MUJAHEDDIN «Tenetevi pronti tra quattro giorni la guerra»

MUJAHEDDIN «Tenetevi pronti tra quattro giorni la guerra» CON ILDEIFINO DI MASSUDNELLA VAILE DELPANSHIR 1 L'OFFENSIVA IMMINENTE E GU SCENARI DELLA RIGOSTRUZIONE ■■- -■:.:------ ■;--..:-. ■:.." r".:. - - -r- ■c:-^-:-v:-:-;V:.-'::--;;:..,^.--.^:-.:: . :. - . MUJAHEDDIN «Tenetevi pronti tra quattro giorni la guerra» reportage Giulìetto Chiesa . . i:; ,.'\.; ..'■'. JABUL SARAI (Afghanistan) ■ comandanti militari mujaheddin della Valle del Panshir, di Charikar, di Kapisa, di Bagram, sono stati convocati e hanno ricevuto l'ordine di mobilitazione generale per le loro milizie. Tutti pronti, con gli scarponi adatti, con il kalashnikov in ordine, con le munizioni contate e le riserve di cibo. Pronti in Quattro giorni. Questo è dunque il tempo che ci separa dall'attacco americano? La notizia è di buona fonte, non resta che attendere, e vedere cosa succederà lungo la strada del Panshir. Ma i taliban non sembrano affatto spacciati. Ieri notte alle 11 hanno sferrato un violento attacco sulle posizioni dell'Alleanza nella provincia di Badghiz, a nord, sotto controllo mujaheddin. Ci sono stati molti feriti e morti da entrambe le parti. L'offensiva è stata respinta. La fonte di questa seconda notizia è il dottor Abdullah in persona, ministro degli Esteri dell'Alleanza del Nord, al momento attuale il numero uno dei mujaheddin dopo la morte di Ahmad Shah Massud. E' mattina presto e lui è passato a salutare il dottor Gino Strada, «il suo grande amico», nell'ospedale di Emergency ad Hanaba. Che si trova sulla via, unica e polverosa, che dal quartier generale dell'Alleanza, molto più in alto nella valle, scende fino alla piana di Shomali, a Jabul Saraj dove, ci dice lui stesso, tra poco terrà una conferenza stampa. «Se volete sentirla - aggiunge sorridendo in un perfetto inglese - vi conviene partire prima di me, perché io vado veloce». E' arrivato a bordo di un gippone enorme, di color marrone, sul cui tettuccio campeggia bianca e circolare l'antenna satellitare. Un bersaglio perfetto se i taleban avessero i sateUiti spia e i missili chirurgici. Ma il dottor Abdullah può stare tranquillo: chi dispone di quegli aggeggi sta guardando da un'altra parte alla ricerca di obiettivi più interessanti. Comunque, nonostante la fretta, c'è tempo per una chiaccherata, che Abdullah concede senza farsi pregare. Come vi sentite senza Massud? La domanda è brutale, e la risposta viene inattesa, a riprova che il lutto è finito: «Pensi a cosa sarebbe ora l'Afghanistan, alla vigilia della fine dei taleban, se non ci fosse stata la tenacia di Massud. Adesso ci sarebbe il vuoto e tutti correrebbero a riempirlo, da dentro e da fuori. Invece ci siamo noi che, grazie a lui, abbiamo costruito questo governo e abbiamo difeso una parte del territorio». E del nuovo governo, appena concordato con re Zahir Shah, a Roma? Abdullah si prende qualche, secondo per rispondere. «No, vede, il governo c'è già ed è il nostro. Con Zahir Shah abbiamo convenuto per la creazione di un Consigho composto di 120 persone, rappresentanti di tutte le etnie afghane e di tutte le confessioni: 60 a noi e 60 a loro. Dostum e Ismail Khan saranno inclusi nella nostra quota». E' giovane, dicono abbia 38 anni, sicuro di sé, medico che ha studiato a Kabul, elegante. Le sue scarpe di cuoio nocciola sono incredibilmente lucide in un paese senza asfalto e senza marciapiedi. Indossa una camicia beige a quadretti sottili, un gilet marrone con molte tasche. Padre tagiko e madre pashtun fanno di lui un leader ideale. I capelli nerissimi e la barba non lunga come pretenderebbero i taleban, hanno un taglio occidentale e sobrio. Ma ciò che lo ha portato dov'è è il suo passato di intimo tra gl'intimi di Massud. E la prova che il segno del potere è passato nelle sue mani è seduta ai suoi fianchi: il segretario di Massud è ora il suo segretario, e il capo delle guardie del corpo di Massud, Haji Rahim, è ora la sua guardia del corpo. Se l'è cavata bene, Abdullah, in questo meno che un mese di sostanziale comando pblitico. E' stato lui a fare la spola tra la Valle del Panshir e Dushanbè, per incontrare delegazioni da tutto il mondo che conta. Tra l'altro devo dire che sono arrivato qui nel Panshir proprio con lui, a bordo del suo elicottero, grazie all'intercessione di Gino Strada. E' stato Abdullah Abdullah (il «dottore» serve a evitare la ripetizione) a incontrare il capo di stato maggiore russo. Anatolij Kvashnin, e il segretario del Consiglio di Sicurezza russo, Vladimir Rushailo. Si può immaginare di cosa abbiano parlato. GU chiedo quando sarà pronta la lista del Consiglio, chi lo presiederà e se esso troverà sede fuori o dentro l'Afghanistan. E che succederà se gli americani attaccassero prima che questo delicato processo andasse in porto? «Noi siamo già qui - risponde - e non è colpa nostra se si va piano. Altri, che abbiamo invitato più volte, stavano in posti più comodi quando noi combattevamo e non tutti, francamente, hanno fretta di venire qui, dove non sarà comodo neppure dopo. Chi presiederà non è ancora deciso e, quanto alla sede del Consiglio, non c'è dubbio che sarà da queste parti, in Afghanistan». Non ci sono dubbi, dunque, sulla vittoria e neppure su chi avrà i posti chiave nel'futuro governo di coalizione, anche se si capisce che, dietro re Zahir e il suo entourage, ci sono gli americani. E dall'altra parte, non c'è nessuno con cui parlare? Sorride con aria di scherno. «Di là? Di quelli abbiamo un elenco preciso, chi sono e cos' hanno fatto lo sappiamo. Ma c'è1 molta altra gente che ci fa sapere di essere disposta ad aiutare, che non si è macchiata di crimini. Con quelli lavoreremo». Salta sul suo gippone e tocca davvero inseguirlo lungo i tornanti della valle, in una nuvola di polvere, schivando vacche e asinelli, passando in mezzo a frotte di bambini microscopici che gettano terra sotto alle ruote, fìngendo di riempire buche incolmabili in cambio di una banconota. Arriviamo . a Jabul Saraj giusto in tempo. Il dottor Abdullah sta rispondendo alle prime domande dei giornalisti, seduto in una poltrona, all'ombra di un albero, bevendo il tè. Ogni tanto, non troppo lontano, si sentono raffiche di kalashnikov, che non lo scom¬ pongono più dello stormire delle foglie sopra la sua testa. Rivela «per la prima volta» (è lui stesso a sottolinearlo) che sì, effettivamente, loro hanno ricevuto aiuti dalla Russia e dalla Repubblica Islamica di Iran. E questi aiuti «sono in aumento anche adesso». Quali aiuti? Abdullah sfodera una chiostra di denti perfetta: «Quali aiuti pensate che siano?». In che forma? Questa volta la risposta è esplicita. «In cambio di denaro, cioè pagavamo, oppure di crediti a lungo termine». Quali contropartite? «Nessuna. Russia e Iran sono interessati a sgominare il terrorismo, che destabilizza l'intera regione. Da loro stiamo ricevendo anche i primi carichi umanitari. L'inverno è vicino». Contatti ad alto livello Abdullah non nega di averli avuti, «negli ultimi tempi», anche con gli americani. Si è parlato con loro «di tutti i temi» (lo ripete più volte, senza entrare nel merito), essendo evidente che «ci si è coordinati». Anche in materia militare. In ogni caso il rapporto con Washington «è soddisfacente». Osama bin Laden «non può essere nel Pamir perché quella regione, il Badakhshan, la controlliamo noi. Ma è in Afghanistan, non chiedetemi dove perché non posso dirvelo, per ragioni di sicurezza». A noi non lo dice, ma sicuramente a qualcuno l'ha detto. Trarrete vantaggio dalla situazione, cioè da un attacco americano ai taleban? «Certo, che domanda!». E una volta a Kabul cosa farete? Processerete voi i leader taleban, o li consegnerete a qualcuno? Abdullah spiazza tutti: «Non è detto che Kabul sia la nostra priorità assoluta». Significa che l'Alleanza non è sicura di potervi giungere in fretta? Oppure che non è sicura di poterla tenere, neppure dopo l'intervento americano? Poi aggiunge, quasi in subordine: «Non possiamo escludere una sollevazione popolare a Kabul, contro i taliban. Noi potremmo intervenne per sostenerla. Per quanto concerne i responsabili, li processeremo per i crimini conunessi in Afghanistan, ma siamo pronti a consegnarli a un tribunale internazionale per i delitti commessi altrove e per i crimini di Guerra». Insomma la vittoria è imminente. «E' questione di giorni, ma non di questa sera. Capisco che vorreste vedere subito qualcosa, ma adesso riposatevi, distendetevi, oggi non succederà nulla». La pelle dell'orso taleban è già stata venduta. Abdullah non dice nulla, ovviamente, di quello che sa circa il prossimo attacco americano. Forse non ne sa nulla, ma avrei preferito che dicesse qualcosa - che nessun giornalista gli chiede - sulla fonna che assumerà quell'attacco, sulla necessità di evitare vittime civili. Ma questo Abdullah non lo dice. Il ministro degli Esteri dell'Alleanza del Nord; il dottor Abdullah, è giovane trentotto anni, dicono Laureato in medicina ha studiato nella capitale «li governo di Zahir Shah? Non occorre, esiste già il nostro. Il re avrà un posto nel consiglio delle etnie» J In questi | giorni ha I incontrato tutti: russi e americani «Bin Laden non può essere nel Pamir perché quella zona la controlliamo noi E' in Afghanistan ma non posso dirvi dove Non escludo una sollevazione a Kabul, il popolo è esasperato» Qui accanto, il ministro dell'Alleanza del Nord Abdullah Abdullah. A destra mujaheddin al passo di Salang