Kabul: teniamo Bin Laden sotto il nostro controllo

Kabul: teniamo Bin Laden sotto il nostro controllo PRIME CREPE TRAI COMANDANTI DI - '- ■•:-';.,-:.:::;:.-.:: --v ; :,:-v-..:;. -.,; -:"; Kabul: teniamo Bin Laden sotto il nostro controllo Un'oscura dichiarazione dell'ambasciatore in Pakistan potrebbe chiudere o aprire la via della trattativa. Il mullah Omar: se il regime sarà rovesciato, riprenderemo a fare la guerriglia contro gli invasori Mimmo Candito inviato a ISLAMABAD LA Regina è il pezzo più importante della scacchiera, forte ma estremamente delicato. Lei entra in gioco soltanto quando la partita à arrivata al punto di rottura e non restano molte alternative. Ieri, nella drammatica partita a scacchi che si sta giocando su queste montagne dell'Asia, i taleban hanno mosso la loro Regina, tirandola vìa dal suo rifugio e portandola in campo aperto: «Ora bin Laden è sotto il nostro controllo», ha detto ieri il mullah Abdul Salam Zaif, ambasciatore taleban in Pakistan. Era una dichiarazione che vale quanto l'ultimo attacco, forse la mossa più disperata; in Inghilterra, Blair aveva appena annunciato in tv: «Anche noi, adesso, abbiamo le prove inconfutabili della responsabilità di Bin Laden». Il cerchio si stringeva sempre più, il tempo della pace è ormai un misero soffio di speranza. L'ambasciatore Abdul Salam Zaif è l'ultimo filo che collega la terra segregata dei taleban al resto del mondo. Non parla l'inglese, non fa interviste, non esce mai dal minuscolo giardino della sua ambasciata. Ma quando questo mullah barbuto e riservato si fa vedere, e annuncia qualcosa, allora non si tratta di dichiarazioni interlocutorie; allora vuol dire che i taleban hanno deciso di mandare un messaggio «pohtico» al mondo. E il messaggio di ieri ha cambiato lo scenario che finora inquadrava il braccio di ferro tra Bush (che dice: o Bin Laden o la guerra) e Omar (che dice: o le prove o niente consegna. E ieri aggiungeva: se il regime sarà rovesciato, i taleban ricominceranno a fare la guerriglia). Facendo sapere agli Stati Umti che i taleban non soltanto sanno dove sia nascosto Bin Laden, ma in qualche modo ne hanno anche il controllo - sia pure per presunte «(ragioni di sicurezza» - U laconico mullah comunicava di fatto che era stato compiuto un altro passo in avanti verso lo showdown; che si era insomma ndSttott-feaipne sfiF quale Washington e Kabul possono continuare il confronto, prima della rottura definitiva. Finora questo confronto ha avuto due fasi. La prima era stata quella della minaccia della guerra immediata, con i bombardieri americani pronti a partire e i taleban arroccati sulla difensiva, che dicevano noi non c'entriamo e comunque lo sceicco Osama è padrone del proprio destino. Ben presto però i bombardieri hanno spento i motori - questa è la seconda fase - perché Bush ha capito che una cosa è dichiarare la gueira ma ben altra è poi farla; nello stesso tempo i taleban si son trovati fra le mani una realtà imprevista, con la decisione dei settecento ulema di dare il benservito a Bin Laden, pregandolo di andarsene dall'Afghanistan. Onesta seconda fase era già un rilevante cambio di scacchiera: introduceva lo spazio (mai riconosciuto, e tuttavia reale ancora oggi) di un possibile negoziato, perché prendeva atto chela macchina militare americana aveva comunque bisogno di un interval¬ lo di tempo, e però chiariva anche che, in questo intervallo, Bin Laden doveva prendere una qualche decisione, dopo essere stato scaricato da quei settecento vecchi notabili che agli occhi di tutti gli afghani rappresentano il sentimento comune del popolo. Ma siccome Bin Laden non si decideva, due nuovi atti si ag.giungevano a questa fase interlocutoria, n primo è stata la lettera che 1, mullah afghani hanno trasmesso all'emiro Omar, un mes" saggio oi'bélle e rispettose parole dove, però, gli chiedevano senza troppe perifrasi di «dar comunque seguito» alla decisione dei Settecento. Era una lettera importante: in una società teocratica com'è l'emirato dell'Afghanistan, i mullah - cioè i religiosi di base - rappresentano coloro che interpretano ed esprimono la volontà della gente; la richiesta di «dar seguito» al licenziamento di Bin Laden valeva come dire che la società afghana non vuole saperne più dell'«arabo». Il secondo atto, conseguente e immediatamente successivo a questo, era una comunicazione di Salam Zaif, che faceva sapere come Bin Laden avesse finalmente ricevuto la fatwa degli ulema: in questa partita che si sta giocando all'ombra di una guerra annunciata, la consegna della lettera d'addio voleva dire agli Stati Uniti che un altro concreto passo di distacco era stato fatto, ache il ricercato numero uno ora doveva cavarsela da solo. Ufficialmente gli Stati Uniti sono rimasti fermi nella loro intransigenza: o Bin Laden, op- pure la guerra. Però intanto anche se le parole pubbhche erano sempre quelle militari - la guerra continuava comunque a restare in standby. E si apre allora la terza fase, con questa nuova dichiarazione del mullah ambasciatore, che mostra una doppia possibile lettura: può significare che i taleban congiungono indissolubilmente il proprio destino a quello dello sceicco terrorista, ma può invece significare che lo sceicco è ora «agli arresti domiciliari» e che gli Usa - se voghono mettere davve¬ ro le mani su Bin Laden - una qualche forma di intendimento con i suoi «custodi» debbono prepararsi a trovarla («ma - ribadiva ieri notte l'emiro Omar questo intendimento non può essere certamente re Zahir, corrotto e mercenario»). Qui, nel Pakistan che teme la guerra come un uragano ingovernabile, si preferisce puntare sulla seconda interpretazione e sperare che a questa nuova mossa dei taleban Bush saprà dare (nei fatti, non nelle parole che debbono continuare a essere rigide) una risposta meno intransigente di quanto abbia fatto finora. Anche perché il presidente Musharraf ha chiesto agli americani di non bruciare i tentativi estremi di mediazione che ogni giorno partono da qui verso l'Afghanistan. Le notizie che le delegazioni pakistane riportano da Kandahar sono di un regime in affanno, spaccato al suo intemo, di una società che rischia di spappolarsi, dello stesso apparato militare che si sgretola con i primi comandanti che passano dalla parte del nemico. LE PAROLE DEI SIGNORI DELLA GUERRA AFGHANI, VENTI GIORNI DI AMBIGUITÀ' LE PAROLE DEI SIGNORI DELLA GUERRA AFGHANI, VEN Protesta anti-americana alla periferia di Islamabad: un manifestante regge un cartello che inneggia a Bin Laden «DUECENTO DISERZIONI» Un comandante afghano del campo dei taleban è passato all'opposizione dell'Alleanza del Nord con 200 uomini, secondo quanto ha reso noto ieri l'agenzia stampa afghana Afghan islamic Press (Aip), che cita il portavoce dell'Alleanza Mohammed Habeel. I taleban confermano la diserzione, ma la limitano a 70 uomini. Il tradimento del comandante Mohammad Suleman, che aveva già cambiato campo in precedenza, passando dall'Alleanza del Nord ai taleban, coincide con una nuova offensiva dei ribelli afghani nelle province di Balk e Samangan. E appare come un grave colpo al regime di Kabul, anche perché, secondo Habeel, altri 130 miliziani dei taleban sono passati dall'altra parte dopo che le forze dell'Alleanza hanno riconquistato il distretto di Qadis, nella provincia settentrionale di Badghis