Segnali di crisi nel regno dei taleban di Mimmo Candito

Segnali di crisi nel regno dei taleban Segnali di crisi nel regno dei taleban Defezioni, Omar minaccia il capestro a chiunque aiuterà il Re Mimmo Candito inviato a QUETTA (frontiera afghana) Ieri sera, all'improvviso, il vento è sceso giù dalle montagne con un primo fiato di neve. Non è ancora il grande freddo, l'Hindu Kush è lontano; ma l'inverno arriva, e se davvero dev'essere la guerra a decidere il futuro dell'Afghanistan, allora il tempo che resta è di 30, forse 50, giorni, non di più. Quando il ghiaccio avrà chiuso i passi, e monti e valli diventeranno isole di gelo, gli uomini e la morte dovranno fermarsi. La corsa contro il calendario è già cominciata: mentre gli Stati Uniti continuano il build-up della loro coalizione, e la pressione multare a Nord si accentua con il ponte aereo che russi e americani stanno facendo nel Tajikistan, da queste parti - è qui che il regno misterioso e impenetrabile dei taleban tuttora domina - si vedono i primi segni concreti di sfaldamento. Ancora è poco, dar retta ai trionfali comunicati che l'Alleanza lancia da Nord è consegnarsi alla propaganda senza controllo; tuttavia quei segni di crisi sono confermati dalle notizie che questa città di frontiera raccoglie come un contenitore naturale. Quetta è una piccola capitale provinciale dentro il deserto del Beluchistan. Schiacciata dal sole durante il giorno, e stretta dal freddo durante la notte, è lo snodo principale dei traffici per l'Afghanistan. Qui il contrabbando è un mestiere ufficiale, la frontiera una linea virtuale ignorata con indifferenza. E i camion che vanno e vengono nel polverone giallo delle piste sterrate - camion addobbati di colori come solo certe saghe di paese sanno fare da noi, nelle feste della Madonna - sono poi i «giornali» viaggianti di un mondo che ha tagliato ogni altra comunicazione. E questi «giornali» a quattro ruote raccontano d'un Afghanistan che si va disfacendo, dove la presa dei taleban si riduce a vista d'occhio e la vita quotidiana avverte la tensione d'un tempo che va verso la fine. - La gente che s'incontra per strada in Afghanistan - raccontano gli autisti dei giganteschi camion, unici reporter d'un universo segregato, e sono cronache colorite come le avventure dei cantastorie - vuole avere notizie, è curiosa, incerta; le sue informazioni le ha tutte da Radio Sharia, la sola voce permessa in un mondo altrimenti muto, e le prediche che ogni giorno pronuncia dalla Radio l'ermro Omar mettono inquietudine, lasciano immaginare anche quello che è vietato dire. Finora Omar incitava i suoi ascoltatori a stare compatti, ripeteva che la guerra non ci sarà, che gli americani non bombarderanno, che re Zahir è un mercante di cristianesimo e Aliali aiuta sempre i suoi fedeli; ieri, per la prima volta, ha cambiato violentemente di registro e ha minacciato l'accusa di tradimento (un peccato che porta alla pena di morte) contro chiunque aiuterà il re. E' un segno preoccupante per il potere taleban, significa che ora comincia a essere avvertita come un vero pericolo l'alleanza di partiti e gruppi che con i soldi dell'America - si forma attorno al vecchio re in esilio. E che sia un pericolo concreto lo conferma anche la visita in questi giorni, a Quetta, dell'ambasciatore dei taleban in Pakistan, Zaif. L'altro ieri era stata una sorpresa che la risposta al duro ultimatum di Blair arrivasse da quassù, e non da Islamabad, capitale diplomatica; la versione ufficiale dell'Ambasciata - su nostra richiesta - era che il mullah Zaif si trovava da queste parti della frontiera «per visitare i cugini». Zaif è un pashtun la cui famigha davvero è originaria di questa parti; ma se di visita si trattava, non era affatto una visita d'affetto. In questa parte del regno dei taleban (con la frontiera che qui è una linea virtuale, i pashtun la popolano da una parte e dall'altra) ci sono alcune delle tribù sulle quali si regge il potere teocratico afghano, soprattutto i Popalzai Durrani, che hanno dato i re di Kabul dal 1747 al 1973; e Zaif era qui per ricompattare la loro adesione, sollecitare gli animi a non cedere alle tentazioni che una crisi sempre apre. Simili crisi sono una cordiale costante della storia afghana, dove cambiare di fazione e di alleanza è una consuetudine serenamente rispettata: e pare che anche questa volta siano mighaia i taleban pronti a rispettare la tradizione. Il mullah Zaif smentisce, ma si sa che altri mullah hanno fatto un viaggio in Iran per raccattarvi l'appoggio dell'ex premier afghano Gulbadin Hekmatyar, li in esilio, in vista magari d'un possibile governo di mediazione cui offrire quel vecchio leader della lotta antisovietica. La storia si muove ormai rapidamente, a Quetta Zaif faceva U suo lavoro di ricucitura negli stessi giorni in cui era in città anche Mahmud Ahmed, capo dei servizi pakistani e grande tessitore del potere taleban; Islamabad non se ne sta certo con le mani in tasca, mentre qui cambia il mondo. E cambia molto. Ormai appare chiaro come l'Afghanistan sia tornato a essere il terreno di competizione per tutte le potenze, che parlano di terrorismo ma pensano agli affari futuri in Asia. Dicono che debba venne qui addirittura 0 premier britannico Tony Blair, anche se Londra tace. Il «Grande Gioco» riprende, segnò la storia del continente deU'800 e può segnare anche la nuova storia. Il ministro della Difesa statunitense, Donald Rumsfeld, viaggia a trovare alleanze (dandoci un po' di respùo perché, fin che lui è in viaggio, Bush certo non manda qui le bombe) e Zaif alza il tiro, chiedendo ora il negoziato «soltanto con gli Usa». Tutti si posizionano al meglio per l'esplosione della crisi, solo l'emiro Omar ha qualche difficoltà: da Radio Sharia ha fatto sapere d'aver bisogno di quattrini, e invita «i mercanti, e chiunque ha capitali, a spenderli sulla via del Signore». Isolati, senza soldi, ai taleban resta solo Allah. Una manifestazione di sostegno per Bin Laden che si è svolta ieri a Quetta, presso il confine pakistano con l'Afghanistan

Persone citate: Bin Laden, Bush, Donald Rumsfeld, Durrani, Hekmatyar, Mahmud Ahmed, Tony Blair, Zahir