul volto («per cer¬ care di attutire il tanfo»), è stato attorniato da uomini e donne che gesticolavano, chie¬ dendo aiuto, facendo capire che in un angolo della stiva c'era qualcuno che aveva biso¬ gno di aiuto: «Mi hanno porta¬ to dalla parte opposta della nave. Qui la macabra scoperta. In una condizione di luce preca¬ ria ho toccato con le mani un individuo che era freddo e senza polso. Era chiaramente morto. Avevo solo intuito che si trattava di una donna, ma non ero in grado di poter stabili¬ re altre cose perché ero al buio». Il racconto di sette giorni e sette notti ammassati al buio, senz'acqua e senz'aria, i clande¬ stini lo hanno fatto a gesti, portando le mani sulla bocca, per chiedere acqua. Boccheggia¬ vano per la mancanza di ossige¬ no, e anche i gesti erano affati¬ cati. Persone allo stremo. «Da quando siamo partiti siamo stati sempre qua dentro, chiu¬ si, al buio, senza aria», ha detto qualcuno dei profughi agli in¬ terpreti che, ad ogni sbarco, arrivano sulla banchina del porto di Crotone al seguito della polizia. «Da quei buchi là sopra ci buttavano qualcosa da mangiare, poca roba, là dentro non riuscivamo a respirare; credevamo di non farcela, pen¬ savamo che saremmo morti tutti, avevamo perso la speran¬ za». Le poche frasi dette dai me¬ no provati riportano comun¬ que all'idea che quei disgrazia¬ ti si trovavano nell'anticamera dell'asfissia. Questa volta non mancavano solo acqua e cibo, questa volta mancava l'aria per respirare, e, probabilmen¬ te, nel caso della giovane curda morta, è mancata l'aria per sopravvivere. Quello che han¬ no patito là sotto, rinchiusi come bestie nell'ultimo viaggio verso il mattatoio, molti profu¬ ghi l'hanno detto con gli occhi. Lo hanno raccontato gh sguar¬ di spenti di giovani che a stento si reggevano in piedi, e che per poter scendere da quel mercan¬ tile maledetto hanno avuto bi¬ sogno di essere sorretti. «Acqua», gridava qualcuno da là sotto, mentre quelli più fortunati, che per primi sono stati tirati fuori, si rianimava- no sotto l'acqua che i soccorri¬ tori gli buttavano sulla testa. Sette giorni e sette notti in quelle condizioni, là dentro: non hanno detto altro i profu¬ ghi, anche perché appena sbar¬ cati la priorità assoluta era quella di farli riprendere. Per gh interrogatori c'era tempo. La polizia e la guardia di finan¬ za cominceranno a sentirli og¬ gi, per cercare di capire bene chi sono, da dove vengono, se l'equipaggio era composto solo dalle quattro persone finite in manette. Rinchiusi nel buio di quella stiva, non tutti si sono resi conto che tra loro c'era qualcuno che non ce l'aveva fatta. Non tutti, in quel buio infettato dal fetore degli escre¬ menti nascosti sotto la sabbia, si sono accorti che la giovane curda era morta. Il marito deve averla veghata, morente, senza poterla guardare nel volto. Per molti, la speranza di sopravvi¬ vere si era andata affievolen¬ do, mano a mano che quel poco ossigeno che era rimasto nella stiva andava consumandosi. «Ancora poche ore in quelle condizioni e forse molti non sarebbero sopravvissuti», dice Amodeo. Il viaggio infernale, per i 416 disperati, si è concluso nel buio della notte squarciato dai fari dei vigili del fuoco. Ma quello di Crotone era un buio diverso da quello nel quale hanno viag- . giato per mare. «Di sbarchi ne no visti tanti; quando salivo sulle navi, tra ì profughi appe¬ na arrivati - dice Amodeo - pensavo di trovarmi come in un purgatorio; ieri notte ho visto l'inferno. Sì, là sotto sem¬ brava tutto irreale, tutti grida¬ vano ed erano imbrattati di polvere e sabbia. In quella stiva c'era l'inferno. Una totale mancanza di aria, un fetore che non avevo mai sentito, tant'è che il mio primo pensiero era su come poter uscire da quel boccaporto. A metà strada nel¬ la stiva ho vomitato, e io non avevo mai vomitato in vita mia su una nave di profughi». Ogni tanto ci buttavano qualcosa dai buchi sopra di noi Ma chiusi là sotto non riuscivamo a respirare Avevamo perso ogni speranza Sette giorni e sette notti sempre uguali Acqua e aria Queste erano le uniche parole che la gente continuava a ripetere Ancora poche ore e sarebbe stata la nostra fine Un soccorritore porta fuori dalla stiva dell'orrore uno dei tanti bambini sopravvissuti ad un viaggio infernale di sette giorni

Persone citate: Amodeo, Orlando Ame, Rocco Vaienti

Luoghi citati: Calabria, Crotone