Pakistan in fiamme neilasfìda del venerdì islamico

Pakistan in fiamme neilasfìda del venerdì islamico Pakistan in fiamme neilasfìda del venerdì islamico Nell'anniversario del suo colpo di Stato il generale Musharraf ha dovuto schierare polizia ed esercito con le armi spianate per contenere la protesta che si è concentrata intorno alle moschee Giovanni Cerniti inviato a ISLAMABAD A piccoli gruppi, e mai più di quattro assieme. Passare velóci accanto al blindato dell'esercito. Entrare nella Moschea in silenzio, uno sguardo alla barba del mullah per capire come sarà questo vener¬ dì. Di lotta o di preghiera? Il generale Musharraf avrebbe volu¬ to festeggiare il suo secondo com¬ pleanno da presidente golpista, e invece se ne deve stare al chiuso del Palazzo Bianco, in attesa pure lui, i blindati e i sacchetti di sabbia fuori dalle mura. I mullah di Isla¬ mabad sanno che a mezzogiorno comincia la preghieraj ma ancora non sanno cosa dire. Poi tutti in corteo a sfidare Musharraf e le sue guardie con il basco verde? Oppu¬ re si marcia sull'Ambasciata Usa, protetta da un muro di ipattoni tirato su nella notte, i rotoli di filo spinato, quattro blindati agli ango¬ li e cento agenti con i muscoli pigiati nelle magliétte nere griffa¬ te «antiterrorismo»? E' il venerdì della sfida. Il pri¬ mo venerdì dall'inizio della caccia ' a Osama bin Laden. Il partito dei mullah contro il presidente che non può celebrare i due anni di potere. Alla Moschea Rossa i po¬ ster di Osama sono già stati inchio¬ dati sui bastoni. Il partito dei mullah, dei fondamentalisti, delle barbe ingrigite e dei ragazzini che sognano la loro Intifada contro «gli infedeli e i traditori». Mushar¬ raf questa sfida l'ha accettata. «Siete una minoranza, non avrete seguito». Provate a muovervi, ten¬ tate un passo per allontanarvi dalle Moschee e interviene il mio esercito. Questa è la sfida nella sfida, forse la più rischiosa. Con chi sta davvero l'esercito del Paki¬ stan, con Musharraf o con l'Islam dei taleban? Con il Presidente o con i generali decapitati e ora messi agli arresti domiciliari, le Ipro foto e le loro barbe sui giorna¬ li, infedeli e traditori del «Uberai» Musharraf? E' quasi mezzogiorno e Islama¬ bad è blindata. I taxi neri e gialli sono tutti occupati, i passeggeri sono agenti in borghese. A quel¬ l'ora a Karachi, a Quetta, a Pe- shawar, la sfida è già cominciata. Muhammeddmian Soomro, il go¬ vernatore di Karachi, ha già chia¬ mato i capi dei Partiti islamici. La città ha 10 milioni di abitanti. Dalle nove del mattino, in tremila, stanno bruciando copertoni in strada, hanno distrutto due fast-fo¬ od dal marchio Usa, sfasciato tre banche, incendiato due macchine della polizia e perfino il camion dei pompieri. Quindici arresti, al¬ meno dieci feriti. «Volete che Kara¬ chi diventi come Quetta?», telefo¬ na il governatore. A Quetta, verso il cornine del Beluchistan, da ieri mattina la polizia è stata sostitui¬ ta dall'esercito. L'ordine è di spara¬ re a vista, basta un sospetto. Non sono nemmeno riusciti a mettersi in corteo. Circondati subito. Anche alla Moschea Rossa, ap¬ pena sono arrivate le notizie da Karachi, e poi da Quetta, e poi dal Khyber Bazaar di Peshawar, han¬ no cominciato a capire che non sarebbe stato un venerdì di lotta. Solo di preghiera, e con i blindati alla porta. Era ancora buio quan¬ do, a Labore, le magliette nere dell'antiterrorismo si erano pre¬ sentate a casa di Qazi Ahmad Hussein, il capo del partito Ja- maat e Islami. Arresti domiciliari immediati e per tre mesi, questa è la legge del Presidente Musharraf. Telefono staccato. Telefonino se¬ questrato. E così sono già quattro i capi chiusi in casa e condannati al silenzio. Hussein aveva annuncia¬ to questa «giornata di protesta nazionale». Con bin Laden, con l'Afghanistan dei taleban, contro' Musharraf «che verrà eliminato presto». Arrestato. E si è spenta la voce più autorevole di questo ve¬ nerdì. «Finora le nostre manifestazio¬ ni sono state pacifiche, ma adesso basta», aveva promesso il mullah della Moschea Rossa. Ma è mezzo¬ giorno quando arriva la telefonata che lo frena e forse lo delude. Gli leggono ima nota scritta da Sami Ul Haq, il Maulana dell'Haqqua- nia, la scuola coranica dei teologi e dei guerriglieri. E' agli arresti, è stato il primo della serie. Com'era stato il primo a giurare vendetta di popolo contro Musharraf, «gli ame¬ ricani, i loro amici, i loro dollari e il loro falso SuperPoterel». Ecco, l'hanno convinto a scrivere il suo messaggio del venerdì a tutti i mullah: «State calmi -- fa sapere, e sembra un ordine -. Rinunciate alle manifestazioni e rispettate gli stranieri». La decisione l'ha presa nella notte, scriveranno oggi i giornali pakistani più vicini a Mu¬ sharraf: sarebbe bastato ventilare il congelamento dei beni. La sfida è finita a mezzogiorno. Le Moschee piene, le piazze vuote. «Amerìkal», si sente gridare dagli altoparlanti. «Presto saremo milio¬ ni nelle piazze!». Ma non oggi, non in questo venerdì, non in questo Pakistan del generale Musharraf. La sfida l'hanno vinta lui, i rotoli di filo spinato, le camionette, i blindati, l'esercito che circonda chi tenta un corteo. Fino alla preghiera delle cinque del pome¬ riggio dalle Moschee di Islamabad sono uscite voci di manifestazioni con feriti e anche morti, e tre sarebbero a Quetta. Impossibile sapere se è vero. A Quetta, da una settimana, i giornalisti sonò chiusi nell'hotel Serena. A Peshawar li hanno tenuti lontani. A Rawalpin- di le telecamere hanno inquadrato il solito bazaar e il solito pupazzo di Bush che prende fuoco. Il Mini¬ stero dell'Interno ha deciso di non dire niente. Perché, per Mushar¬ raf, non è successo niente. Alla Moschea Rossa la preghie¬ ra del pomeriggio finisce quando è già buio. Se ne vanno com'erano arrivati, veloci, a piccoli gruppi. Il mullah Ghazi non ha voglia di parlare, spegne la luce della sua stanza e se ne va. I ragazzini della scuola coranica vanno a metter via i poster di Bin Laden e prepara¬ re la cena, stufato di montone e rape bianche. Anche loro avevano sognato un altro venerdì e il piaz¬ zale di Aabpara Market pieno di gente, di rabbia e di bandiere bianche e nere dei partiti islamici. A sera un comunicato dei 35 parti¬ ti del «Comitato per il Pakistan e l'Afghanistan» sembra un atto do¬ vuto per im nuovo appuntamento. «Lunedì, per la visita di Colin Powell, sciopero generale. La sua visita è sale sulle ferite dei musul¬ mani pakistani. La nazione non tollererà la sua presenza». Per non rischiare l'arresto, nessuno l'ha firmato. Dal Palazzo Bianco nessuno commenta. Il venerdì del Presiden¬ te Musharraf era annunciato co¬ me pericoloso, da rivolta, a sentire le troppe voci anche il giorno della sua resa, della rivincita dei genera¬ li decapitati e pronti a spingere la minacciosa minoranza fondamen¬ talista all'assalto del Palazzo Bian¬ co. Sono finiti agli arresti anche loro, l'ex capo de servizio segreto Mahmud Ahmad e l'ex vice capo di stato maggiore, il barbuto Mu- zaffar Usmani. Giovedì notte Mu¬ sharraf ha trovato un alleato genti¬ le e convincente, la signora Wen- dy Chamberlin, ambasciatore Usa: i generali amici dei taleban sono stati costretti (almeno) a una tregua e Musharraf ha vinto la sua battaglia del venerdì. Però la guer¬ ra, la caccia a Osama, sembra ancora lunga. E un Generale al Palazzo Bianco, nel Pakistan delle Moschee piene e delle piazze blin¬ date, non è mai al sicuro. IM»^Ì' Pachistani f ilotaleban marciano per le vie di Quetta urlando slogan antiamericani, guardati a vista da poliziotti armati