VERSO KABUL Con i mujaheddin nel cuore afghano

VERSO KABUL Con i mujaheddin nel cuore afghano LA PIANA DI SHO UNO STERMINATO PAESE DI BENGODI TRAFITTO DALLE GUERRE VERSO KABUL Con i mujaheddin nel cuore afghano reportage Glulietto Chiesa BAGRAM (Afghanistan) NOMI misteriosi, da Mille e una notte: Charikar, Bagram. L'ima dista dall'altra una ventina di chilometri. Per un po' si segue la strada, ancora a tratti asfaltata, che porterebbe a Kabul in venticinque minuti, dritta e filata. Ma non si può perché al decimo minuto, all'incirca, saresti falciato da un bazooka dei taleban. Allora si svolta a sinistra e ci s'immerge in un paesaggio di fantastica bellezza. La piana di Shomali è sterminata, campi di granoturco, di alberi di tutte le frutta, incredibilmente mature, come se fossimo nel paese di Bengodi, cocomeri, zucche, soprattutto uve bianche, dolcissime come permette questo sole d'ottobre ancora poderoso. Si cammina piano con la jeep su una strada sterrata tra nuvole di polvere, superando rigagnoli d'acqua a ogni curva. Per chilometri e chilometri una cupola fìtta di rami copre la strada. Chi volesse nascondersi agli elicotteri, o ai satelhti, potrebbe muoversi in tutte le direzioni, ben coperto, da una parte all'altra di Shomah. Viene in mente Calvino e il suo «Barone Rampante», che qui sarebbe stato più felice che in Liguria. Penso ai sovietici e alle loro difficoltà insormontabili nel tenere la base, l'immensa base aerea di Bagram. L'avevano costruita qui, non lontano da Kabul, per ospitare la loro potenza, la loro aviazione pesante, per i ponti aerei, per gli sbarchi, per i rifornimenti. La perdettero e la riconquistarono una decina di volte, ppi se ne andarono. E si capisce, muovendosi in questo labirinto verde smeraldo, che solo bruciandolo tutto i russi avrebbero potuto impedire ai mujaheddin dì Massud di piazzare i loro mortai troppo vicino alle piste. Adesso, come da sei armi a questa parte, Bagram è ancora la linea del fronte. Metà della base è in mano ai taleban, l'altra metà è dell'Alleanza del Nord. Una linea del fronte strana e insidiosa, dove solo chi sa può muoversi senza finire crivellato o saltare su una mina. Tutti questi campi, e boschi attorno, quieti e bucohci, pieni di contadini che mietono granturco e di bambini che aiutano, portano acqua, raccolgono stoppie e caricano gli asini, sono campi minati, dove ogni tanto spesso - qualcuno salta in aria. Le cime e i contrafforti delle montagne, che si vedono a Ovest guardando sopra le cime degli alberi, sono in mano dei taleban. Che da mesi non scendono, non sparano, eppure incombono a solo un chilometro in linea d'aria da Charikar. Che però vive la sua vita sotto questi grilletti sempre pronti a sparare. Nella piana la linea di demarcazione si sposta più indietro, ma dalle alture è invisibile. Solo l'immenso buco ocra nel verde - la base di Bagram, appunto - lascia intuire dove potrebbe di nuovo' scoccare la scintilla. Certo, questo fronte sarà decisivo per arrivare a Kabul, e non ci vuole molta fantasia per immaginare che i taleban l'abbiano fortificato bene. Ma la pianura è così grande, e così verde, che chi attaccasse potrebbe trovare più d'uno spiraglio. I sovietici l'impararono a loro spese. Per ora si può arrivare tranquilli solo fino a due chilometri dai primi avamposti dei taleban. Almeno oggi. Domani, forse, qualche comandante mujaheddin ci porterà più avanti. Ma fino al posto di pronto soccorso di Emergency - quello di Bagram - si può arrivare. Anche qui domina il grande silenzio della campagna. Il cortile è pieno di donne coperte dal burqa, con i bambini per la vaccinazione, per la visita. Non ci sono feriti di guerra oggi, e questo pronto soccorso - uno dei sei che punteggiano la regione, messi in piedi da Emergency - svolge la funzione di ospedale, ambulatorio, dispensario medico. Da maggio, quando fu aperto, a oggi, ha curato e aiutato a vivere 2400 persone. Lavora per un'area di circa 80 mila abitanti, quasi cento villaggi sepolti nel verde di Shomah che, non avessero questo, non avrebbero altro. Sarebbero morti a centinaia, senza queste cinque stanze pulite, con un medico afghano e infermieri afghani formati da Emergency, e uno staff di dodici persone, tutte afghane, pagate con il denaro raccolto in Italia da Emergency di Gino Strada. Due ambulanze sono sempre pronte nel cortile: i casi più gravi vengono portati a Hanoba, nel Panshir. Uno mi tocca vederlo consumarsi come uno spettatore impotente. Il piccolo Nur, forse tre anni, è rimasto schiacciato dalla porta di ferro di una casa che i suoi stavano costruendo proprio qui a Bagram, sulla linea del fronte. Ci vuole un coraggio disperato per costmire qui, ma questo coraggio non trova premio e questa piccola morte, scritta nel gran libro dei destini ingiusti, sarà forse compensata altrove, in un altro libro più grande ancora. Nur morirà nell' ambulanza, a metà strada. Noi restiamo qui, in una caserma dei mujaheddin, ad aspettare, invano, l'autorizzazione dei comandi per andare oltre. Bevo il tè con i nokle badami, dolcetti di mandorla e zucchero che sembrano microscopici cervelli scoperchiati, chiacchierando con un comandante locale, Gul Rachmon, 38 anni, sei figli, cinque femmine, tutti sfollati a Dushanbè, Tagikistan. Al sicuro, cioè in casa degli ex nemici. Chi ha soldi può permetterselo. dovete parlare con il nostro ministero degli Esteri». Il rapporto con gli shuravy è top secret. Nessuno ne vuo e parlare e tutti evitano l'argomento. Forse per l'imbarazzo di spiegare che oggi si- ricevono armi, aiuti e protezione per i propri figli da quelli contro i quali fu lanciata una guerra santa. E quanti sono, a occhio e croce, i taleban appostati qui vicino? Gul Rachman dice che non sono taleban ma una specie di brigata intemazionale («terroristi», dice, e questo è il leitmotiv che qui tutti usano) di arabi, ceceni, pakistani. Rifiuta di dire cifre. Forse non lo sa, forse fa finta di non saperlo. Un altro mujhaheddin, più anziano, fuori della caserma, aveva scrupolosamente compitato i giorni trascorsi dall'ultimo scontro di rilievo: «Ventiquattro giorni fa hanno attaccato loro e noi li abbiamo respinti. Ci sono stati morti e feriti, il pronto soccorso era pieno. Poi si sono fermati, ma ogni notte c'è qualche scambio di colpi, anche con razzi». In un attimo di silenzio si sente il primo colpo, quasi evocato, attutito. E' una cannonata lontana. Qualche secondo dopo altre due, in successione. Sono i colpi di partenza, ma non si sentono le esplosioni all'arrivo. Segno che sono i mujaheddin che bombardano a lunga gittata, forse Kabul. Routine. Forse qualcosa si prepara. Ci sono voci che i mujaheddin starebbero movendo qualcosa sulla strada per Salang, che collegava Kabul a Mazar-i-Sharif, che ora è chiusa, e che, sul versante Nord del passo, è in mano dei taleban. Vedremo. Torniamo attraversando di nuovo il tunnel verde di Shomali, lungo la stradina che costeggia mura di fango delle case contadine, villaggi dell'età della pietra da cui sgorgano centinaia di bambini piccolissimi che, quando ridono, sono splendidi e quando non ridono - cioè quasi sempre - sono volti gravi di adulti non ancora cresciuti, di donne mature che hanno molto sofferto. Penso a Nur, appena morto, e alla sua vita così breve e così povera. Re Zahir Shah? «Che venga pure, purché cerchi di tenere insieme tutte le etnie e, naturalmente, faccia i conti con il nostro govemo». Gli americani? «Se vengono per cacciare i terroristi taleban, bene. Se vengono per restare, o dettare legge, gli diremo che gli stranieri in casa nostra non li vogliamo». I russi? «Sono i nostri vicini. Per il resto Per chilometri una cupola fitta di rami copre la strada: chi volesse nascondersi agli elicotteri potrebbe muoversi in tutte le direzioni fra campi di mais e dolce uva bianca Il «nemico» è soltanto a due chilometri, Kabul a 25 minuti di jeep. Ma chi avanza rischia, fra campi minati e il mirino dei cecchini, lungo strade polverose e villaggi antichi L'addestramento dei ribelli afghani (a sinistra) sfrutta anche i vecchi carri armati danneggiati. Sopra: una pausa al campo d'addestramento di Jabal os Saraje

Persone citate: Calvino, Gino Strada, Glulietto Chiesa Bagram, La Piana, Massud, Zahir Shah